Ricoveri quasi dimezzati
Il coronavirus fa male al cuore

La grande paura di contrarre il Covid-19 ha tenuto lontano dagli ospedali gli infartuati: mortalità triplicata.

In tempi di Covid, l’infarto rimane una cosa seria, spiega il dott. Fernando Scudiero, specialista in malattie dell’apparato cardiovascolare, dirigente medico dell’Unità operativa complessa di Cardiologia e Unità coronarica dell’Asst Bergamo Est, convenzionata con Politerapica - Terapie della Salute di Seriate.

L’infarto del miocardio
Le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte in Italia con 24.000 decessi all’anno e sono 7,5 milioni le persone che nel nostro Paese hanno a che fare con problematiche legate alla salute del cuore. La principale tra queste è l’infarto miocardico che si verifica quando un coagulo interrompe improvvisamente il flusso di sangue all’interno di un’arteria coronaria, vaso che porta l’ossigeno a una parte del muscolo cardiaco. L’interruzione del flusso di sangue con il protrarsi dei minuti e delle ore può danneggiare o distruggere una parte del muscolo cardiaco. Tuttavia, se la circolazione viene ripristinata in tempi brevi, il danno può essere limitato o addirittura evitato.

Angioplastica, cura mini-invasiva
La migliore cura possibile in caso di infarto miocardico è l’angioplastica coronarica, una procedura mini-invasiva che viene eseguita a paziente sveglio in anestesia locale. Il cardiologo interventista la effettua inserendo un tubicino in un’arteria generalmente a livello del polso, che viene avanzato fino all’origine della coronaria chiusa. Successivamente, un filo guida viene fatto procedere attraverso il tubicino all’interno della coronaria oltre il punto di occlusione. È così possibile utilizzare un catetere a palloncino che viene gonfiato per breve tempo allo scopo di riaprire l’arteria occlusa e successivamente impiantare uno stent a maglia metallica rivestita da farmaco, che ne assicura la pervietà a lungo termine, impedendone nuovi restringimenti.

Il fattore tempo
Quando l’angioplastica viene effettuata entro poche ore dall’insorgenza dei sintomi, rappresenta un intervento salva vita, riduce il rischio di recidiva di infarto e migliora la sopravvivenza e la qualità di vita. In caso contrario, l’infarto può essere fatale. Questo accade spesso quando le persone confondono i sintomi con una malattia meno grave, come l’indigestione, e ritardano l’accesso in ospedale. La sintomatologia tipica, campanello di allarme della malattia, soprattutto se insorge a riposo, consiste in un forte dolore al petto o alla bocca dello stomaco, generalmente irradiato al braccio o al collo. Una volta che il paziente, dopo aver riconosciuto i sintomi, allerta il servizio di emergenza territoriale e viene preso in carico dai soccorsi, si attiva la «Rete dell’Infarto» che in caso di conferma della diagnosi, tramite esecuzione di elettrocardiogramma, provvede al trasporto presso l’ospedale più vicino fornito di servizio di emodinamica H24 e 365 giorni l’anno, per eseguire l’angioplastica: prima si interviene, prima il sangue torna al cuore.

Situazione pericolosa
Le patologie tempo-dipendenti, come l’infarto e l’ictus, sappiamo curarle con codici e procedure validate, eppure la paura del contagio da Covid-19 ha allontanato molti pazienti dagli ospedali, con conseguenze drammatiche e in molti casi tragiche. La diffidenza, nonostante il grande sforzo per mantenere attivi tutti i percorsi di diagnosi e cura, di emergenza o urgenza, rischia di vanificare i risultati ottenuti con terapie all’avanguardia e gli sforzi investiti nella prevenzione delle patologie cardiovascolari durante gli ultimi venti anni. Il calo più evidente negli accessi in ospedale ha riguardato proprio l’infarto miocardico acuto, con una riduzione dei ricoveri superiore al 60%. Non solo i pazienti si presentano in numero ridotto, ma anche in ritardo, un ritardo deleterio e talora fatale che impedisce il trattamento tempestivo di una patologia in cui il fattore tempo è cruciale. I dati della Società Italiana di Cardiologia infatti riportano che, nell’ultimo anno, la mortalità per infarto è triplicata, passando dal 4,1 al 13,7 %, e le procedure salvavita si sono ridotte del 40% a livello nazionale, dato confermato dai numeri dell’Asst Bergamo Est, in cui dalle circa 1000 angioplastiche eseguite nel 2019 si è passati a circa 650 procedure nel 2020.

Bisogno di fiducia e vicinanza
«L’epidemia della paura - conclude il dott. Scudiero - si diffonde più veloce del virus e silenziosamente miete vittime anonime, morti che possiamo e dobbiamo evitare grazie allo sforzo collettivo, alla corretta informazione e alla promozione della salute. Abbiamo innalzato vetri di plexiglass, misurato distanze ed interposto mascherine tra noi ma mai come ora c’è bisogno di fiducia e vicinanza».

© RIPRODUZIONE RISERVATA