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La psicologia di un runner (e come migliorarla)

Guida. Con l’aiuto di Ivana Di Martino, ultramaratoneta e mental coach laureata in psicologia sociale, cerchiamo di capire come la corsa sia soprattutto una questione di testa. E quanto possa influenzare il nostro modo di pensare e di agire

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(lzf)

In un passaggio del film “Free Solo” – pellicola sulla prima scalata a mani nude della parete di El Capitan nello Yosemite Park (900 metri di pauroso granito verticale) – il protagonista Alex Honnold si sottopone a un test neurologico durante la preparazione dell’impresa. Gli specialisti gli dicono che nel suo cervello l’amigdala tende a non reagire agli stimoli esterni come quella delle altre persone, motivo per cui riesce a mantenere una calma e una concentrazione estreme anche quando è (letteralmente) appeso per mezzo pollice nel vuoto.

Nella corsa fortunatamente non si raggiungono questi livelli di pericolosità. Tuttavia mi sono chiesta se anche per correre bisogna avere la testa “giusta” oppure se è la corsa stessa che ti plasma la mente. In altre parole: ci sono persone per natura più portate di altre ad affrontare la fatica che gli sport di resistenza richiedono? Oppure tutti possono allenarsi e un passo alla volta arrivare a una competizione come una maratona, un triathlon o addirittura una ultra maratona? E in ogni caso quali sono, se ci sono, gli effetti della corsa sul nostro modo di pensare e di affrontare la quotidianità?

Ne ho parlato con Ivana Di Martino, ultramaratoneta e mental coach, donna schietta e atleta tosta, protagonista negli ultimi anni di diverse imprese sportive “estreme” realizzate per finalità benefiche.

La corsa è per tutti, le imprese offlimits no

Sono convinta che tutti possano arrivare a correre una maratona, come ho scritto anche qui. Naturalmente a patto di procedere con gradualità, costanza e magari anche con un supporto “tecnico” e morale come un preparatore atletico o un gruppo di allenamento.

Quello degli ‘ultra’ invece – spiega Di Martino – è un mondo a parte. Le imprese un po’ ai limiti, come quelle che faccio io, non possono farle tutti. Per correre 330 km no stop o fare 21 mezze maratone per 21 giorni di fila dal nord al sud dell’Italia bisogna avere costanza, determinazione, resistenza alla fatica (e fin qui niente che un runner non possa avere, ndr) e in più predisposizione mentale all’incoscienza. Incoscienza intesa come non avere paura, mettere da parte la preoccupazione per sé stessi e il proprio stato fisico mantenendo fisso l’obiettivo che si vuole raggiungere. Se sto correndo da 20 ore e inizio ad avere le allucinazioni per la mancanza di sonno io penso che devo andare avanti per rispettare la tabella di marcia, quella è la mia preoccupazione principale. La paura che provo in me genera coraggio, si trasforma in uno stimolo a raggiungere l’obiettivo”.

Testa di runner

Naturalmente (e per fortuna) non siamo tutti iron men o ultra maratoneti. Noi comuni atleti mortali molto più spesso ci troviamo alle prese con qualche gara con l’assalto al nostro personal best. Eppure, diciamoci la verità, ogni tanto anche per noi trovare la motivazione per alzarci dal divano e uscire a correre equivale a scalare l’Everest. Oppure può capitare che ci siamo preparati per mesi, abbiamo comprato le scarpe top di gamma, preso gli integratori giusti, completato tutte le tabelle di allenamento ma non riusciamo a migliorare i nostri tempi o a concludere quella gara cui tenevamo tanto. Che cosa succede? “Succede che la testa nella corsa conta l’80%. Se non hai la testa non puoi fare nulla, ad un certo punto il corpo si ribella alla fatica, allo sforzo fisico. È la mente invece che ti fa andare avanti”.

Sempre più spesso si sente parlare di mental coach, non solo nell’atletica ma nello sport in generale. Il corpo ha i suoi limiti e le sue potenzialità ma a fare la differenza è la motivazione e la determinazione con cui si affrontano le sfide. “Il mental coach è quella figura che guida l’atleta a realizzare i suoi obiettivi attraverso un piano d’azione. Deve essere l’atleta che mette a punto il piano, magari aiutato da alcune domande aperte fatte dal preparatore, ma è importante che gli obiettivi e il percorso che si ritiene di dover fare per raggiungerli vengano dall’atleta stesso. Il piano poi deve coinvolgere anche le persone che gli stanno attorno: se sanno che sta lavorando in una direzione e si sentono coinvolte lo aiuteranno più facilmente”.

