«Botte e insulti dal mio ex marito
perché volevo realizzarmi sul lavoro»

«Volevo emanciparmi ma lui mi ostacolava»: una preside denuncia 20 anni di violenze subite dal marito. Il caso finisce a processo: l’imputato nega gli addebiti.

Minacce, insulti, maltrattamenti e atteggiamenti assillanti, oltre in alcune occasioni a vere e proprie percosse e, in qualche caso, anche abusi. Il tutto, ha sostenuto mercoledì 13 marzo in aula la vittima, per ben vent’anni, in una famiglia all’apparenza del tutto normale, e solo per impedire alla donna – stando alle accuse – una forma di emancipazione e di realizzazione personale. «Cercavo una mia emancipazione, volevo studiare e realizzarmi – ha detto la donna, 42 anni, preside di una scuola privata specializzata in recupero anni scolastici e residente in un paese dell’hinterland (omettiamo l’indicazione a tutela sua e dei figli minori) –. Lui mi ha ostacolata e insultata ripetutamente. Però lo amavo: per questo ho aspettato vent’anni prima di denunciarlo. Ho sempre sperato che cambiasse, e invece non è successo».

Secondo quanto contestato dalla pubblica accusa, retta mercoledì dal pm Carmen Pugliese davanti al Collegio del Tribunale di Bergamo presieduto dal giudice Giovanni Petillo (a latere Laura Garufi e Rosanna Puzzer), il marito della 42enne, C. M., 45 anni, avrebbe cominciato questi atteggiamenti di minacce e insulti, dettati per l’accusa in parte dalla gelosia, fin dal 1996, anno del matrimonio. All’epoca la coppia viveva in provincia di Varese, poi nel 2012 si era trasferita nell’hinterland di Bergamo. La situazione sarebbe precipitata a partire dal 2013, quando finalmente la donna, dopo molti ostacoli, è riuscita a realizzare il suo sogno di aprire un centro scolastico, dove per un certo periodo ha lavorato anche lui. «Fin da subito avevo detto a mia figlia che era l’uomo sbagliato, ma era innamorata – ha sostenuto la madre di lei, chiamata a testimoniare –. Una volta sono intervenuta in un litigio: abitavamo vicino, li ho sentiti urlare e li ho separati. Lui si è inginocchiato e ha chiesto scusa. L’ho perdonato ma ho sbagliato».

In almeno un altro paio di occasioni la donna ha dovuto far ricorso a cure mediche e, ha denunciato, più volte avrebbe dovuto sottostare a rapporti non voluti (di qui l’accusa di violenza). Alla fine, nel 2015, lo ha lasciato, portando con sé i figli. Ben diversa la ricostruzione che, agli inquirenti, avrebbe dato invece il marito: discussioni sì, percosse e minacce invece no, men che meno aggressioni fisiche. Ieri in aula sono state sentite anche alcune dipendenti del centro scolastico, che hanno confermato il forte turbamento della preside e di aver sentito spesso urla e discussioni. Prossima udienza, per sentire la sorella della vittima e i testimoni di parte civile, il 15 maggio; il 22 verranno sentiti i testimoni della difesa e l’imputato. 

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