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Manuale pratico di sopravvivenza alla crisi climatica

Articolo. Come possiamo prepararci all’ormai decretato fallimento dell’Accordo di Parigi e perché siamo ancora in tempo (ma non per molto) a fare qualcosa a riguardo. Anche a Bergamo

Lettura 4 min.

È uscito a fine marzo il « Rapporto di sintesi del Sesto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici (AR6) » di IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici. Il rapporto definisce «più probabile che non» che le temperature globali raggiungano un riscaldamento di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. In pratica, decreta la disfatta dell’Accordo sul clima di Parigi del 2015. E ci mette di fronte a una scelta: agire ora o rassegnarci a subire conseguenze sempre più gravi.

Al suo interno sono raccolti e sintetizzati i principali risultati dei report precedenti, su temi come le basi tecnico-scientifiche del cambiamento climatico, gli impatti e le strategie di mitigazione e gli effetti su oceani e terre emerse. Il punto principale è uno: il mondo si sta avvicinando a livelli «irreversibili» di riscaldamento globale, con impatti catastrofici che stanno diventando rapidamente inevitabili, e che è necessario «ora o mai più» prendere provvedimenti drastici per evitare il disastro. L’appello è rivolto al mondo politico e formula una guida pratica per i governi e i decisori di tutto il mondo. Non essendo prevista la pubblicazione di nuovi rapporti IPCC prima del 2030, questa edizione è l’ultima raccolta di raccomandazioni scientifiche su cui potranno basare le proprie scelte nel prossimo decennio.

«I leader dei Paesi sviluppati devono impegnarsi a raggiungere lo zero netto il più vicino possibile al 2040, limite che tutti dovrebbero puntare a rispettare» ha dichiarato il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, che chiede quindi loro di anticipare di dieci anni i programmi di riduzione delle emissioni. Ci riusciranno? La prova del nove sarà la COP28, che si terrà a novembre a Dubai. In quella sede verranno valutati i progressi compiuti dalle nazioni nella riduzione delle emissioni di gas serra dopo l’Accordo di Parigi. È già certo che si riveleranno ben lontani dagli obiettivi previsti.

Quindi che fare? Restare a guardare e attendere l’inevitabile? Il quadro dipinto da IPCC su quanto già stiamo sperimentando è solo un assaggio di quello che potremmo attenderci in futuro: aumento delle morti per l’intensificarsi delle ondate di calore, milioni di vite e case distrutte da siccità e inondazioni, milioni di persone che soffrono la fame e «perdite sempre più irreversibili» negli ecosistemi. Più di 3 miliardi di persone vivono già in aree «altamente vulnerabili» ai cambiamenti climatici e metà della popolazione globale sperimenta oggi una grave scarsità d’acqua per almeno una parte dell’anno. Anche a Bergamo la scarsità idrica è un problema molto attuale.

Ma c’è una via d’uscita. IPCC fornisce linee guida chiare e complete: ridurre drasticamente le emissioni e rinunciare ai combustibili fossili, investire nelle energie rinnovabili e in altre tecnologie a basse emissioni, aumentare l’efficienza energetica, ripensare l’agricoltura e ripristinare le foreste e i paesaggi naturali degradati. Potrebbe anche essere necessario sviluppare tecnologie che aspirino l’anidride carbonica dall’aria o esplorare altre soluzioni emergenziali.

Secondo IPCC, la soluzione è uno sviluppo resiliente al clima. Ciò significa l’integrazione di misure di adattamento ai cambiamenti climatici con azioni volte a ridurre o evitare le emissioni di gas serra. Un esempio? «L’accesso all’energia e alle tecnologie pulite migliora la salute, soprattutto di donne e bambini». Oppure: «l’elettrificazione a basse emissioni di carbonio, gli spostamenti a piedi e in bicicletta e i trasporti pubblici migliorano la qualità dell’aria». Per non parlare del fatto che «i benefici economici per la salute delle persone derivanti dal solo miglioramento della qualità dell’aria sarebbero all’incirca uguali, o forse addirittura superiori, ai costi per ridurre o evitare le emissioni».

A livello individuale possiamo fare qualcosa? Sebbene nessuno di noi, da solo, possa assicurare un impatto significativo, e sebbene sia altrettanto vero che nessuno di noi, da solo, sia da ritenere responsabile per i cambiamenti in atto, ci sono alcuni ambiti delle nostre vite quotidiane in cui possiamo agire. Parola dell’ONU.

