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“Sei la Benvenuta”: Sconfinando, le donne albanesi insieme per superare ogni limite

Articolo. Progetti in carcere, mediazione, assistenza e speranze per il futuro: abbiamo parlato con la segretaria dell’associazione Borana Tartari

Lettura 4 min.
Le donne dell’associazione Sconfinando nella sede di L’Eco di Bergamo

Ormai parlare di globalizzazione appare quasi un banale tentativo di restituire la complessità di relazioni sempre più estese e inafferrabili. Siamo iperconnessi, viaggiamo, comunichiamo da un capo all’altro del pianeta. Uno status che in questi tempi ha mostrato anche le nostre fragilità e deficit, tradotti in manovre per tentare di limitare l’estensione del fenomeno e ridisegnare presunti confini.

Ma niente paura, oggi non vi parleremo di epidemie, muri, porti chiusi o quarantene. Perché per ogni faccia della medaglia che parla di limiti, ce n’è un’altra, in questo caso formata da donne albanesi che vivono a Bergamo e non solo, che vuole “sconfinare”.

Così, per prepararci alla Festa delle Luccicanze, ultimo capitolo del progetto Sei la Benvenuta, non potevamo che rivolgerci a un’associazione che ha fatto dell’integrazione e dell’accoglienza la sua mission principale.

Una realtà che si chiama proprio Sconfinando. E ha un animo profondamente femminile, come ci racconta Borana Tartari, segretaria dell’associazione: “Ad oggi siamo circa 2000 iscritti tra Bergamo e provincia, ma c’è gente da Milano, Monza Brianza, Rovigo e Romano di Lombardia, dove c’è una importante comunità di albanesi. Inoltre, collaboriamo con una comunità albanese di Genova. Di certo, c’è una bella percentuale di donne ed è merito di Leda (Enkeleda Mece, fondatrice di Sconfinando, ndr) che ha creato tutto questo”.

Attività senza confini

Il gruppo nasce infatti nel 2014 come evoluzione naturale dell’associazione Alba, dal desiderio di estendersi a tutte le comunità straniere e non di Bergamo e aree limitrofe: “Abbiamo notato che molte persone che venivano alle nostre iniziative non erano albanesi, per cui l’essere un’associazione italo-albanese non bastava più. Così abbiamo voluto buttare giù i confini e ospitare molte altre realtà: attualmente collaboriamo principalmente con la comunità indiana e marocchina e non solo per pratiche burocratiche”.

Le attività di Sconfinando sono infatti ad ampio raggio: spaziano dallo sportello immigrazione all’assistenza ai minori, passando per la mediazione in carcere e l’assistenza a donne maltrattate. Senza ovviamente rinunciare ad attività culturali sul territorio, come la Festa dei Popoli di Albano, dove hanno portato balli, costumi tipici e musiche albanesi.

Tutte noi facciamo un altro lavoro, per cui ci dedichiamo all’associazione secondo le nostre disponibilità. Cerchiamo di farlo fruttare il più possibile organizzando feste, aiutando molte famiglie a risolvere problemi burocratici o ad aiutare donne maltrattate, magari con situazioni difficili alle spalle e mariti che giocano d’azzardo o rientrano nella società dopo essere usciti dal carcere”. Un’attività fondata sul lavoro volontario dove i problemi principali riguardano “Le risorse e il tempo, perché è tutto a carico nostro. Anche solo affittare un palco per noi è difficile. Certamente il Comune di Bergamo ci ha sempre dato una mano, ma spesso mancano i mezzi”.

Mediazione in carcere

Tra gli impegni attuali, anche la partecipazione al progetto Pit Stop, dedicato alla mediazione in carcere. Un’iniziativa attiva da quattro anni come prosecuzione del Progetto Sentieri, volta a fondare un autentico ponte tra chi è dentro il carcere e i familiari al di fuori: “Io e Leda seguiamo e aiutiamo le famiglie dei carcerati, che poi sono anche quelle che pagano il doppio”.

