Aborti selettivi, «nazismo
di oggi con i guanti bianchi»

Nel proprio recente, bellissimo discorso al Forum delle famiglie, Papa Francesco ha affrontato, tra gli altri, anche il tema dell’aborto selettivo. «Ho sentito dire che è di moda o almeno è abituale – ha affermato – che quando nei primi mesi di gravidanza si compiono gli studi per vedere se il bambino non sta bene, la prima offerta è: “lo mandiamo via”. L’omicidio dei bambini. Per risolvere la vita tranquilla si elimina un innocente». «Da ragazzo – ha aggiunto il Papa – la maestra che insegnava storia ci parlava della rupe, per buttarli giù, per salvaguardare la purezza dei bambini. Un’atrocità, ma noi ci comportiamo nello stesso modo». «Perché – si è chiesto ancora il Papa ad alta voce – non si vedono nani per la strada? Perché il protocollo di molti medici dice: viene male, mandiamolo via». «Nel secolo scorso – ha scandito il Pontefice – tutto il mondo si è scandalizzato per quello che commettevano i nazisti. Oggi ci comportiamo nello stesso modo, ma con i guanti bianchi».

Quando in Inghilterra si è parlato dell’introduzione, da parte del sistema sanitario nazionale, del nuovo test sul Dna materno, che avrebbe portato gli aborti dei bambini affetti da sindrome di Down oltre il 90 per cento, le famiglie già con figli in questa condizione genetica hanno protestato. «In Italia, invece, nessuno parla per smascherare un immaginario falso sulla condizione di queste persone, mentre occorrerebbe un battaglia culturale e di testimonianza», ha dichiarato Roberto Volpi, statistico e autore del volume «La sparizione dei bambini down. Un sottile sentimento eugenetico percorre l’Europa» (editrice Lindau). Com’è possibile sperare in una inversione di marcia?

Finché andremo avanti con la politica degli esami preventivi, ci sarà poco da fare: i calcoli, infatti, confermano che la capacità di accoglienza diminuisce con la crescita di quella diagnostica. Bisogna sapere guardare alla realtà di questi figli. A differenza di cinquant’anni fa, in cui si scommetteva poco su questi bambini, spesso lasciati chiusi nelle proprie case, sono stati compiuti progressi enormi, grazie all’inserimento in una normale vita di relazioni. Il problema è culturale. Attraverso la testimonianza loro e delle molte associazioni che in Italia se ne occupano, occorre smascherare la falsa equazione sano è felice, down è infelice. Oggi è quasi vero il contrario. Questi bambini sono persone molto più serene della media, anzi, la loro debolezza diventa la forza dei loro genitori.

«La disabilità, nel pensiero corrente, è associata al fallimento e alla dipendenza. Ci dispiace per i disabili, perché ci immaginiamo che sia triste esserlo. Ma ci sbagliamo». Sono le incisive parole di Tom Shakespeare, il sociologo inglese affetto da acondroplasia, una malattia che dal 2008 l’ha costretto alla paralisi. Mette in luce quello che «a volte viene definito come “il paradosso della disabilità”». Infatti, se si guarda alla percezione che i portatori di handicap hanno di sé, emerge che sono più felici della media delle persone «normali». «Gli studi rivelano che i disabili sostengono frequentemente di avere una buona qualità di vita, a volte anche migliore di quella dei non disabili», sottolinea il sociologo. Emerge che «non sono condizionati dalle proprie capacità fisiche».

Nel 2011 Brian Skotko, genetista a Boston, ha pubblicato studi sull’«American Journal of Medical Genetics» per descrivere l’impatto della sindrome di Down sui malati e sulle loro famiglie. Oltre il 96 per cento dei fratelli dei bambini con la trisomia, la causa genetica della sindrome, dice di amarli, il 94 di esserne orgoglioso. I fratelli più grandi, inoltre, nell’88 per cento dei casi si credono migliori grazie alla presenza dei malati. Ancora più felici sono i genitori: il 99 per cento di loro è innamorato dei propri figli, il 97 per cento ne è orgoglioso e il 79 è convinto che la propria visione della vita sia migliorata grazie alla loro presenza. Infine, emerge che il 99 per cento dei bambini dai 12 anni in poi, affetti da sindrome di Down, è felice della propria vita, il 97 per cento soddisfatto di ciò che è e il 96 di come appare.

La disabilità, dunque, ci offre un insegnamento unico: gli esseri umani possono trovare soddisfazione e ottenere felicità dai rapporti con la propria famiglia e con gli amici, anche in assenza di altre conquiste.

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