Bergamo, terziario e 2° lockdown
Le perdite sfiorano gli 800 milioni

Dai bar ai negozi: in ginocchio in tutti i comparti, centri commerciali compresi. L’Ascom: «Il settore sta scivolando in un baratro, questi sono soldi veri».

Cambiano i colori delle zone ma non quello dei conti: rigorosamente in rosso. La seconda ondata è costata al terziario bergamasco qualcosa come quasi 800 milioni di perdite: 787 milioni 844mila 950 euro per la precisione. Un risultato che gli operatori del settore definiscono ben più drammatico del primo lockdown di primavera perché ha colpito in un periodo tradizionalmente favorevole per il commercio e la ristorazione, a cavallo tra le feste natalizie e i saldi. «Queste cifre testimoniano il baratro nel quale sta scivolando il terziario bergamasco» è l’amaro commento di Oscar Fusini, direttore Ascom, associazione che ha rielaborato i dati del periodo da inizio novembre a metà gennaio. «Questi non sono capitali teorici ma soldi veri persi da qualcuno: sacrifici e sofferenze di decine di migliaia di famiglie del nostro territorio che stanno perdendo lo stipendio, il compenso del loro lavoro e vedono le loro imprese spegnersi annegando in un mare di debiti che non potranno più restituire».

Il dramma della ristorazione

La tabella che pubblichiamo è solo una sintesi di un’analisi ben più articolata che prende le mosse da una serie di provvedimenti che hanno messo la Lombardia in zona rossa dal 6 novembre, poi arancione dal 27, gialla dal 13 dicembre, un mix tra arancione e rosso dal 24 dicembre al 6 gennaio, ancora arancione dal 7 (con i primi due giorni di giallo rafforzato) e rossa da lunedì. Non è solo una divagazione cromatica: ad ogni cambio il settore ha dovuto adattarsi, ridurre e cambiare orari e modalità di lavoro. Prendiamo la ristorazione: la perdita complessiva del comparto ammonta a oltre 387 milioni e mezzo, ma con scansioni ben precise: 110 milioni (e rotti) in un novembre con tre settimane in zona rossa, poi quasi 86 (85,7) nel primi 13 giorni di dicembre in arancione e 55,9 nei secondi 10 in gialla. Nel periodo delle feste natalizie vere e proprie con un mix di colori tra l’arancione e il rosso (che di fatto ha impedito di aprire se non per asporto) la perdita è stata di 83,3 milioni. In pratica a dicembre la ristorazione ha lasciato sul tavolo qualcosa come 225 milioni: un disastro difficile da rimediare. E se a gennaio, ancora in un mix a prevalenza arancione, i dati delle prime due settimane si stabilizzano sui 51,7 milioni, il rientro nella rossa non potrà che fare male, anzi malissimo.

Complessivamente i ristoranti hanno perso qualcosa come 225 milioni in due mesi e mezzo (a fronte di un fatturato annuo di 440 milioni), ma la mazzata è stata terribile anche per i bar, penalizzati da coprifuoco, asporto e aperture a singhiozzo: il rosso ammonta a qualcosa come 158,6 milioni su un totale annuo di 401,5.

Nota bene, tutti i calcoli sono stati fatti attribuendo ad ogni settimana un coefficiente particolare sulla scorta dei fatturati degli anni passati e del periodo dell’anno: per fare un esempio, se novembre ha un valore del 3,5%, a dicembre questo oscilla tra il 6 e l’8% perché è un periodo particolarmente favorevole. Per questo motivo gli addetti ai lavori considerano i danni della seconda ondata ben superiori a quelli della prima, economicamente parlando. Al punto tale da giustificare un’analisi così dettagliata che prima non era stata fatta.

Vestiti e scarpe in crisi nera

Note molto dolenti anche per l’abbigliamento e gli altri settori che registra complessivamente una perdita di fatturato di 400 milioni e 273 mila euro così suddivisa: 124 milioni e 800 mila euro per i centri commerciali e 275 milioni 473 mila per tutto il resto. Anche in questo caso è stato tutto un intrecciarsi di ordinanze regionali, Dpcm e decreti natalizi che hanno reso difficile la vita anche ai centri commerciali che di fatto sono rimasti penalizzati per oltre 9 settimane con un calo delle vendite che l’Ascom stima in un 50%, frutto della chiusura forzata di buona parte dei negozi nei weekend e nei prefestivi.

I dati presi in considerazione in questa categoria riguardano abbigliamento e calzature e i periodi sono due, novembre e Natale, per avere una certa uniformità tra i vari provvedimenti intercorsi, spiega chi li ha elaborati. I centri commerciali hanno perso 33 milioni e 600 mila euro di fatturato a novembre e 91,2 nel periodo natalizio: 124,8 milioni a fronte di 240 milioni annui. Più della metà.

Ma se Atene piange, Sparta non ride: il commercio fuori dai grandi mall ha registrato nello stesso periodo una perdita di fatturato di 199,4 milioni a novembre (tre settimane di zona rossa, ricordiamolo) e di oltre 76 nel periodo natalizio. Abbigliamento e calzature hanno perso qualcosa come 80,3 milioni di fatturato a novembre e 40,8 nelle feste. Quello annuo è intorno ai 510 milioni, per avere un termine di comparazione.

Numeri che portano Fusini e l’Ascom ad una semplice, ultima considerazione. Anzi, ultimativa: «Se non si consentirà di riaprire il prima possibile ai pubblici esercizi ai ristoranti e ai negozi dando fiato ai consumi l’ecatombe toccherà l’intera filiera agroalimentare e il manifatturiero italiano. Altro che servizi non necessari come li ha definiti il Governo bar, ristoranti e negozi non alimentari. Senza dimenticare che potrebbe innescarsi un black out complessivo che toccherà tutti i consumi, fino a quelli alimentari».

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