«A Zurigo tutto funziona
Ma mi manca la Val Seriana»

Una borsa di studio in mano e una valigia: destinazione Zurigo. Era il lontano 2005 quando Rossana Seghezzi, 37enne originaria di Premolo, attraversò le Alpi per raggiungere la Svizzera. Doveva essere solo un’esperienza universitaria all’Istituto italiano di cultura di Zurigo, ma a distanza di undici anni Rossana vive ancora lì. Gli studi in marketing presso l’Università di Trieste sono terminati da un po’, e la premolese lavora come marketing manager per una grande azienda svizzera, attiva in tutta la Confederazione.

«Sono partita perché durante l’università – racconta Rossana Seghezzi – ho vinto una borsa di studio istituita dal ministero degli Esteri, per dare la possibilità ai giovani di fare un’esperienza lavorativa all’interno di una delle sue rappresentanze all’estero. Mi ero candidata per una delle due borse disponibili in tutta Italia per la lingua tedesca, scegliendo come prima opzione Vienna e come seconda Zurigo. Alla fine mi hanno mandato all’Istituto italiano di cultura di Zurigo e dopo undici anni sono ancora qui, anche se ho cambiato lavoro».

« L’accoglienza? È stata un mix di positività e negatività. Da un lato il direttore dell’Istituto mi ha integrato immediatamente nel team di lavoro e mi sono ritrovata a dover mettere in pratica sul campo nozioni che, fino a quel momento, avevo solo appreso in maniera teorica come organizzare un evento culturale, farne il business plan e la proiezione del budget. Dall’altro l’impatto con il tedesco è stato devastante: a Zurigo, ma in tutta la Svizzera tedesca in generale, non si parla il tedesco standard, ma bensì il dialetto, il famigerato “schweizer dütsch” che cambia notevolmente da città in città e che all’inizio per me era incomprensibile».

Seppur siano due passi a dividere il territorio elvetico da quello italiano, la 37enne si è accorta solo dopo di non conoscere affatto alcune sfaccettature di quel paese. «Mi aspettavo un paese freddo – ricorda – sia dal punto di vista climatico che dell’accoglienza. Mi ricordo ancora come se fosse oggi di essere andata con mia mamma a comprarmi calzini di lana grossi prima di partire, chissà forse mi ero immaginata la Svizzera come la Siberia, invece le temperature sono le stesse che a Bergamo. Su una cosa però non mi sono sbagliata: mi aspettavo una mentalità diversa da quella italiana, legata alle regole e orientata al rispetto delle stesse, e così è stato. In Svizzera il senso civico è molto forte, la società ha un elevato rispetto per la cosa pubblica e ogni singolo aspetto burocratico è chiaramente definito e regolamentato. Non ci sono grigi: o bianco o nero. Descritto così può sembrare un sistema di vita noioso e prevedibile, a tratti lo è ma nel momento in cui capisci come funziona e non ti disperi più per le mille lettere che ti mandano la Confederazione, il Cantone, il Comune, il quartiere, la cassa malati etc., ovviamente in tedesco burocratese, l’orizzonte inizia ad aprirsi».

Undici anni di assenza da casa iniziano però, a volte, a farsi sentire. La malinconia è parecchia, e anche le piccole cose, quelle apparentemente più insignificanti, diventano particolarmente vitali. «Mi mancano le sfumature, i toni della mia lingua – racconta Rossana – sebbene dopo più di dieci anni possa dire di parlare un buon tedesco. Mi manca uscire dal lavoro e vedere la gente che fa l’aperitivo, parola sconosciuta in Svizzera, dove alle 18 la gente cena. Mi mancano la storia e la cultura del mio paese. Mi manca pagare in euro. Mi manca il pranzo della domenica con la polenta fatta con la farina del mulino, ok, qui qualche volta la preparo ma è quella istantanea. Mi manca il caffè, quello vero, quello da prendere in velocità al bancone del bar per poco più di 1 euro, anziché la brodaglia che mi bevo qui a peso d’oro. Mi manca scrivere agli amici per un’uscita spontanea: qui si programma tutto con largo anticipo, anche le serate al pub. Più di tutto mi manca l’aria di casa, la mia famiglia, i miei nipoti. Macino chilometri e chilometri per cercare di rientrare a Bergamo e vederli il più spesso possibile. Tornare in Italia? La domanda delle domande, a cui mi sento di rispondere: sì, vorrei tornare».

Così vicine ma così lontane. Le differenze, sotto qualsiasi aspetto, tra l’Italia e la Svizzera sono davvero enormi, ed evidenti agli occhi di tutti. «La Svizzera è precisa al dettaglio – sottolinea la premolese –, funzionante come un meccanismo ben oleato, con una natura ricca e accattivante ma è un po’ fredda, con poca anima. Funziona tutto perfettamente, tanto perfettamente che quando il treno ritarda di tre minuti parte la catena di annunci del personale ferroviario che si scusa per l’enorme disagio causato. È la bella che non balla. L’Italia, nelle sue mille contraddizioni e problematiche, ha un cuore pulsante e un’intelligenza vibrante. È l’amica estroversa che anima la festa, restia ad ascoltare consigli esterni. Per quanto riguarda invece Bergamo la vedo una città in crescita, sia dal punto di vista dell’offerta turistica che culturale. A mio avviso, l’amministrazione e tutti gli enti preposti a far conoscere città e provincia sono riusciti a far crescere Bergamo e le sue valli come destinazioni turistiche molto interessanti. Oggi Bergamo non ha più quell’immagine di “gregaria di Milano”. Ho proprio riscontrato di persona la differenza dello straniero nel percepire la nostra città: fino a qualche anno fa la mia risposta, a chi qui a Zurigo mi chiedeva da dove venissi, era sempre la stessa: Bergamo, a 50 km da Milano. Quando provavo a dire solo “Bergamo”, occhi spalancati e facce perplesse. Oggi quasi non finisco di dire il nome della città che ricevo cenni positivi con la testa e la gente mi dice “sì, la conosco, ci ho fatto qualche giorno di vacanza. Bellissima. Città Alta e non solo”».

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