Bossetti: «Tumore? Una bugia, mi scuso
Ma in quel cantiere non mi pagavano»

Il carpentiere di Mapello, dopo aver parlato al mattino, è intervenuto anche durante l’udienza del pomeriggio per scusarsi di aver raccontato la storia del tumore alla testa. «Ma in quel cantiere di Seriate non mi pagavano mai».

Per la prima volta ha perso la pazienza. È scattato in piede e indicando il testimone ha contestato le sue dichiarazioni: «Non è vero, non è vero, non è vero...». La voce di Massimo Bossetti è echeggiata nell’aula del Tribunale dove si sta celebrando il processo per l’omicidio di Yara Gambirasio, che vede nel carpentiere di Mapello l’unico imputato. «Non è vero che ho mai minacciato di uccidermi...» ha detto Bossetti rivolgendosi ad Ennio Panzeri, in quel momento sul banco dei testimoni. L’uomo stava ricostruendo i rapporti di lavoro con Bossetti, spiegando che il carpentiere gli aveva detto «che non andava d’accordo con la moglie e pensava di suicidarsi». Affermazioni che Bossetti ha contestato in modo plateale, venendo richiamato dal giudice. La presidente l’ha poi autorizzato a parlare: «Non è affatto vero, non ho mai detto di essere stato in crisi, e soprattutto non ho mai detto niente. Il soprannome “favola” mi è stato dato solo da Panzeri, con il quale si erano incrinati i rapporti di lavoro». Poi sulla discoteca «Sabbie Mobili», Bossetti ha ricordato come esistesse già in una precedente gestione a Sotto il Monte «ma io frequentavo il Gabbiano di Chignolo».

Ma altre testimonianze di colleghi sono andate nella stessa direzione di quella del Panzeri: «Mi ha chiesto consigli sulla separazione perché anche io sono separato» ha aggiunto un testimone, ma Bossetti ha scosso la testa «Mi ha detto di volersi buttare dal ponte di Sedrina», gli ha fatto eco un altro, con Bosetti sempre più dissenziente.

Dopo udienze in serie dedicate alla scienza, quella di venerdì 18 dicembre sul caso Yara ha visto il ritorno a confronti vis-a-vis. Attesi in aula la bellezza di 18 testimoni, tutti in qualche modo legati al furgone Daily di Massimo Bossetti: sia perché sostengono di averne visto uno simile la sera della sparizione di Yara, o perché possessori di un modello analogo. Il primo testimone, forse il più atteso, è stato Federico Fenili, 49enne di Valbrembo: la sera del 26 novembre 2010, stava accompagnando la figlia dl corso di nuoto agli impianti sportivi di Brembate Sopra, gli stessi dove Yara è stata vista per l’ultima volta.

Fenili ha confermato quello che già aveva detto in tre deposizioni precedenti con polizia e carabinieri: «Stavo portando mia figlia al corso, che si tiene tra le 18,40 e le 19,30. Percorso il rettilineo dovevo svoltare a sinistra per parcheggiare. Dal lato opposto ho visto arrivare un furgone chiaro a tutta velocità». Una scena che il testimone, apparso inizialmente emozionato, dice di aver visto da circa una trentina di metri: «Erano le 18,40: ricordo di aver guardato l’orologio sul cruscotto perché ero in ritardo». Quindi nella fascia oraria compatibile con la sparizione di Yara Gambirasio. Claudio Salvagni e Paolo Camporini, legali di Bossetti, hanno cercato di mettere in discussione la veridicità del racconto di Fenili, sia in merito all’orario («In una deposizione aveva detto che erano le 18,41») che sulla distanza (Fenili avrebbe detto inizialmente 100 metri e non 30) e sul furgone: «Bianco o chiaro?». Da parte del testimone, qualche «non ricordo» ma ricostruzione sostanzialmente in linea con quelle rese alle forze dell’ordine nel periodo immediatamente successivo alla sparizione di Yara.

Successivamente sono state sentiti 5 proprietari di veicoli simili a quelli di Bossetti (un furgone Iveco Daily), ma dalle loro testimonianze non è emerso nulla di rilevante.

Bossetti ha parlato anche nel pomeriggio, quando ha parlato Claudio Andreolli, imprenditore di Bagnatica con un cantiere a Seriate, che ha spiegato di come Bossetti gli avesse raccontato di avere un tumore alla testa per assentarsi dal lavoro. L’imputato è intervenuto ammettendo di aver detto una bugia, ma soltanto per avere qualche possibilità lavorativa in più, visto che nel cantiere di Andreolli non veniva pagato: è emerso infatti che Bossetti era in credito di circa 10 mila euro. «Mi vergogno e mi scuso - ha sottolineato il muratore - , è vero, ho raccontato la storia del tumore alla testa soltanto perché era l’unica scusa valida che avevo pensato per assentarmi e trovare qualche lavoro in altri cantieri, visto che lì non ero pagato».

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