Motivazione e strategie

Il coach non si sostituisce alla persona che sta seguendo, ma la aiuta ad avere più consapevolezza delle proprie potenzialità e anche dei propri punti deboli. “La motivazione è determinante e si trova sempre dentro di noi, dobbiamo solo farla emergere”. Certo poi ci sono anche delle vere e proprie strategie per affrontare i momenti di difficoltà, sia in gara che durante la preparazione.

In gara non bisogna focalizzarsi sul dolore o sulla fatica. Occorre pensare ad altro e distrarre la mente: per esempio contare i passi che si stanno compiendo o fare calcoli matematici. Durante la preparazione invece ad aiutarci possono essere i micro-obiettivi come le tabelle con la progressione di lavori da fare per arrivare alla gara: riuscire a svolgerli e, anche concretamente, a spuntarli dalla nostra agenda, settimana dopo settimana, ci gratifica. La routine della preparazione (fissare i giorni per uscire a correre, vestirsi in un certo modo, segnare i risultati) è molto rassicurante e ci fa guadagnare fiducia in noi stessi”.

Correre è un antidepressivo

Quando mi chiedono perché correre mi fa stare così bene rispondo che è uno dei pochi sport che mi fa sentire libera. Facile da praticare, non richiede attrezzature, si fa dappertutto. Quando mi sto preparando per una mia iniziativa mi capita di uscire e correre da sola anche per 5 o 6 ore di fila. Poi correre ci fa produrre endorfine che fanno bene all’umore. A chi non è capitato di tornare da una corsa con la testa più leggera, svuotata dalle preoccupazioni? Lo sforzo fisico ci aiuta a dimenticare i problemi e a diventare più lucidi. Correre secondo me è un antidepressivo formidabile”.

Questi benefici ce li portiamo poi anche nella vita di tutti i giorni. Competitività, cura della performance, concentrazione, strategia. Sono tutti elementi che ci aiutano ad essere più efficienti nell’affrontare il lavoro e la vita sociale. “La disciplina mentale che sviluppiamo con questo sport ci aiuta sicuramente anche ad organizzare al meglio la nostra giornata, correre ci dà una regola per gestire la complessità della vita. Ci aiuta ad affrontare i problemi con maggiore lucidità”.

Aiuto, non riesco a smettere

C’è anche il rovescio della medaglia. La corsa per qualcuno può diventare una ossessione, quasi una dipendenza. E non si tratta solo del disagio (sano) che proviamo quando non riusciamo a rispettare una uscita programmata o a rimanere fermi a seguito di qualche fastidio fisico. Ma dell’incapacità di dosare competizioni e uscite conciliandole con il resto della nostra vita.

La passione per la corsa può diventare patologica quando ti rimane solo quello. In quel caso corri con il preciso scopo di non dover pensare alle preoccupazioni e ai problemi che ti assillano e usi la corsa per evitare di affrontarli. È una situazione pericolosa perché da un lato porta ad estraniarsi e dall’altro può causare infortuni. Il consiglio è di provare ad alternare con altri sport o attività diverse come una lettura o una passeggiata”.

Donne che corrono con gli uomini

Ad ascoltare l’entusiasmo e l’energia che emergono dalle parole di questa donna straordinaria non si può che rimanerne conquistati. Anche perché il mondo del running è ancora in prevalenza molto maschile, nonostante negli ultimi 15 anni il numero di donne nelle competizioni sia costantemente aumentato.
Rimane però – incredibilmente – molto diffusa la convinzione che per una donna dedicare tutto questo tempo ad un allenamento sportivo sia sbagliato o, nel migliore dei casi, poco femminile.

Devo confessare, purtroppo, che quando ho compiuto le mie corse avventurose per iniziative di solidarietà, corse che per la loro stessa natura mi tenevano lontano da casa per diversi giorni, ho ricevuto critiche feroci soprattutto dalle donne. C’è ancora una fortissima convinzione che prima di tutto una donna debba fare la moglie e la mamma, lo sport è visto come abbandonare la famiglia. Per me questa è una follia. Ho un marito e tre figli, sono consapevole che i bambini vogliono prima di tutto la mamma, ma non una mamma depressa o frustrata. A me correre fa stare bene e fa stare meglio anche in famiglia. Se chi mi critica non lo capisce penso che abbia un problema. Io continuerà a fare ciò che mi rende felice”.

Sito Ivana Di Martino

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