Coronavirus, seimila morti in due mesi
Netto calo in aprile - I dati dei Comuni

L’aggiornamento dell’indagine de L’Eco sui decessi reali. Ad aprile sono in totale 2.000, di cui 1.250 riconducibili all’emergenza Covid.

Non è tornato tutto come prima. Non ancora, nemmeno nel drammatico bilancio dei decessi, nonostante le notizie incoraggianti degli ultimi giorni. Anche ad aprile la mortalità è rimasta sopra la media degli ultimi anni. È vero, la curva si è abbassata rispetto a marzo, ma il punto di partenza era un picco (si spera) irripetibile nella storia della provincia di Bergamo. Dalle 5.700 morti nel primo mese di emergenza si è passati, dall’1 al 30 aprile, a 2.000 decessi per tutte le cause, 1.250 riconducibili a Covid-19. Più del doppio rispetto alla media di 789, mentre a marzo la distanza è stata di sei volte tanto. Un sospiro di sollievo spezzato, che non può lasciare tranquilli fino in fondo soprattutto leggendo il bilancio complessivo: 7.700 bergamaschi morti in poco più di due mesi di emergenza coronavirus e 6.000 oltre la media degli ultimi anni, quindi riconducibili all’epidemia. Numeri crudeli, che non rendono giustizia alle tante vite spezzate nelle ultime settimane. Nonni, mamme, papà, occhi, volti, nomi e cognomi, storie e ricordi che L’Eco racconta ogni giorno. Perché «ogni vita è un racconto», come spiega bene il titolo del memoriale dedicato alle vittime del coronavirus.

Gli stessi numeri però sono fondamentali per fare chiarezza e capire cosa è successo. L’Eco di Bergamo e InTwig, agenzia di ricerca e analisi dati, hanno dato seguito all’indagine lanciata a marzo per continuare a fare luce sul numero reale dei decessi in provincia di Bergamo. Un approfondimento che ha contribuito a mostrare l’impatto del Covid-19 in tutta la sua drammaticità e ha dato il via a una serie di inchieste identiche in altre province italiane e nel resto del mondo. Nelle zone più colpite - Bergamo, New York, Madrid e Londra - la curva si è impennata ben oltre i numeri ufficiali diffusi ogni giorno dalle istituzioni. A marzo, in Bergamasca, il conto ufficiale era fermo a 2.060, ad aprile a 2.971, ieri a 3.085. È stato proprio il divario tra l’ufficialità e la realtà, le morti «invisibili», a far scattare questa indagine.

Anche per questo nuovo aggiornamento, decisivo per fotografare l’andamento in provincia di Bergamo, L’Eco e InTwig hanno chiesto ai 243 Comuni orobici i dati dei decessi aggiornati ad aprile. Hanno risposto 147 amministrazioni. Grazie all’analisi di InTwig, che oltre al dato storico dei decessi considera anche le differenze territoriali e demografiche - struttura della popolazione, età media, ambiti delle Ats, densità della popolazione nel complesso territorio provinciale - è possibile accertare che i morti di aprile in provincia di Bergamo sono stati 2.000, in discesa rispetto a marzo, ma sopra la media degli ultimi anni. Chi si aspettava una frenata più netta deve così parzialmente ricredersi. È la conferma della coda lunga delle vittime, purtroppo uno degli ultimi dati destinato ad azzerarsi, anche adesso con i contagi sotto le soglie di guardia.

Qualcosa però è cambiato, non solo nel triste bilancio prima esponenziale e ora in calo: la pressione sulle terapie intensive degli ospedali bergamaschi è rientrata. Significa che medici e infermieri, al limite delle forze in quelle tragiche settimane di marzo, assistono con ancora più attenzione i malati. Significa soprattutto che i casi positivi in condizioni critiche vengono individuati per tempo evitando il rischio di decessi nelle case senza alcun tipo di tracciamento, in assenza di tampone. È stato proprio questo il limite più clamoroso di marzo, quando l’aggiornamento ufficiale si è fermato a 2.060 decessi mentre sul territorio morivano più del doppio delle persone senza essere intercettate dai test. Adesso non è più così. Cosa è successo? In attesa di studi approfonditi, gli esperti stanno formulando alcune ipotesi. La prima, da verificare solo con dati dettagliati, è che il virus con il passare delle settimane abbia perso parte della sua aggressività. La seconda ipotesi, basata sulla cronaca del lavoro nelle terapie intensive, è che si è passati dall’emergenza estrema a una situazione sempre preoccupante, senza però la pressione spasmodica delle prime settimane. Tutto in attesa di capire cosa succederà durante l’estate.

Bergamo sta ripartendo e il contagio sembra essere sotto controllo. Anche i bergamaschi, come tutti gli italiani, guardano al futuro con speranza. Ma qui la perdita dei propri cari è più grave rispetto a qualsiasi altra città del Paese, se non dell’Europa intera.

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