Covid, fase 2 e medici di base
«Ora i pazienti disertano l’ambulatorio»

Molti pazienti preferiscono essere visitati su Whatsapp anzichè in studio.

A sentir parlare di fase due, i medici di base arricciano il naso. Loro, fra i principali testimoni di cosa sia stata l’altra fase – quella più dura, quella delle migliaia di morti in una manciata di giorni –, sono ancora tutti sul chi va là. Attenti a scovare e anticipare nuovi focolai. Ma è indubbio che qualcosa stia succedendo nell’ambito della medicina di famiglia, in questa seconda fase dell’epidemia: fioccano segnalazioni di pazienti che preferiscono consulenze telefoniche ad appuntamenti in carne ed ossa, oppure che – per quel malessere che non li lascia dormire sonni tranquilli – preferiscono essere visitati su Whatsapp anzichè in ambulatorio.

I segni indelebili dell’epidemia iniziano a farsi vedere. «Sta cambiando il rapporto coi pazienti – conferma Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo – ed è cambiato anche il nostro approccio. Premessa: in Italia non funzionerà mai il modello di altri Paesi stranieri, dove il rapporto medico paziente è quasi esclusivamente basato sulla teleassistenza. Nemmeno lo vogliamo, noi medici. C’è però da dire che, prima dell’epidemia, c’era un’overdose di presenza fisica, un eccesso di consulenza de visu. Ecco: non sarà più così, cambierà l’abitudine di passare fisicamente dal medico per questioni facilmente risolvibili al telefono, si potenzierà la telemedicina e la teleassistenza. E non sarà così fra cent’anni: già adesso si inizia. Anche e soprattutto in vista di una possibile ripresa dei contagi in autunno». Con i pazienti a centellinare (già adesso) le uscite in luoghi chiusi, ambulatori compresi, cambierà – e sta già cambiando – anche il modo di lavorare dei medici stessi.

«Dovremo essere più esaustivi e risolutivi. Non potremo tergiversare o dire ai pazienti di tornare per riaggiornarci la settimana successiva, accumulando appuntamenti su appuntamenti. Anche perchè le sale d’attesa dovranno essere ben organizzate e costantemente sanificate, bisognerà far entrare solo su appuntamento, noi dovremo avere una quantità enorme di dispositivi di protezione che, ad oggi, ancora non sono disponibili, e di certo non potremo invitare tutti coloro che avranno la febbre fra ottobre e novembre, nel pieno del picco influenzale, a presentarsi negli studi. Quindi, sì, cambierà e sta già cambiando anche il nostro modo di lavorare».

Un cambiamento che, non per forza di cose, deve essere inteso come al ribasso. «In realtà questa epidemia qualcosa di buono, dal punto di vista della nostra professione, ce lo ha lasciato – dice Paola Pedrini, medico di base e segretario regionale Fimmg, Federazione italiana medici di medicina generale -: penso ad alcune delle molte richieste che da anni facevamo senza essere ascoltati. Per esempio, l’utilizzo a tappeto delle ricette dematerializzate finalmente è realtà. Certo, il rapporto con i pazienti sta cambiando, ed è facile immaginare che si punterà molto sul telemonitoraggio».

Dal suo osservatorio privilegiato – l’ambulatorio di Trescore Balneario – anche la Pedrini analizza questa fase due: «Inizio col dire che dal nostro punto di vista l’emergenza non è finita, e qualche nuovo caso c’è. Certo, il ritardo nell’elaborazione dei tamponi non ci consente di avere la percezione dell’andamento in tempo reale, ma non ci sono dubbi che nuovi casi ci siano. È vero che in questa seconda fase si iniziano a vedere i segni lasciati dall’epidemia anche nel rapporto fra medici e pazienti: per paura di essere contagiato qualcuno preferisce i consulti telefonici, anche se gli viene spiegato che in molti casi è necessaria una visita in carne ed ossa. Ma confesso che c’è anche qualche paziente che sembra essersi dimenticati di tutto, come se non fosse successo nulla nella nostra terra, e inizia ad avanzare richieste proprio inappropriate per il periodo. Ecco, forse in questo momento un po’ di equilibrio non guasterebbe».

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