Si scontrano in moto: gravi due ragazzi
La testimonianza di un soccorritore

Grave scontro, venerdì sera 13 novembre verso le 22, tra un Ktm 125 e un motociclo 50 Yamaha con in sella due ragazzi 17enni di Sedrina e Bonate.

I due minorenni sono stati trasportati in gravi condizioni all’ospedale Papa Giovanni XXIII. Lo scontro in un tratto di strada privata tra il Leroy Merlin e il kartdromo. Sul posto, con un’automedica e tre ambulanze del 118, anche i carabinieri del Nucleo operativo di Bergamo.

Sul grave incidente è arrivata la testimonianza, bellissima nella sua tragicità, di un soccorritore. Eccola. «Ieri sera ero di turno in Croce Rossa. Alle 22,43 ci arriva una chiamata per un incidente. È un codice rosso. Il più grave sulla scala delle urgenze. Mentre ci stiamo dirigendo sul posto ricevo una chiamata della centrale operativa che mi informa che ci sono due ragazzi incoscienti. Cerco di restare calmo e mentalmente ripasso tutto quello che dovrò fare una volta arrivato. In questi momenti le procedure da seguire ti danno una sensazione di sicurezza».

«Fuori è tutto avvolto dalla nebbia, si vede davvero poco. Fortunatamente arriviamo velocemente sul luogo dell’incidente. Intravediamo delle luci di cellulari nella foschia. Sono gli amici dei due ragazzi che ci chiamano. Siamo arrivati per primi. A terra vedo due giovani e due moto. Un ragazzo è supino e si lamenta. L’altro è prono, col casco ancora addosso, non si muove, non parla e sento che respira a fatica. Sembra quello più grave. Noi siamo in quattro ci dirigiamo due da una parte e due dall’altra».

«Intorno a noi ci saranno stati 15/20 ragazzi in silenzio. Un silenzio angosciato. In tanti anni di volontariato ho visto tanti incidenti, ma la scena di ieri mi ha colpito molto. C’è sangue ovunque, un odore di benzina molto forte. Cerco di essere lucido. Faccio le prime manovre da praticare su un paziente traumatico. Con sollievo mi accorgo che è arrivata l’auto con medico e infermiere. Cerco di dare una mano il più alla svelta che posso. Faccio tutto quello che mi dicono. Il tempo passa lentissimo. Arrivano anche un’altra ambulanza e un’altra auto medica. I due ragazzi sono gravi».

«Io sto bloccando la testa a quello che fin dall’inizio non si muoveva. Sono sdraiato sull’asfalto e vedo tutto quello che accade intorno a me: un continuo via vai di gente, di agenti della polizia locale, di soccorritori. Guardo negli occhi il ragazzo. È giovane, avrà a mala pena 18 anni. Sento in sottofondo le voci dei suoi amici. Le sento solo ora. Gli parlano come se lui potesse sentirli. Lui è in coma. Mi accorgo che non sento più i lamenti dell’altro. Non so come stia. Carichiamo sull’ambulanza il nostro paziente e arriviamo in ospedale. Andiamo subito in rianimazione. Recupero il materiale utilizzato per trasportare il ragazzo».

«Sto per uscire e arriva il papà del giovane. Vede suo figlio intubato, pieno fili e, cannule, sporco di sangue. È paralizzato. Sussurra al medico di essere il padre. Ha gli occhi increduli. Arriva anche la mamma che, con le lacrime agli occhi trascina via il marito. Esco anche io dalla sala. Compilo la scheda di soccorso. I due genitori sono a pochi metri da me. Si abbracciano. La madre scoppia a piangere. Il padre è immobile con lo sguardo perso nel vuoto. In quel momento realizzo che da quando è nato mio figlio è il primo incidente su cui intervengo. E mi viene quasi naturale pensare a come avrei potuto reagire io se una cosa del genere fosse successa a me. Se avessi visto io mio figlio in quelle condizioni».

« Esco dal pronto soccorso. Salgo in ambulanza. Anche i miei colleghi sono scossi. Torno a casa con l’immagine di quel ragazzo è dei suoi genitori negli occhi. Penso che si sia conclusa una giornata brutta. È mezzanotte e venti. Accendo il televisore e scopro in quel momento quanto è accaduto a Parigi. La sera del 13 novembre 2015 non la scorderò più».

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