La situazione che si trovano ad affrontare è infatti costellata da porte chiuse, meccanismi e difficoltà che rendono complessa la vita. Tra i racconti, anche la storia di una madre con tre bambini, laureata con master in Albania, che ora vive in Italia: “Prima che potessero presentarsi in Questura, il marito è stato arrestato. Per di più subito dopo c’è stato il terremoto in Albania, quindi la loro casa era inagibile e non potevano più tornare. Ha deciso di rimanere, perché non può far perdere un anno di scuola ai figli, ma si sono ritrovati senza documenti e con dei problemi per i permessi. Con l’Associazione Carcere e Territorio stiamo cercando di dare una mano come possiamo, perché per noi è molto importante”.

Integrazione e istruzione

Alle donne straniere è dedicato un altro progetto che prenderà forma nel prossimo futuro, organizzato in sinergia con Romina Russo, consigliera comunale e delegata per la cultura, le politiche sociali, le pari opportunità e l’associazionismo. L’obiettivo è di offrire alle partecipanti la possibilità di frequentare dei corsi con i loro bambini, per aiutarle a superare le difficoltà linguistiche e quelle che potrebbero incontrare nella quotidianità.

Abbiamo pensato di organizzare incontri settimanali per spiegare loro tutto ciò di cui possono avere bisogno. Si tratta di donne con un livello culturale piuttosto basso, alcune giovanissime con figli piccoli che si ritrovano da sole, con difficoltà linguistiche e non hanno possibilità di uscire o lasciare i figli a qualcuno”.

Tra le questioni sul tavolo, non solo l’elemento linguistico, ma anche quello burocratico. Fattori che in quanto mediatrice Borana conosce bene: “Nelle questure ad esempio se vedono che non capisci tanto la lingua o i procedimenti sono capaci di mandarti via anche dieci volte. Spesso la mediazione è vista esclusivamente come un fattore linguistico, ma è più che altro un fattore giuridico e burocratico. Le istituzioni e comunità devono tenerlo presente: c’è un forte bisogno di intermediari nelle strutture statali”.

Un problema che riguarda molte comunità straniere a cui si vuole dare un aiuto concreto. Nelle attività e nel progetto particolare attenzione è rivolta alla comunità indiana, ma non manca il coinvolgimento di donne marocchine, arabe, rumene, ucraine e moldave. Alla base di tutto c’è la volontà di “offrire alle donne la possibilità di conoscersi, coltivare le proprie passioni, uscire, entrare nella comunità e integrarsi, lavorare e fare qualsiasi cosa vogliano”.

Occupazione full time e sede vacante

Sebbene l’Associazione si basi sul lavoro volontario, una cosa è certa: non ci sono orari e i canali di comunicazione di Borana e Enkeleda sono sempre attivi: “È un’occupazione 24 ore su 24: se ci chiama qualcuno che ha subito maltrattamenti non possiamo certo azionare la segreteria telefonica o non rispondere perché fuori orario: è più forte di noi”.

Se questo sembra complesso, lo è ancora di più quando si parla dei luoghi dove esercitare le attività: “Abbiamo una collaborazione con Coldiretti e l’Associazione Carcere e Territorio che ci offrono uno spazio dove ricevere le persone il lunedì, mercoledì e giovedì”. E quando non vi è la possibilità di organizzarsi entro le fasce orarie ufficiali, ci si rimbocca le maniche: “Siamo disposte a ricevere e ad avere appuntamenti anche a un bar se necessario. Tutto è ancora molto improntato al fai-da-noi e finora siamo sempre riuscite a portare avanti questa missione. Abbiamo fatto richiesta al comune e alla provincia, vedremo se riusciremo ad avere una sede nostra, ma siamo fiduciose”.

Appello che appare ancora più importante nell’ottica della situazione attuale: “Come tutte le associazioni, per la prima volta in diversi anni abbiamo subito una battuta d’arresto in questi giorni con il coronavirus: gli uffici sono chiusi o non accettano più certe urgenze. Per di più, noi lasciamo molti documenti al Coldiretti, ma visto che ora sono chiusi non possiamo entrare a prenderli. Per continuare a dare il nostro contributo alla comunità bergamasca abbiamo bisogno di un aiuto esterno, per noi è fondamentale”.

Restando fedeli all’hashtag del progetto di Sei la Benvenuta, non ci resta che augurarci che anche questa bella realtà possa trovare presto una #casadolcecasa.

Mini-sito Sei la Benvenuta

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