Calusco: «Il ponte non aprirà alle auto
Ci vorranno almeno due anni di lavori»

Necessaria la totale messa in sicurezza: il ponte di Calusco non riaprirà alle auto. Almeno due anni di lavori.

Non ci resta che aspettare. Perché così ad occhio è difficile che il ponte di Calusco possa riaprire prima di due anni anche al solo traffico veicolare, come auspicato da tutti. «Allo stato attuale direi di no. Le valutazioni le farà nel dettaglio Rfi, ma prima c’è da mettere in completa sicurezza il ponte San Michele: la struttura è instabile e lo resterà fino a quando non verranno sostituite parti metalliche importanti» spiega Pasquale Gandolfi, vicepresidente della Provincia e delegato alle Infrastrutture. Quindi l’ipotesi di una prima apertura alle auto, magari dopo un annetto di lavori, per poi passare ai treni, finisce nel cassetto.

Si lavora semmai ad una possibilità di transito per bici e pedoni. «È tutto un calcolo ad incastro, condizionato dalle soluzioni tecniche che Rfi adotterà in sede di progettazione esecutiva. Per ora ci hanno assicurato che quando aprirà il cantiere ci lavoreranno giorno e notte per abbreviare i tempi».

Un ponte che non si regge da sé

L’ordine delle priorità condiviso venerdì in Prefettura vede «al primo posto la riapertura il prima possibile al passaggio ciclopedonale, appena la struttura sarà stabile, nella consapevolezza che la presenza di bici e pedoni non mette a repentaglio il ponte anche durante il cantiere» prosegue Gandolfi. «Questo vuol dire che il primo intervento riguarderà la sistemazione del piano stradale, sperando che non vada a compromettere la struttura sottostante. La seconda priorità è la riapertura al traffico ferroviario e poi a quello veicolare».

In sostanza Rfi sarebbe intenzionata a permettere il passaggio delle auto «solo nel momento in cui avrà la certezza che il ponte sia idoneo a sorreggere il tutto, soprattutto se stesso». Perché il problema non sarebbero né le auto né il treno, ma il peso stesso del San Michele. E se il traffico ferroviario ha un peso maggiore, è comunque più omogeneo rispetto a quello veicolare. «Nel momento in cui fanno salire le auto sul ponte, questo deve essere assolutamente idoneo: e per esserlo bisogna prima sistemare la parte strutturale, intervenendo in modo massiccio sulle parti ammalorate. E sono tante. Non basta sostituire la sede stradale per far passare le auto, bisogna operare sulla struttura intera».

Margini di recupero non sembrano esserci «a meno che Rfi nel progetto esecutivo trovi soluzioni migliorative, tali per esempio da permettere la sostituzioni di più pezzi in contemporanea. Ma se le cose non cambiano, stiamo parlando di 2 anni di chiusura». Pedoni a parte. «Che potrebbero arrivare con una navetta dalla stazione di Calusco ad un lato del ponte, percorrerlo a piedi e trovare dall’altra parte una navetta che li porti alla stazione di Paderno. Il che permettere di risparmiare molto tempo rispetto agli attuali 45 minuti via Brivio».

«Nessuno può decidere da solo»

Capitolo divieti su altri ponti: rientrata l’ipotesi di limitazioni su quello di Trezzo, Gandolfi si dice «perplesso davanti al fatto che un sindaco tratti queste situazioni come se fossero solo sue. Nel momento in cui si manifestano determinate criticità bisogna confrontarsi, sempre: nessuno può decidere da solo su un bene che non è di sua proprietà. Tanto più in questo momento complesso».

Anche per questo sul ponte di Brivio «venerdì in Prefettura abbiamo tutti concordato sul fatto che la situazione resterà immutata, senza limitazioni alla portata dei mezzi in transito». Nonostante i leccchesi fossero di un altro parere. E sui ponti provvisori alternativi (da Villa d’Adda a Imbersago, in varie forme, compreso quello di barche) «bisogna calcolare costi e benefici, anche in termini ambientali e di traffico: si parla di 2 milioni di euro e 10 mesi di lavoro per il ponte che Rfi si è detta disponibile a darci. Senza contare tutto l’iter autorizzativo che si annuncia lungo. Bisogna valutare bene».

A proposito di iter: «Rfi ha completato il progetto definitivo e va sottoposto al placet di diversi enti. Ma vanno sottoposte a parere anche le opere provvisionali, tutte quelle cioè necessarie alla predisposizione del cantiere». Ed è un fior di problema: «Serve l’ok del Parco dell’Adda, ma le loro norme vietano interventi del genere. Quindi occorre una deroga regionale, previo passaggio in Commissione e Giunta. Solo a quel punto il Parco può dare il nulla osta, ma prima ne serve un altro preventivo... Insomma, nell’attesa della nomina di un commissario (che comunque non esclude i poteri delle Sovrintendenze - ndr) si è deciso di fare un esame condiviso in Regione per stringere i tempi dove possibile». Sì, non ci resta che aspettare. E sperare, soprattutto.

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