Di colpo sembrava una bambola rotta, invece scrive e «parla» con il cuore

Maria Greselin, 24enne di Valverde, vive nel silenzio dell’autismo. Ha 6 fratelli. La madre: mai chiudere alla vita.

C’è una barriera sottile, eppure invalicabile, che separa Maria Greselin, 24 anni, dal resto del mondo. Lei è quasi sempre chiusa nel suo silenzio, «presente ma allo stesso tempo altrove» come racconta la mamma Paola. La sua famiglia vive a Valverde, ai piedi di Città Alta, e da tanti anni costeggia la traccia di filo spinato segnata dalla parola «autismo» cercando un varco per arrivare a lei. E a volte lo trova, in modo sorprendente, seguendo sentieri rischiosi come l’amore, la fiducia, la speranza. È l’unica figlia femmina, Maria, con sei fratelli tutti maschi: Pietro di 26 anni, Luigi 25, Domenico 22, Luca Costantino 17, Antonio 14 e Agostino 11. Paola e suo marito Lorenzo li hanno sempre tenuti insieme, legati da un filo sottile di gioia e impegno quotidiano, vivo nonostante la fatica e le difficoltà: «Ci siamo allenati - sottolinea Paola -, a fare il bene possibile». Tempo, costanza, attenzione sono stati come semi deposti nella vita di Maria, che col tempo hanno portato sorprese inaspettate, come il testo che lei ha scritto a computer mentre si preparava all’esame di maturità: «Non è facile per gli altri vedere la mia personalità. Racconto con uno scritto, perché le parole che suonano non sempre mi obbediscono. Ho tanta emozione e non le controllo bene».

Nel «Paradosso degli amanti» di Renèe Magritte ci sono due persone vicinissime ma separate dal buio, perché hanno il volto coperto da un lenzuolo. È un’immagine che esprime bene, in modo simbolico, cosa significhi vivere con una bambina con autismo, come emerge dalle parole di Paola, perché lei sembra vivere in un mondo tutto suo, in cui è difficile entrare: «All’inizio non avevamo percepito alcun problema in Maria - racconta -. Il suo sviluppo appariva analogo a quello dei suoi fratelli. Un giorno, però, quando aveva circa due anni, si è ammalata di polmonite: l’abbiamo curata, è guarita, ma ci siamo accorti in quel momento che era insofferente agli stimoli esterni, urlava ogni volta che sentiva un rumore». Il suo disagio è diventato sempre più evidente, così Paola e Lorenzo hanno deciso di rivolgersi a uno specialista. Dopo una serie di approfondimenti è arrivata la diagnosi: autismo. «Era una parola che non conoscevamo. Ora se ne parla di più, in quegli anni non se ne sapeva molto. Maria aveva occhi velati e ci sembrava che i suoi sensi fossero attenuati, capitava che si ritrovasse con le bolle sulle mani senza rendersi conto di essersi scottata».

Non è stato facile: «C’era un legame forte fra noi eppure avvertivo anche un dolore profondo, come una mancanza o un lutto. L’amavamo moltissimo ma non riuscivamo a costruire un rapporto con lei». Nel tempo le sue condizioni si sono aggravate: «Nelle foto del primo anno della scuola materna la vediamo presente, intenta a dipingere. In quelle dell’anno successivo sembra una bambola rotta, con lo sguardo assente e lontano. Maria era presente ma noi avevamo continuamente una grande nostalgia di lei».

Quando Maria era ancora piccola la famiglia Greselin si è trasferita a Roma, e pian piano si è allargata: «Abbiamo deciso di non chiuderci alla vita, nonostante ciò che ci stava accadendo, e dopo di lei abbiamo avuto altri quattro figli. Il sorriso negli occhi di un bambino dà gioia e speranza anche nei momenti più difficili».

