Le tecnologie avanzano
Salviamo l’umanesimo

L’incessante rivoluzione tecnologica in atto ha accresciuto la distanza tra le generazioni. I figli sono più svelti dei padri nello stare al passo con le continue novità digitali. C’è sempre stato un momento nella vita degli adolescenti in cui le figure dei genitori smettono di rappresentare dei miti: scoprendone gli inevitabili difetti, i ragazzi tendono ad allontanarsi, cercando riferimenti altrove. È un fenomeno ricorrente nel tempo: si pensi, per esempio, alla dirompente contestazione giovanile del Sessantotto.

Oggi questa frattura tra padri e figli non è fomentata da utopie di trasformazione sociale e politica. Anzi: i ragazzi, privi degli idealismi dell’epoca dei padri, si dimostrano, il più delle volte, ancor più realisti nell’accettare lo stato di cose esistente come irreversibile, anche nelle sue più evidenti storture e ingiustizie. I giovani sono, semplicemente, più pronti nell’adeguarsi. E così come ai tempi, pure alle nuove tecnologie. La figura dei padri, di conseguenza, ora è corrosa non da ideologie contrarie al concetto di autorità, ma, più banalmente, da social e smartphone. Così questi ultimi minano, ancora più di quanto non avvenisse già in passato, la comunicazione tra le generazioni e, conseguentemente, la consegna di un patrimonio, inestimabile, di memoria e di identità.

L’uso dei nuovi dispositivi non dovrebbe essere demonizzato, ma nemmeno incentivato. Com’è noto, dal ministero della Pubblica Istruzione è arrivato, accompagnato da un decalogo di regole, il via libera al ricorso responsabile agli strumenti digitali nella didattica. Dal testo ministeriale emergono, in particolare, due idee forti: la consapevolezza che «è la didattica che guida l’uso competente e responsabile dei dispositivi» e la sottolineatura della necessità che «l’alleanza educativa tra scuola e famiglia si estenda alle questioni relative all’uso dei dispositivi personali».

La strada che il ministero italiano ha scelto di imboccare va nella direzione opposta rispetto a quella intrapresa dalla Francia, dove il ministro dell’Istruzione, Jean-Michel Blanquer, ha introdotto il divieto di usare gli smartphone a scuola. Due risposte alternative al medesimo fenomeno. In Italia l’89,3% dei giovani usa i «telefoni intelligenti». Il primo apparecchio è posseduto già all’età di 8, 9 anni. L’Italia sceglie di puntare sull’educazione, partendo dalla convinzione che «proibire l’uso dei dispositivi a scuola non è la soluzione».

Anche sul ricorso a chat tra professori e studenti è aperto il dibattito. C’è chi, come l’ex ministro Francesco Profumo, sostiene: «è bene che la scuola sia più vicina agli studenti rispetto al passato e debba usare i nuovi strumenti», comprese le chat. Chi, invece, come la psicopedagogista Barbara Tamborini, ribatte: «senza un progetto didattico, l’online rischia di diventare un Far West. E la responsabilità cade sui docenti».

La scuola dovrebbe insegnare, innanzitutto, il mestiere di studiare. Se allontana i ragazzi, ancor più di quanto già non lo siano, dalla lettura attenta e analitica dei testi, non solo non li educa e forma, ma contribuisce ad aggravare la crisi antropologica in corso, distanziandosi dal modello della scrittura nato con Platone e coltivato e preservato per millenni.

Allo stesso modo, è corretto migliorare l’orientamento – del tutto insufficiente, salvo eccezioni – agli studi superiori e universitari e all’offerta esistente nel mondo del lavoro. A questo proposito, il presidente degli industriali di Cuneo esorta le famiglie con un figlio in età da liceo a fargli fare, semplicemente, l’operaio e a non inseguire «aspetti emotivi e ideali», inconciliabili con «l’esame obiettivo della realtà». Per carità: il lavoro nobilita, sia intellettuale sia manuale.

Chi decide di fare l’operaio, ma anche chi sceglie studi tecnici, non dovrebbe dimenticare, però, il respiro umanistico ereditato da millenni di cultura. Il compito della scuola deve continuare ad essere, innanzitutto, quello di tramandare l’eredità dell’umanesimo, mai così minacciata come in questa era digitale. Se pensiamo che l’altra rivoluzione tecnologica, cui stiamo assistendo, accanto alla digitale, è quella dell’intelligenza artificiale, ci rendiamo conto di come sia in gioco il futuro stesso della persona umana, nei termini in cui è esistita fino ad ora.

Salviamo l’umanesimo, prima di doverlo rimpiangere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA