Dalle iris di Trebecco sboccia benessere
E appassisce un passato drammatico

Nel giardino nella località di Credaro Cristina Mostosi ha superato il dolore della violenta scomparsa della sorella 17 anni fa.

La bellezza è in ogni luogo, basta avere gli occhi per vederla, e secondo Dostoevskij «salverà il mondo». Si può perfino coltivare, come fa Cristina Mostosi nel suo giardino, «Le iris di Trebecco», a Credaro, prendendosi cura dei fiori del padre Luigi: è un lavoro impegnativo e faticoso ma potente, perché col tempo ha medicato le più profonde ferite del cuore, facendo germogliare il dolore, trasformandolo in qualcosa di diverso. Le iris sono fiori dall’aspetto gentile e fragile, c’è chi le chiama «orchidee dei poveri», perché se ne trovano moltissime nei prati, lungo i torrenti, sul greto dei fiumi. Non tutti sanno, però, quanto siano tenaci e robuste: c’è stato un tempo in cui i contadini le seminavano sui terreni scoscesi, perché con le loro radici facevano da argine al terreno.

L’argine alla disperazione

Per la famiglia Mostosi hanno avuto un ruolo ancora più importante: in anni difficili hanno fatto da argine anche alla disperazione e al vuoto lasciato dalla giovane Paola, la «piccola» di casa, figlia e sorella molto amata, barbaramente uccisa diciassette anni fa, quando ne aveva soltanto 23. «Una ragazza splendida – la ricorda Cristina – intelligente, piena di vita».

Il giardino delle Iris è quello della casa di campagna, un appartamento piccolo e accogliente incastonato in un castello medievale. Quando la famiglia Mostosi l’ha acquistato, sotto le sue finestre si stendeva un terreno impervio, incolto, pieno di erbacce, ma comunque affascinante, ben esposto al sole, con una vista impagabile sul fiume Oglio e sul castello dei Conti Calepio. «L’idea delle Iris è stata di mia madre – racconta Cristina –. Originaria di Grumello, si ricordava che i contadini le mettevano nei fossati, perché con le loro radici rizomatose col tempo formavano vere e proprie dighe e compattavano il terreno».

Il fiore dedicato a Bergamo

Quella casa è piena di ricordi felici: Cristina e i suoi fratelli vi hanno trascorso insieme le estati spensierate dell’infanzia, correndo tra prati e boschi e facendo il bagno nel fiume. «Qui si conserva l’anima della mia famiglia. Ricordo ancora quando abbiamo piantato le prime iris, del tipo più comune, che chiamano “germanica”. Col tempo, nei loro viaggi, i miei genitori hanno scoperto altre specie, altre storie legate a questi fiori. Mio padre si è appassionato molto al giardinaggio, ha seguito un corso di ibridazione, ha imparato a creare da sé nuove specie e colori. Ha dedicato un fiore, rosso e giallo, alla città di Bergamo. È riuscito a ottenere anche una particolare sfumatura di rosso, colore molto raro per le iris, e ha conquistato così nel 2004 il premio promosso dal Comune di Firenze con la Società italiana dell’iris. Ha stretto contatti con altri coltivatori in tutta Europa. Questa passione l’ha sostenuto negli anni che hanno seguito la morte di mia sorella. Di fronte a un dolore così grande, impossibile da esprimere e da superare, ci si deve comunque aggrappare a qualcosa di bello. Mio padre ci credeva davvero, è stato un creatore di bellezza, ed essa l’ha aiutato a sopravvivere, ad allontanarsi dagli orrori del mondo e a ritrovare la pace. Ogni mattina alle 5 era già nel suo giardino, lo considerava un laboratorio a cielo aperto, il suo rifugio, ma tornava a casa a Torre Boldone alle 7,30, in tempo per essere accanto a mia madre quando si alzava. Lei non è mai riuscita a superare la perdita della figlia, è passata da un esaurimento all’altro, nessuno ha potuto consolarla, si è rifugiata in un mondo solo suo, dove è rimasta fino alla morte».

L’assassino di Paola

La vita della famiglia Mostosi è stata colpita duramente dall’assassinio di Paola, e ognuno ha reagito in modo diverso. Cristina, che all’epoca aveva due figli piccoli, dopo poco tempo si è separata dal marito: «Una tragedia così grande spinge a interrogarsi sulla propria vita. Questo può rafforzare una relazione oppure mandarla all’aria mettendone a nudo le fragilità. Mi sono rimboccata le maniche e sono andata avanti». In passato non dedicava molto tempo al giardino: «Ogni tanto aiutavo mio padre, con affetto ma senza particolare inclinazione. Lui però mi conosceva bene, e ha saputo scegliere per me». Quando è morto, qualche anno fa, ha scelto, infatti, di affidare a lei la cura delle iris: «È successo all’improvviso – spiega –, per un attacco di cuore, e io sono rimasta a lungo a chiedermi che cosa dovessi fare, addolorata e smarrita. Mi sono goduta il periodo della fioritura, poi me ne sono andata per qualche mese da Castel Trebecco, dovevo elaborare il lutto: mio padre era la mia roccia, il mio porto sicuro. Mio fratello vive a Montecarlo con la sua famiglia ormai da più di vent’anni, perciò senza il papà mi sono sentita davvero sola. Quando sono tornata, il giardino mi è sembrato un luogo deserto, abbandonato: mi sono accorta che con l’avanzare dell’età mio padre aveva un po’ trascurato i lavori di mantenimento ed era quindi necessaria una ristrutturazione radicale. Ho chiamato diversi giardinieri, ma nessuno ha voluto accettare l’incarico, perché era un compito troppo faticoso, su un terreno in forte pendenza, con tanti gradini da fare. Ho capito che avrei dovuto occuparmene da sola. Non ne sapevo abbastanza, perciò mi sono messa a studiare, creandomi una piccola biblioteca. Mi sono resa conto che prendermi cura di un giardino non implica soltanto mantenere in vita le piante che lo compongono, ma alimentarne il carattere e lo spirito». Cristina ha deciso così di conservare l’impronta data da papà Luigi: «Ho ripulito i sentieri che aveva tracciato, ho ricostruito i muretti a secco che sostenevano le terrazze e i gradini con lo stesso materiale che aveva scelto lui, il tufo. Quello che ho scelto arriva dalla Toscana, è naturale, si mimetizza molto, quasi non lo vedi, dà all’insieme un aspetto gradevole, armonioso».

I mattoni, però, sono pesanti: «È stato un lavoro enorme, e non ho ancora finito. Fortunatamente ho avuto accanto i miei amici e la mia famiglia. Si è attivata un’incredibile catena di solidarietà. Mi hanno aiutato soprattutto i miei cugini, questa impresa è diventata un’occasione per riunirci, mantenerci in contatto, fare qualcosa insieme. Così il nostro legame si è rafforzato».

Il giardino delle iris ha trasformato la vita di Cristina: «Ho cambiato i miei ritmi di vita per seguire quelli della natura. Lavoro in banca e vivo in città, e da qualche anno ho ottenuto un part-time verticale che mi permette di trasferirmi a Castel Trebecco dal giovedì alla domenica e di mettere le mani nella terra. Mi scortico, mi taglio, porto sulla pelle i segni di questo lavoro, che in cambio mi dà moltissima soddisfazione. Da aprile ho aperto il giardino al pubblico, offrendo visite guidate, e ho incominciato a partecipare ad alcune fiere di settore, come Orticola a Milano, un’esperienza importante e bellissima. Sono soltanto all’inizio ma ho già avuto visitatori da molte parti d’Italia e perfino dall’estero. Ora i miei figli Giulia e Fabio sono grandi, frequentano l’università e vivono a Milano. Ho più tempo a disposizione, e lo dedico tutto al giardinaggio. Sto scoprendo man mano nuove possibilità. Ho creato nuove relazioni con associazioni ed enti culturali e turistici sul territorio».

Incontri importanti

Grazie all’incontro con Mariagrazia Dammicco, presidente del Wigwam club giardini storici di Venezia, per esempio, ha partecipato per due anni con le sue iris al Festival dei giardini della Serenissima. In quell’occasione ha conosciuto Luciano Cecchetti, curatore dei Giardini del Vaticano e di Castelgandolfo, che le ha trasmesso i requisiti più importanti per un bravo giardiniere: un terreno fertile, mani forti e molta pazienza. «I suoi consigli mi hanno aiutato a far rifiorire il giardino, cercando di dargli un tocco personale, mettendo l’accento sulla bellezza e sul benessere, inteso nel senso più ampio, spingendomi ad arricchirlo con tutto ciò che mi fa stare bene. Poi il giardino ha fatto rinascere me, offrendomi nuove prospettive, pensieri e opportunità inaspettate».

Nuove idee

Cristina non sta mai ferma: organizza conferenze, incontri, laboratori di acquerello botanico e tradizionale en plein air tra le iris di Trebecco, tiene lezioni a scuola. «Parlo agli studenti della cura del verde come un modo per occuparsi anche di sé, per riappropriarsi di gesti e dimensioni che spesso si perdono vivendo in città, dove è difficile accorgersi perfino dello scorrere del tempo e delle stagioni».

Il giardino di Castel Trebecco è fertile, perché genera bellezza in moltissimi modi, concreti, grazie ai suoi fiori, e simbolici: «Continuano a nascere idee, sto pensando anche di avviare alcune collaborazioni con associazioni di volontariato. Vorrei che il mio giardino diventasse una fonte benefica non solo per me ma anche per altri».

Il terreno che franava

E pensare che tutto è cominciato dalla necessità di contenere un terreno che rischiava di franare: «Nella mitologia greca Iris è il nome della messaggera degli dei, una fanciulla alata che cavalca l’arcobaleno. I miei fiori sono robusti, resistenti e rustici, e spargono allo stesso tempo delicatezza e fascino con il loro aspetto, i colori sgargianti, il loro profumo, l’essenza che se ne ricava è costosissima. Ho cercato di recuperare tutte le specie di mio padre, e in futuro vorrei seguire anch’io un corso di ibridazione e magari uno stage in Olanda o in Francia. Per ora è solo un sogno: lo realizzerò quando andrò in pensione e potrò dedicarmi ai fiori a tempo pieno. Il giardino ha cambiato il mio orizzonte, mi ha insegnato che ho bisogno di pochissimo, mi ha riportato all’essenziale, a ciò che dà senso alla vita».

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