Migliorare l’efficienza energetica di casa

La combustione di combustibili fossili in centrali termoelettriche è ancora la fonte maggiore di energia elettrica. Per questo, consumare meno (e meglio) riduce la nostra impronta di carbonio. Abbiamo spiegato tempo fa come agire sull’efficienza energetica delle nostre case, ma questi interventi possono essere abbinati a piccole azioni quotidiane, come limitare l’utilizzo di riscaldamento in inverno e raffrescamento in estate, usare lampadine a LED e elettrodomestici ad alta efficienza energetica o fare lavatrici a basse temperature.

Scegliere opzioni a basse emissioni per gli spostamenti

Per le piccole distanze, per esempio se si vive in città, camminare o andare in bicicletta invece di prendere l’auto per spostarsi riduce le emissioni di gas serra e aiuta la salute e la forma fisica. Per le distanze più lunghe, il treno, l’autobus o il carpooling (per intenderci, BlaBlaCar), sono tutte opzioni valide. E, se possibile, per i viaggi, evitare del tutto l’aereo.

Per chi se lo può permettere, vivere completamente senza auto può ridurre l’impronta di carbonio fino a 2 tonnellate di CO2 all’anno. Ma senza arrivare agli estremi, ogni piccolo passo fatto (letteralmente) può fare la differenza. Anche a Bergamo.

Sperimentare una dieta a base vegetale

Mangiare più verdura, frutta, cereali integrali, legumi, noci e semi, e meno carne e latticini, può ridurre significativamente il nostro impatto ambientale. Questo perché la produzione di alimenti a base vegetale comporta in genere meno emissioni di gas serra e consuma meno energia, terra e acqua. Passare da una dieta mista a una a base vegetale può ridurre l’impronta di carbonio fino a 500 kg di CO2 all’anno (o fino a 900 kg per una dieta vegana). Meglio ancora se frutta e verdura sono acquistate a km 0 da produttori sostenibili.

Ottimizzare i pasti per evitare lo spreco di cibo

Quando si butta via il cibo, si sprecano anche le risorse e l’energia utilizzate per coltivarlo, produrlo, imballarlo e trasportarlo. Inoltre, quando il cibo marcisce in una discarica, produce metano, un potente gas serra. Una buona pratica può essere quindi quella di pianificare i pasti in modo da utilizzare tutto ciò che si compra e, se possibile, compostare gli avanzi: mangiare sostenibile è possibile anche a Bergamo. Ridurre gli sprechi alimentari può ridurre l’impronta di carbonio fino a 300 kg di CO2 all’anno.

Ridurre, riutilizzare, riparare e riciclare

L’elettronica, i vestiti e gli altri articoli che acquistiamo causano emissioni di carbonio in ogni fase della produzione, dall’estrazione delle materie prime alla produzione e al trasporto dei prodotti sul mercato.

Ridimensionare gli acquisti è un ottimo modo per ridurre il nostro impatto ambientale: comprare meno, acquistare second hand, riparare ciò che si può, riciclare dove possibile e smaltire correttamente i rifiuti per tutti gli altri casi.

Scegliere con attenzione per cosa spendere

In generale, tutto ciò per cui spendiamo ha un impatto sul pianeta. E, allo stesso tempo, è qualcosa su cui abbiamo facoltà di scelta. Possiamo scegliere quali beni e servizi acquistare. Per esempio, possiamo selezionare prodotti di aziende che utilizzano le risorse in modo responsabile e si impegnano a ridurre le emissioni e i rifiuti. Oppure possiamo agire anche indirettamente, sugli investimenti finanziari, per esempio nei fondi pensione integrativi, assicurandoci che i nostri risparmi siano investiti in aziende sostenibili.

Farsi sentire e far valere la propria opinione

Questo è l’ultimo punto, ma in assoluto il più importante. Fare in modo che la nostra voce sia sentita e ascoltata è fondamentale. Questo significa esprimere voti ragionati alle elezioni, a tutti i livelli, dal locale al nazionale e al comunitario. Ma significa anche parlare, diffondere la conoscenza dei fatti, partecipare ad azioni per il clima. Nel piccolo o nel grande: quel che si può. Ma tutto conta.

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