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Natalino Balasso: parole come scatole che incasellano e l’arte di romperle (le scatole)

Intervista. Dal teatro a Patreon, l’autore, comico e attore punta a raccontare una realtà liquida, dove la «pace ha molti innamorati e la guerra molti sponsor». Una narrazione che si agita tra irriverenza, nessun tabù e la volontà di non restare limitato dalle etichette. Al di là dell’aspettativa del pubblico e della mercificazione della cultura, anche a costo di restare più nascosti. Venerdì 11 marzo a Seriate

Lettura 5 min.
Natalino Balasso (foto Renato Begnoni)

Un dizionario è definitivo, fissa su carta (o pixel) delle parole e chiarisce dei concetti, li formalizza. In realtà quel suo essere assoluto è relativo allo specifico momento in cui viene stampato. Un dizionario, infatti, si aggiorna edizione dopo edizione, si arricchisce di nuove parole, si evolve, come si evolve il contesto in cui i concetti nascono e si strutturano, termini con una lunga storia si arricchiscono di nuovi sensi e altri vocaboli cadono in disuso. Il linguaggio, citando un riferimento per la lingua italiana come l’Accademia della Crusca, è «viva espressione della dinamica dei mutamenti sociali è particolarmente sollecitato dalla velocità e dai nuovi strumenti della comunicazione».

La lingua è viva e in continuo mutamento, così come lo siamo noi: da un lato c’è la necessità di definirci e definire il mondo in cui viviamo per comprenderci e comprenderlo, dall’altro rimane il senso di limitatezza che resta da una definizione incollata come un’etichetta, scomoda come una scarpa troppo stretta. Tra questi due poli si trova il senso dei novanta minuti sul palco di Natalino Balasso, che domani alle 21 al Cineteatro Gavazzeni di Seriate porta in scena il suo «Dizionario Balasso (colpi di tag)» (a questo link i biglietti).

Attore, comico e autore di teatro, cinema, libri e televisione, Balasso dopo «Il conte Nikolaus», suo contro-film di Natale della fine del 2021 e il suo nuovo spettacolo attualmente in tour, «Balasso fa Ruzante, amori disperati in tempo di guerre», torna sul palco del Cineteatro Gavazzeni in compagnia di un leggio con un grande volume, al suo interno oltre duecentocinquanta termini. «Buonsenso: disturbo contemporaneo che si cura con lo shopping, la televisione e i social». «Consumo: una città risparmia nei consumi tutto l’anno; poi, a Natale, il sindaco fa seminare piantagioni sterminate di luminarie che in confronto Las Vegas è Rovigo». E ancora: «Spettatore: si aspetta sempre qualcosa che ha già visto. Andrebbe chiamato ‘aspettatore’». Rivelando già che ogni aspettativa degli aspettatori sarà infranta, Balasso anticipa che «Non cercheremo le parole, saranno loro a trovare noi».

Sicuramente però le grandi protagoniste saranno le parole e la loro mutevolezza: «quando dal punto di vista linguistico nella nostra comunicazione parliamo di definizione ci riferiamo a qualcosa di definitivo, mentre la realtà non resta incasellata nel nostro linguaggio, la realtà si sposta e, le persone pure. Se avessimo più coscienza dell’aspetto liquido della realtà saremmo meno definitivi, giudicheremmo di meno e avremmo una visione meno distorta del mondo: le etichette sono necessarie, certo, ma quando creiamo dei casellari per comprenderlo, dobbiamo riconoscere che le caselle esistono».

E le parole si trasformano: «prendono vita a seconda del luogo in cui si trovano, si arricchiscono di riflessi culturali, ma anche degli abbagli che prendiamo tutti i giorni. Nella mia presentazione di questo spettacolo dico anche che le parole hanno un potere creatore e anche distruttivo». «La parola porta già nel suo corpo la menzogna perché ogni significato ha confidenza col suo contrario – si legge ancora nella nota di presentazione dello spettacolo – così che si può estendere a tutti gli umani quel che Don DeLillo scrive nel suo magnifico Cosmopolis: “Mentire è il tuo modo di parlare”». L’amore di Balasso per lo scrittore e americano deriva dal suo «grande rispetto per le parole», la stessa motivazione che lo porta ad apprezzare le opere di un autore come Luigi Meneghello.

