«Una battagliera attenta agli altri»
Chiesa gremita di giovani per Martina

Martina Tartaglia è morta a 21 anni per un angiosarcoma. Era iscritta a Ingegneria biomedica.

Il suo ultimo gesto l’altra notte è stato un abbraccio ai genitori, che ha voluto stringere nonostante le mancassero ormai le forze. Poi il cuore di Martina Gaia Tartaglia si è fermato per sempre, nonostante avesse soltanto ventun’anni e, davanti, una vita fatta di sogni, caparbia e determinata qual era. Proprio due anni fa, invece, era iniziato il calvario di questa dolce ragazza che chi la conosceva descrive come solare e simpatica e che ha sempre affrontato la malattia con dignità e maturità. Questa mattina alle 9,30 l’ultimo saluto nella parrocchiale di Stezzano.

In chiesa una folla di persone: tantissimi giovani, i moltissimi amici, ma anche rappresentanti delle forze dell’ordine, tra cui il questore: il papà di Martina è il comandante della polizia stradale di Seriate. Proprio alcuni agenti hanno portato il feretro in chiesa nella commozione generale. Numerosi anche i rappresentanti dell’Associazione nazionale della Polizia di Stato.

«Martina è stata una battagliera, anche nell’affrontare la malattia e pensando non a se stessa ma sempre alle persone che gli stavano accanto - ha detto nell’omelia don Ilario Tiraboschi, cappellano della Polizia di Stato -. Questa é solo una delle dimostrazioni della sua bontà d’animo». E aggiunto: «Quando una persona ha continuamente attorno a sè persone e affetti significa che riempie la vita delle persone cosi come faceva Martina».

L’8 dicembre del 2016 il primo ricovero in ospedale, per una ciste a una mano. Una diagnosi probabilmente sbagliata – dopo questi giorni di estremo dolore, i familiari vorranno poi vederci giustamente chiaro – e un intervento. Poi un altro ricovero e una seconda diagnosi errata. Fatto sta che il male ha lentamente e inesorabilmente travolto la giovinezza di questa ragazza di Stezzano che i tanti amici non hanno mai abbandonato, coinvolgendola nelle loro uscite – anche se magari di un’ora soltanto, per via della stanchezza – perché si svagasse un po’, senza restare sempre in casa con il proprio dolore. «Era incredibile – racconta distrutto papà Alberto–. Gli amici la portavano fuori, nell’ultimo periodo anche con la carrozzella. Lei era felice ma poi diceva: “Gli ho rovinato la serata”. Ma loro la abbracciavano: “Non dirlo nemmeno per scherzo, vogliamo fare tutto questo per te”. E poi l’ospedale non è mai stato vuoto: quand’era ricoverata è stato un costante viavai. Visto che lei non poteva andare con i suoi amici, erano loro a venire da lei, senza farle mai mancare un affetto enorme e che mi ha stupito piacevolmente». Diplomata all’istituto Belotti, era una studentessa modello: aveva ottenuto due borse di studio e trascorso un mese a Valencia per l’Erasmus. Parlava correttamente tre lingue, ma il suo sogno era di diventare un medico. Forse anche per capire di più di quell’angiosarcoma diagnosticato così tardi e che le stava rovinando i giorni più belli della sua giovinezza. Ex pallavolista, amava anche il canto.

Si era iscritta a Ingegneria biomedica all’Università, a Dalmine, ma per la malattia aveva dovuto fermarsi. «Tuttavia ogni tanto arrivavano a casa i libri di medicina e, quando poteva, andava in biblioteca a leggere e studiare medicina», racconta ancora papà Alberto. Domenica notte i suoi occhi e i suoi sogni si sono spenti per sempre nella sua casa di via Salvo D’Acquisto, con accanto papà e mamma Antonella Bertoni, che lavora alla polizia giudiziaria della Procura. Lascia anche due fratelli più piccoli, Luca e Giovanni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA