In prima linea: «Ci chiamano eroi
ma in noi qualcosa si è rotto»

Questo spazio è dedicato ai lettori che ci scrivono per condividere i loro sentimenti, i progetti in questo momento di isolamento forzato per combattere il coronavirus. Scrivete al nostro indirizzo email: [email protected] oppure attraverso la pagina Facebook de L’Eco di Bergamo.

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Sono stremati ma non si fermano. Vanno avanti, a testa bassa, anche se sono terrorizzati, anche se a volte si sentono impotenti. Li abbiamo chiamati eroi, angeli. Invece sono uomini, esattamente come noi. Fanno solo il lavoro più difficile in questo momento.

Nel cuore di un’infermiera

Hai l’aria stanca...

Sapessi il cuore...

Si va avanti un giorno dopo l’altro, un turno dopo l’altro, celandosi dietro la maschera di un sorriso, di un #molamia.

Ma dentro il cuore è a pezzi. Stringi i denti. I segni sul viso per la mascherina che stringe, le mani rovinate per la paura di poter essere contaminati. Il sudore sotto la tuta, la sete immensa, la pipì che scappa e te la devi tenere. La paura viscerale che non ti abbandona mai, nemmeno nel sonno.

La voglia di un bacio, di un abbraccio, di aria pura e sole sul viso. Ci chiamano eroi, ma siamo gli stessi di ieri, noi non siamo cambiati. O forse si! Perché dentro di noi, qualcosa si è rotto.

Cristina Algeri, infermiera, reparto Covid, Policlinico di Ponte

Condivisione

Sono un vigile del fuoco del comando di Bergamo. Ho appena terminato di leggere il messaggio di solidarietà e ringraziamento che il nostro Capo del Corpo ci ha mandato! Forse fino a pochi mesi fa queste parole non ci sarebbero entrate dentro come adesso ma ora personalmente le apprezzo.

Mi fa piacere e mi dà forza sapere che sia il vertice che la base di questo corpo sono sullo stesso livello.

Condividere le stesse paure, gli stessi sforzi è la vera solidarietà che ci accomuna alla gente e che forse, ultimamente, si era un po’ indebolita fra di noi.

Solidarietà che sento forte e mi commuove, oggi, dopo essere smontato dal servizio di ventiquattro ore e dopo gli interventi effettuati in questo servizio.

Non è cambiato niente ma è cambiato tutto! Sto toccando con mano e con l’anima la vulnerabilità, la solitudine, ma soprattutto la dignità vera delle persone, in questa surreale realtà che, è vero, ci accomuna tutti, ma sono soprattutto i più deboli, gli anziani, che subiscono impotenti.

E impotenti ci sentiamo noi, quando interveniamo perché non rispondono o sono caduti e non riescono ad aprire la loro porta a chi li cerca.

Accorriamo, apriamo e li affidiamo ai valorosi sanitari che, la maggior parte delle volte, dentro quegli “scafandri” che sono la loro unica protezione, sembrano alieni; e loro, gli anziani, bambini impauriti e spaventati, ma loro lo sanno che siamo li per aiutarli e li lasciano fare.

Ecco, è dopo che questa impotenza ci assale, lo leggo sui visi dei miei colleghi, della mia squadra, lo sento dentro di me che, come capo squadra, devo prendere decisioni e precauzioni.

Queste precauzioni, per noi e per loro che ci tolgono il contatto. Quel contatto che è così normale, così... umano!!!

Cito uno stralcio di una preghiera di Papa Giovanni: “... Cercate più quello che unisce che ciò che divide”.

Faremo di questo tesoro!!!n 
Giovanni

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