Malati covid,
riabilitazione a 360 gradi

Per il coronavirus l’istituto di San Pellegrino ha attivato un protocollo riabilitativo integrato.

Nella filiera delle cure messe a punto per i pazienti positivi al coronavirus c’ è un tassello importante, che chiude il lungo lavoro di recupero dei contagiati. Si tratta della riabilitazione.

Non di quella classica, però. Gli specialisti hanno messo a punto un protocollo specifico, chiamato appunto riabilitazione Covid-19. A illustrarne i dettagli il direttore sanitario dell’ Istituto Clinico Quarenghi di San Pellegrino, Daniele Bosone, che racconta anche come il presidio stia affrontando la Fase 2.

Nei giorni più bui dell’ emergenza si è parlato soprattutto di terapie intensive. Davvero anche la riabilitazione è stata altrettanto importante per i pazienti covid?

«Sì. Si è rivelata fondamentale per la filiera delle cure. Anche perchè non dobbiamo immaginare, come noi tutti avevamo fatto all’ inizio, si tratti di una semplice riabilitazione respiratoria. La tempesta infiammatoria da coronavirus colpisce talmente tanti altri organi oltre ai polmoni - pensiamo a cuore, cervello e reni, per citarne tre - che abbiamo dovuto mettere a punto una nuova riabilitazione assolutamente specifica, dedicata a pazienti rimasti per molti giorni in terapia intensiva oppure pazienti sub acuti».

Quali interventi prevede questo nuovo protocollo riabilitativo?

«Il primo gradino è rappresentato dallo svezzamento dall’ ossigeno e dal recupero dell’ autonomia respiratoria. Tenendo conto che ci troviamo davanti a pazienti rimasti a lungo allettati, c’ è poi la necessità di intervenire sul rafforzamento muscolare e il graduale recupero delle autonomie. L’ ultima fase, composta prevalentemente da esercizi di ginnastica aerobica, punta alla riabilitazione cardiologica. Molti pazienti hanno anche bisogno di una riabilitazione psicologica, fondamentale per la ripresa fisica. Ecco perchè abbiamo fatto entrare nel reparto covid i nostri psicologi: fare supporto attraverso uno schermo può avere un valore, ma ci siamo resi immediatamente conto che non aveva lo stesso effetto sui pazienti». È una riabilitazione a tutto tondo che coinvolge diverse figure professionali, quindi. «Esatto. Se ne occupa un’ equipe multidisciplinare composta da medici, fisioterapisti, psicologi e infermieri: tutte figure che, con grande generosità, si sono messe a disposizione in un periodo estremamente difficile. I pazienti con sindrome da allettamento possono avere bisogno di un periodo piuttosto lungo per riprendersi - in media 20 giorni, con picchi anche di 40 - e in questo periodo il legame con il personale sanitario si fa stretto e prezioso».

La vostra è una clinica specializzata soprattutto in campo riabilitativo, ma nella fase uno dell’ epidemia vi siete trovati a prestare, soprattutto, cure di primo intervento.

«Sì, nel periodo acuto di riabilitativo abbiamo potuto fare davvero poco, ci siamo trovati a dover curare soprattutto polmoniti interstiziali di pazienti dirottati alla Quarenghi da altri ospedali. Per noi è esistita però anche una fase “uno b”, chiamiamola così, in cui abbiamo iniziato a fare riabilitazione per i primi pazienti usciti dalla terapia intensiva: ed è stato in quei giorni che ci siamo resi conto che non c’ era solo da intervenire sulla respirazione. Per consentire ai pazienti di tornare alla normalità c’ era da mettere a punto un nuovo protocollo».

Gli ospedali, inclusa la vostra clinica, stanno piano piano tornando alla normalità. Non teme una seconda ondata?

«Noi speriamo di chiudere il reparto isolato dedicato al Covid-19 entro fine giugno. Ma ci sentiamo pronti: dovessero esserci recrudescenze, questa volta sappiamo come si fa. Sappiamo come individuare e isolare i focolai, sappiamo trattare l’ infezione, sappiamo anche qual è il protocollo riabilitativo da impiegare sui pazienti contagiati. Insomma, non dovremmo ripartire daccapo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA