Cartabellotta: la terza ondata è possibile
«Bergamo la provincia più immunizzata»

Per Nino Cartabellotta (Fondazione Gimbe) ci sono tutti gli elementi per una «tempesta perfetta». «Il giallo riflette più i desiderata della politica che l’andamento dei contagi». Bergamo la provincia più immunizzata.

Lo scorso agosto aveva già lanciato un allarme che purtroppo non è mai stato raccolto. E i risultati si sono visti: seconda ondata in autunno e curva dei contagi fuori controllo. Ora, alla vigilia delle imminenti festività, Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, è ugualmente preoccupato. Tutto - è la sintesi - lascerebbe presagire l’arrivo della tanto temuta terza ondata. «Una tempesta perfetta», la definisce. Che, visti i precedenti, dovrebbe indurre alla massima prudenza.

Professor Cartabellotta partiamo dalla curva dei contagi, anche le vostre proiezioni più recenti indicano un’ulteriore calo a fronte però di una decisa riduzione dei tamponi: cosa significa?

«Nel monitoraggio Gimbe relativo alla settimana dal 2 all’8 dicembre, rispetto alla precedente, si conferma la riduzione del numero dei nuovi casi (136.493 contro 165.879), ma il risultato non è dovuto solo alle misure introdotte. Rimane infatti stabile il rapporto tra positivi e casi testati e, soprattutto, si registra un’ingiustificata riduzione di oltre 121 mila casi testati (-18,1%). In altri termini, i nuovi casi scendono sia per effetto delle misure introdotte, sia per la ridotta attività di testing: il numero dei tamponi totali, rispetto alla settimana compresa tra il 12 e il 18 novembre, è sceso in media di quasi 28 mila tamponi al giorno».

Ha idea del perché diminuiscano questi test?

«Tante ipotesi, ma pochi dati per confermarle. Dall’impatto dei tamponi antigenici rapidi come test screening (di cui non esiste un reporting ufficiale) a quelli eseguiti per scelta dei cittadini nelle strutture private che potrebbero non essere tutti rendicontati. Dalla minore attitudine al testing delle Regioni, all’abbandono definitivo dei sistemi di tracciamento. Il che significa che i contatti vengono lasciati in quarantena senza effettuare alcun tampone».

La scorsa estate sono stati fatti evidentemente degli errori e lei, a nome della fondazione, aveva suonato il campanello d’allarme. Ritiene che le più recenti disposizioni del Governo siano sufficienti a evitare una terza ondata?

«Già dai primi di agosto la Fondazione Gimbe, tramite report settimanali, segnalava l’inversione della curva dei contagi prima e poi dei ricoveri in ospedali e terapie intensive, ma sino a quando i numeri non spaventano, la politica non interviene. Il primo argine di contenimento della seconda ondata è presto “saltato” per il mancato potenziamento del sistema di testing e tracing e le misure di mitigazione sono state introdotte troppo tardi, visto che il tentennamento della prima parte dell’autunno ha generato ben quattro Dpcm in poco più di tre settimane. Adesso, in vista della “stretta di Natale” tutte le Regioni stanno per diventare gialle, un colore che riflette più un desiderata della politica che il quadro del contagio e la situazione ospedaliera. Infatti, le curve scendono molto lentamente: oltre 680 mila casi attualmente positivi rendono ancora impossibile una ripresa del tracciamento, mentre ospedali e terapie intensive sono sopra la soglia di saturazione in 15 Regioni. Se aggiungiamo i tre mesi di inverno che ci aspettano e l’impatto dell’influenza stagionale, oltre che il senso di liberazione per l’arrivo del vaccino, ecco servita la tempesta perfetta per l’innesco della terza ondata».

Posto che una sottovalutazione nei mesi scorsi c’è stata, almeno nell’ultimo mese l’attuale strategia dei 21 indicatori e delle quattro zone qualche risultato l’ha dato: è ancora questa la strada da seguire?

«Ci sono stati timidi miglioramenti, ma il sistema presenta tre criticità rilevanti. Innanzitutto, affida all’indice Rt, che presenta diversi limiti, un peso enorme nel determinare il colore della Regione. Ed essendo il primo indicatore a scendere “sbiadisce” il colore anche se il numero di nuovi casi continua a salire e/o persistono segni di sovraccarico ospedaliero rilevanti. In secondo luogo due settimane sono poche per stabilizzare i risultati e il “cambio di colore” rischia di far rialzare la curva. Infine, l’entità del miglioramento di alcuni parametri è sovrastimata sia da ritardi di notifica e completezza dei dati comunicati dalle Regioni, sia da alcuni fattori di non sempre chiara interpretazione».

A cosa si riferisce?

«Alla sopracitata diminuzione dei casi testati e alla limitata esecuzione del tampone nei contatti di positivi, con relativa riduzione dell’incidenza di nuovi casi; al ritardo di comunicazione delle date di diagnosi, prelievo e inizio dei sintomi, che abbassano il valore dell’indice Rt e alla conversione di posti letto di area medica destinati a pazienti affetti da altre patologie, con riduzione del tasso di occupazione ospedaliera».

Bergamo dopo ciò che ha vissuto la scorsa primavera sembra aver retto meglio: si è fatto un’idea del perché? E, a questo proposito, condivide la richiesta dei territori meno colpiti dalla seconda ondata di adottare lockdown più mirati, magari a livello provinciale?

«Bergamo è stata la provincia più colpita d’Italia durante la prima ondata: l’indagine sieroepidemiologica nazionale ha attestato una sieroprevalenza del 24%, rispetto al 7,5% della Lombardia. Successivamente uno studio dell’Istituto Mario Negri ha documentato una sieroprevalenza del 38,5%. Se a questo aggiungiamo anche la verosimile, seppur non quantificabile, immunità da cellule T (non mediata da anticorpi), oggi Bergamo è di fatto la provincia “più immunizzata” d’Italia. La strategia dei lockdown a livello provinciale, o addirittura comunale, era fondamentale nei mesi di settembre-ottobre e la Fondazione Gimbe l’aveva richiesta a gran voce. Ma solo pochissimi amministratori locali e presidenti di Regioni si sono assunti la responsabilità di attuare misure restrittive locali, determinando di fatto una estensione del contagio».

Infine, il tema che più vi sta a cuore: quello dei dati. Voi già lo scorso maggio avevate lanciato l’allarme sulla sottostima dei dati lombardi, senza trascurare, a livello più generale, l’appello lanciato da alcune associazioni al governo perché vengano rilasciati in formato machine readable tutti i numeri sulla pandemia: la campagna #datibenecomune. Siamo di fronte a uno scenario ancora lacunoso o qualche passo avanti alla fine è stato compiuto?

«Piccolissimi passi: conosciamo il numero di ingressi giornalieri in terapia intensiva, ma non le dimissioni e i decessi, né i flussi dei pazienti ricoverati in area medica. Nulla su dove avvengono i decessi: terapia intensiva, ospedale, Rsa, domicilio, altro. Nessun dettaglio a livello di provincia, né tantomeno di Comune. Ma al di là degli esempi specifici, la cultura dei #datibenecomune non ha ancora “contaminato” politica e istituzioni. Ci sono troppi anticorpi neutralizzanti per un atto dovuto di democrazia».

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