Serena: in Svezia coltivo
la passione per la ricerca

«Ho deciso di partire per l’estero per mettermi alla prova fuori dall’Italia, soprattutto nell’ambito del mio lavoro». Serena Bettoni, 35 anni, originaria di Monasterolo del Castello, spiega così i motivi che da tre anni la tengono lontano da casa. «Subito dopo essermi laureata alla Bicocca di Milano, nel luglio 2009, in Biotecnologie industriali, sono entrata all´Istituto di Ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano tramite un concorso aperto, “Scuola della regione per Specialisti in ricerca farmacologica”, un praticantato di tre anni accessibile ai laureati nell’ambito delle materie scientifiche e sono rimasta per sette anni, fino al 2016, facendo tre anni come ricercatrice junior e quattro come studente di dottorato internazionale in collaborazione con la Open University di Milton Keynes (UK). Io svolgevo le mie ricerche nella sede di Ranica dell’istituto e lavoravo con la dottoressa Marina Noris nell´ambito delle malattie genetiche rare. Alla fine del mio percorso di dottorato ho deciso di andare all’estero per conoscere il mondo della ricerca fuori dall’Italia».

A dicembre 2016 il primo spostamento. «A settembre 2016 ho scritto a “Novartis Pharma Ag”, un’azienda multinazionale svizzera che opera nel settore farmaceutico, con cui avevamo già collaborato durante gli anni all’”Istituto Mario Negri”, per vedere se avessero qualche opportunità da offrirmi e, dopo una giornata di colloqui, mi hanno offerto di lavorare per loro per un anno e ho accettato. Finita l’esperienza Svizzera, dove vivevo a Basilea, ho, però, capito che il mio desiderio era quello di tornare a fare ricerca di base e che avrei voluto tornare a lavorare nell’ambito accademico. Così, ho cercato una posizione da postdoc, sempre all’estero. Ovviamente ho voluto continuare a restare nell’ambito della ricerca dell’immunità innata, in cui ormai lavoro da tanti anni e che mi appassiona».

Così, marzo 2018, Serena si è trasferita in Svezia, a Malmö, dove vive e lavora ancora oggi. «Quando si fa ricerca si conoscono più o meno tutti i gruppi nel mondo che si occupano del tuo stesso ambito. Quindi, a dicembre 2017, mi sono scritta una lista di nomi di gruppi di ricerca in Europa di cui mi piaceva quello che stavano facendo e li ho contattati per vedere cosa poteva succedere. Tra le varie opzioni che mi si sono palesate c’era questa in Svezia e, dopo un colloquio via Skype durante le vacanze di Natale, mi è stato offerto un posto di due anni come postdoc. Da marzo 2018, quindi, lavoro per il gruppo di ricerca di Anna Blom, ricercatrice e professoressa dell’Università di Lund. Qui mi occupo sempre di ricerca per l’immunologia, ma nell’ambito delle infezioni batteriche: sto cercando di capire come fanno alcuni batteri a sopravvivere nel nostro corpo e causare malattie anche gravi, per poi trovare nuove cure contro le infezioni batteriche di cui ci occupiamo».

Serena lavora in un gruppo di ricerca in cui l’aria che si respira è internazionale. «Oltre a me, che sono l’unica italiana, ci sono due greci, un olandese, sei polacchi, una spagnola, un turco, un indiano, un inglese, una francese, due svedesi (solamente!) e una tedesca. All’inizio è stato complicato, perché l’inglese non è che lo sapessi poi così bene e in laboratorio si parla solo questa lingua, ma poi ho ingranato e ora va molto meglio. Lavorare con tante persone di tante culture e provenienze diverse è bello e stimolante e mi ha aiutato a capire tanto anche su me stessa. Ad esempio all’inizio quando parlavo mi guardavano tutti strano, perché da italiana gesticolavo molto e nessuno era abituato: così ho capito che anche un piccolo gesto, come spostare i capelli dietro le orecchie mentre parlo è caratteristico della mia persona, sono io. A me piace molto questo scoprirmi attraverso gli altri».

Coi colleghi, poi, si è instaurato nel tempo un bel rapporto. «Esco spesso, la maggior parte delle volte coi colleghi. Si mangia fuori, si va ai musei, a teatro, al cinema o si viaggia. E d’estate dopo il lavoro si va tutti insieme a fare un tuffo al mare. Esatto, nel Mar Baltico, sempre freddissimo e pieno di alghe, non proprio fantastico come il mar Mediterraneo, però uno poi ci fa l’abitudine. La cosa difficile però è conoscere nuove persone, perché qui sono tutti molto chiusi. Ovviamente, ho conosciuto qualche altro italiano che vive qui e mi trovo anche con loro». Ora, Serena, ha toccato con mano cosa c’è fuori dall’Italia nel suo ambito lavorativo. «La cosa bella è che in Svezia investono tanti soldi per la ricerca. Hanno tanti finanziamenti sia privati che pubblici e supportano molto i giovani. La competizione c’è, ma anche la meritocrazia e la possibilità di sviluppare nuove idee. Devo dire che personalmente mi è piaciuto molto lavorare all´Istituto Mario Negri perché quel periodo mi ha dato tanto, ho fatto tanta gavetta ed esperienza sul campo, come in pochi altri Paesi. Diciamo che in Italia impari a cavartela con poco, visto i pochi fondi, ottimizzando idee e risorse. Per l’esperienza avuta finora devo dire che mi piace molto lavorare all’estero. È davvero molto stimolante».

E il futuro? «L’Italia ovviamente mi manca molto, soprattutto il cibo, così come la mia famiglia e i miei amici. Così come mi manca il nostro modo di vivere e la socialità del nostro Paese. Ma non so ancora cosa farò alla fine dei 2 anni di postdoc che ho qui. Se penso solo al mio lavoro, qui è spettacolare e mi piace tantissimo e probabilmente metterei la firma per sempre, magari spostandomi anche in altri posti in Europa. Il contro è che, appunto, mi mancano gli affetti e per questo mi piacerebbe tornare in Italia, ma non so se sono pronta a fare un compromesso dal punto di vista lavorativo».

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