«Inattesa Teheran
fra caos e chador»

TEHERAN (IRAN) La Panda «senzafreni» spopola anche in Iran. L’irriducibile utilitaria e il team sono entrati in territorio iraniano nella serata di martedì 28 luglio e stati salutati con molta curiosità e simpatia, colpi di clacson e con un cordiale «benvenuti in Iran» in inglese urlato dalle automobili incrociate lungo la strada.

TEHERAN (IRAN) La Panda «senzafreni» spopola anche in Iran. L’irriducibile utilitaria e il team sono entrati in territorio iraniano nella serata di martedì 28 luglio e stati salutati con molta curiosità e simpatia, colpi di clacson e con un cordiale «benvenuti in Iran» in inglese urlato dalle automobili incrociate lungo la strada. Della delicata e complessa situazione politica parleremo nell’articolo di venerdì 31 luglio, ma noi non abbiamo avuto nessun problema, almeno per il momento.

Il racconto precedente era datato Erzurum in Turchia. L’ho inviato con la posta elettronica dopo tentativi fantozziani. Nella nostra camera avevamo la possibilità di connetterci a internet con il sistema wireless, per non disturbare Marco Carrara che dormiva mi sono rintanato in bagno per scrivere e salvare e preparare le fotografie di corredo all’articolo. Tra lavoro e svariati pisolini sono arrivate le quattro di notte e, quando finalmente stavo per inviare, è saltata la connessione. Inutili le due ore di tentativi. Così sono dovuto correre di prima mattina in un internet point per inviare il materiale e non perdere ulteriore tempo sulla via del confine. Ennesimo team on the road, stavolta spagnolo. con cui abbiamo ingaggiato un bel duello. A Dogubayazit abbiamo deviato in direzione del magnifico palazzo-castello di Ishak Pasa Sarayi che si erge su un altura e sembra piombato lì da una favola, da «Le mille e una notte».

Prima di rientrare in carreggiata ci siamo fermati a Dogubayazit per rifocillarci ed esaurire le ultime lire turche. Dopo aver comprato il formaggio e una grande pagnotta di pane, sono entrato in una macelleria per l’affettato. Il giovane che la gestiva era intento a pregare inginocchiato su un tappetino, io l’ho scorto soltanto in un secondo momento. Lui si è subito alzato, ha recuperato un coltello da un negozio vicino e mi ha riempito la pagnotta con un salsicciotto. Costo una lire turca (mezzo euro), volevo dargliene due per ringraziarlo e scusarmi un po’ per l’irruzione indelicata, ma il giovane non ha accettato. «Tu sei il benvenuto», ha replicato. E’ una delle scene del viaggio che non dimenticherò.

Pranzo al sacco con sullo sfondo il Monte Ararat, dove si sarebbe arenata, secondo la leggenda, l'Arca di Noe dopo il diluvio universale.
Al confine turco di Gurbalak procedure più lunghe del previsto, per regolarizzare l’uscita della macchina sono dovuto passare da tre postazioni, aiutato da un maneggione che ha preteso 25 euro per il supporto. Incredibile l’aria mafiosa di un doganiere, a cui veniva implorato di apporre l’agognato timbro quasi in ginocchio. La Panda non è stata minimamente controllata. All’ingresso in Iran, confine di Bazargan, non ci sono stati problemi data la regolarità del visto e del carnet de passage, ovvero il documento che consente l’importazione temporanea di un veicolo. Maggiori complicazioni per i partecipanti inglesi del Mongol Rally, a causa delle frizioni tra i due Paesi. A differenza del 2001, quando i controlli in entrata erano stati rigidi (mi avevano controllato persino libri e cd), ma l’iter burocratico si era rivelato limpido, così come la professionalità dei funzionari, stavolta mi ha sorpreso negativamente il clima da tangenti delle vecchie repubbliche sovietiche. Il riferimento è sempre al 2001, speriamo che la musica sia cambiata nell’ex Urss.

Abbiamo dovuto pagare 20 dollari a uno pseudo-funzionario iraniano per il carnet de passage e nemmeno stavolta qualcuno ha dato una sbirciatina all’interno della Panda. Un’ora e mezza di attesa e via per la prima tappa, a Tabriz, con le indicazioni stradali in persiano solo talvolta tradotte in inglese. Condizioni meteorologiche pazzesche per un Paese come l’Iran: pioggia, con strade allagate, vento fortissimo e bufere di sabbia! E dire che in dieci giorni non avevamo visto nemmeno una nuvoletta. A Tabriz era ormai tarda sera, abbiamo girato disperatamente per un’ora alla caccia di un hotel e infine abbiamo ingaggiato un anziano tassista. Io sono salito in auto con lui: mi ha tempestato di musica iraniana e di parole, delle quali ho intuito il 5%.

L’arzillo driver ci ha condotto in un tour tra alberghi e pensioni fin quando, verso l’una di notte, siamo caduti di schianto su un letto. Mercoledì siamo sfrecciati a Teheran: 600 km di autostrada a pagamento attraverso un paesaggio desertico affascinante costituito da montagne color ocra, verde e marrone. E’ dalla Turchia che viaggiamo a più di mille metri di quota. Tra le persone che ci hanno voluto conoscere e stringere la mano anche due famiglie residenti nel Kurdistan che hanno voluto sottolineare il loro status di minoranza etnica. Sulla strada pure quattro team inglesi. Non vediamo invece un equipaggio italiano dalla Serbia.

Caos all’entrata di Teheran, città che - con l’area metropolitana - ha più di 13 milioni di abitanti. Non avevamo una mappa, in mano soltanto un indirizzo. Ci siamo naturalmente persi in un traffico allucinante in cui non esistono assolutamente precedenze: passa chi è più aggressivo. Dopo un tentativo di estorsione di un tassista che pretendeva una cifra elevata per accompagnarci, tentativo stigmatizzato da alcune donne che avevano sentito la conversazione, si è creato così un capannello di gente che discuteva, ci ha salvato un afgano trapiantato in Iran che ci ha scortato in hotel con un motorino. Era così abile che si divincolava nella giungla di macchine e camion e contemporaneamente parlava al telefonino! Ci ha accompagnato per più di mezz’ora e abbiamo dovuto insistere perché accettasse la giusta ricompensa. La serata ci è stata utile per intuire che l’Iran è un Paese islamico, ma senza integralismi. Purtroppo non ci si può concedere nemmeno un birretta perché l’alcol è vietato (anche se volendo lo si scova), ma in generale la vita quotidiana si sviluppa secondo canoni non lontani da quelli occidentali.

Le donne hanno il foulard che copre i capelli come fondamento del loro look, mentre lo chador non è indispensabile. Abbiamo visto molte ragazze sorridenti in jeans e scarpette da ginnastica. Fuori dall’hotel c’era Amin, uno studente di architettura che abita nella stessa via. Ha insistito perché visitassimo la sua casa e il ben giardino interno e perché cenassimo lì. Con lui e suoi tre amici, armati di narghilè, che non abbiamo avuto il tempo di fumare, e di casse stereo ultrapotenti che sparavano dalla loro auto musica di Michael Jackson , abbiamo visitato uno splendido parco nel cuore della città: ormai era mezzanotte, ma era come se fosse giorno con famiglie stese sul prato a fare il pic nic, conversare e giocare. Un Iran abbastanza inatteso.

Marco Sanfilippo

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Eco di Bergamo L'ingresso in Iran