La salvezza della vita:
occuparsi di qualcun altro

Una vita ridotta a passettini, sonnellini, uscitine, visitine. Gli infermieri che ti trattano come una bambina, parlandoti a voce altissima e scandendo le parole. Anche se, o proprio perché hai il doppio dei loro anni. «Le gratitudini», della pluripremiata francese Delphine De Vigan (Einaudi, pagine 149, euro 17,50), è il racconto impietosamente concreto, ma anche finemente lirico, delicatissimo e cinico, di una vecchiaia.

La signora Seld (Michka) non può più vivere da sola. È successo di colpo, da un giorno all’altro. Quella parola chiave: autosufficienza, da un giorno all’altro non le è più appartenuta. Cosa vuol dire, per un’anziana, chiudere per l’ultima volta la porta dell’appartamento dove ha sempre vissuto, sapere che non ripeterà mai più quelle piccole ritualità quotidiane che hanno riempito l’esistenza «in automatico»: accendere la tv, lisciare il copriletto, lavare i piatti nell’acquaio... Gesti tanto più familiari, quando non hai una famiglia. Michka ha dovuto trasferirsi in una residenza per anziani, dove anche aspettare è un’occupazione.

Le sue giornate sono raccontate, con impeccabile applicazione della tecnica dei punti di vista, da Marie, un’amica di lei assai più giovane, rimastale legatissima perché lei l’aveva accolta, in casa, da bambina, quando i genitori erano più assenza che conforto. E Jérôme, l’ortofonista che aiuta Michka negli esercizi per non perdere le parole. Sì, perché, come sempre, la paradossale, immancabile ironia della vita ha voluto che Michka, donna colta, correttrice di bozze in una grande importante rivista, confonda o dimentichi quelle parole che, per tutta la vita, sono state strumento e arena del suo lavoro.

E un the al limone diventi un the «al salmone». Ora che la sua vita è diventata un «perdere qualcosa» ogni giorno, il suo primo impegno vitale è ritrovare, a sua volta, le persone che l’hanno accolta quando era piccola, in una virtuosa ciclicità de «Le gratitudini»: da Marie a Michka, da Michka verso gli antichi, mai dimenticati benefattori. Marie che, con i suoi occhioni di bimba, tanto tempo prima aveva imparato la strada per andare a suonare dalla vicina, dove trovava asilo e protezione: «Lasci la luce accesa?», «Rimani qui con me?». E Michka, allora per la prima volta, aveva cominciato ad occuparsi («applicarsi») di qualcun altro: «È questo che cambia tutto, sai, Marie». Una salvezza per tutt’e due, per non essere solo dei tubi che ingeriscono ed espellono cibo. 

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