E poi lo sguardo, al di là del palco, va Oltreoceano, allo scrittore e giornalista statunitense Ambrose Bierse e al suo «Dizionario del Diavolo», datato 1906: «l’autore sa giocare con irriverenza sulle parole in questa sua opera – spiega Balasso – Riguardo al potere dissacrante del linguaggio, una cosa recente che ho scritto è che “la pace ha molti innamorati e la guerra ha molti sponsor”». Davanti all’attualità, alla voce “Guerra” del vocabolario di Balasso, la definizione recita «operazione economica che alza il business ma abbassa il tasso d’intelligenza». Anche su un tema controverso come un conflitto, «non devono esistere limitazioni o autocensure, si può parlare di tutto», l’attore ne è convinto: «Se non è l’arte a entrare in questi territori, chi altro lo farà? È giusto che si indaghino questi ambiti, ma l’arte che dà un giudizio sulla realtà non mi piace. Al contrario vedo attorno a me molti tentativi di essere provocatori, che però alla fine rientrano comunque in scatole».

«Gli artisti, come chi disegna satira o chi va in tv, spesso, restano incasellati in definizioni di mercato, alla ricerca di un gradimento del pubblico. Quando l’artista persegue questo ha lasciato il suo ruolo. Con questo non voglio dire che l’artista migliore è quello che provoca di più: ci sono artisti che restano negli schemi facendo uscire un pensiero. Il punto è che questo pensiero oggi non lo vedo, soprattutto nei comici. Un regista come Fellini invece sapeva restare confinato in una tecnica cinematografica raffinata e seguiva dei canoni, ma allo stesso tempo riusciva ad essere un grande poeta, così come lo sono stati Pasolini o Dario Fo. Credo ci sia qualcosa nell’artista, una parte sincera, che esce anche se la persona non vuole, un’umanità di fondo autentica. La vera arte è lì».

Non solo comico e attore sul palcoscenico, Natalino Balasso è anche autore, ma soprattutto «un commediante nella rete», come si autodefinisce. Oltre a un’assidua frequentazione del web, ha firmato una raccolta di racconti, «Operazione buco nell’acqua» (Sperling e Kupfer, 1995), che arriva dopo le collaborazioni satiriche per Comix e Smemoranda, a cui si aggiungono tre romanzi, di cui l’ultimo, «Il figlio rubato» è uscito per Kellermann nel 2010 e tre volumi comici, tra cui «Il Grande Libro del Scritore» del 2020, che raccoglie tutti i manoscritti del «Scritore», raccolti e curati da Natalino Balasso. «Ho pubblicato dei libri perché mi era stato chiesto, ma ho scritto dei romanzi anziché quello che ci si aspettava da me, ossia le mie battute – precisa Balasso – adesso avrei delle cose da dire, ma mi sembra inutile uscire con qualcosa, penso che non sarebbe letto con l’attenzione con cui si leggeva tempo fa».

«Oggi è tutto così distillato, con queste continue citazioni sui social, spesso riportate in modo sbagliato, che molte forme d’arte, secondo me, ne siano uscite diluite. Pensiamo al mondo della lettura: se guardiano ai libri più venduti penso che tra i primi dieci ce ne siano almeno tre di cuochi e due o più di giornalisti famosi, che non è detto sappiano fare letteratura. Temo che la gente guardi le figure e che molti scrittori scrivano come se fossimo rimasti a trent’anni fa, ignorando tutto quello che è cambiato».

Cambiano i lettori e cambiano i media, così è cambiato anche l’attore, che ha debuttato a teatro nel 1990 e per poi frequentare non solo il palcoscenico ma anche la tv e il web, passando dalla sua Compagnia degli Gnorri, agli spettacoli con il regista Gabriele Vacis, per arrivare a YouTube: nel 2021 decide però di interrompere le trasmissioni del suo canale «Telebalasso», perché la piattaforma è diventata «una sorta di discarica pubblicitaria e gli spot appaiono nei video in maniera sempre più pressante». La sua scelta oggi ricade su Patreon, una piattaforma che «permette ai creatori di contenuti di renderli sostenibili», dove ha aperto il suo «Circolo Balasso».

«La gente si abbona e paga per vederli ed è giusto che capisca che l’arte è un mestiere e come va retribuito. In un anno ho realizzato oltre settanta video originali e andrò avanti, anche perché le persone ci sono e rispondono con entusiasmo». Là fuori però la situazione non è rosea: «il lato retrivo di questa nazione sta vincendo, il Ministero della Cultura è sempre più schiavo del banale senso dell’economia e di cosa fa profitto. Credo sia un momento in cui gli artisti debbano resistere e non la vedo molto semplice: se ciò significa ritirarsi, vorrà dire che starò più nascosto».

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