All’inizio Paola e Lorenzo erano spiazzati da quella insolita, improvvisa fragilità che aveva fatto irruzione nella loro vita: «Ci siamo chiesti mille volte - sottolinea Paola - da che cosa dipendesse, se ci fosse una causa scatenante, che cosa potessimo fare. Non abbiamo mai perso la speranza di un miglioramento. Ci abbiamo messo tutto il nostro impegno e la nostra vicinanza».

Paola e Lorenzo si sono dedicati con attenzione a cercare il metodo migliore per sostenere e affiancare Maria, anche nella presenza a scuola: «A un certo punto ci siamo resi conto che stava imparando a leggere, sapeva riconoscere le lettere e il significato delle parole. Riusciva a eseguire test e giochi con il metodo Dolmen-Delacato, applicato dagli insegnanti e dai professionisti che ci seguivano. Quando siamo arrivati a Bergamo Maria aveva terminato la prima media. Abbiamo cercato un centro per lei, un punto di riferimento che potesse offrirci un appoggio quotidiano. Ci siamo imbattuti in un istituto della Sacra Famiglia che ci ha proposto di accogliere Maria in una comunità, facendola rientrare a casa nei weekend. Ci abbiamo pensato seriamente, e nel considerare questa possibilità abbiamo cercato di mettere in primo piano il bene di Maria e di tutta la nostra famiglia, al di là dei vantaggi che avremmo potuto ottenere. Alla fine abbiamo deciso di tenere Maria con noi, e nel tempo ne siamo stati felici».

Il suo sistema di comunicazione

L’atmosfera, ovviamente, non era sempre idilliaca: «Capitava che Maria rompesse i giocattoli dei fratelli, i quaderni avevano tutti un angolino tagliato da lei. Eppure sono stati sempre una grande risorsa gli uni per gli altri».

Paola e Lorenzo erano tormentati dal dubbio che i gesti e le parole dirette alla figlia potessero davvero attraversare i suoi silenzi, ma non ha mai rinunciato ad amarla, a circondarla di premure, a offrirle sempre nuovi stimoli: «Pian piano - racconta Paola - ha elaborato un suo personale sistema di comunicazione. Ha iniziato a scrivere seguendo un percorso a scuola da quando siamo arrivati a Bergamo. Poter esprimere la propria interiorità aiuta ad avere la certezza di esistere per gli altri, e oggi lei sceglie con chi manifestarsi. Con me lo fa a tratti, con la sua logopedista Paola Dal Sasso scrive vere e proprie conversazioni. Noi le parliamo, ma per richiamare la sua attenzione ci vuole sempre un lieve tocco, un contatto fisico per sollecitare la sua coscienza e coordinazione».

Maria per molti è invisibile, la ricchezza e la profondità del suo cuore sono per pochi: «Avete tempo per capirmi - scrive ancora - se adesso leggete. Sono una ragazza di fede interiore, amata sicuramente tanto. Credo a Dio e alla mia chiesa». Ogni domenica partecipa alla Messa con la sua famiglia. Le piace molto la musica: «L’ascolto con adorazione - scrive - mi affascina e mi prende con emozione». A chi l’osserva dall’esterno pare che non comunichi col mondo, in realtà apprezza molto la compagnia e l’interazione sociale: «Mi piace quando resto con amici - continua - e insieme chiacchieriamo sereni accettando i nostri limiti».

La sua capacità di manifestarsi con la parola scritta è stata una conquista enorme per la sua famiglia: «Nostra figlia dice pochissime parole e solo in situazioni particolari - osserva mamma Paola - ma da questo scritto capiamo che percepisce e apprezza ciò che le accade intorno e lo assorbe come una spugna. Di cosa potrebbe altrimenti nutrirsi la sua anima? Questo smonta tanti luoghi comuni sull’autismo e la disabilità».

Sorprende e colpisce la consapevolezza con cui Maria scrive delle sue difficoltà, usando il linguaggio un po’ sincopato che la caratterizza: «Il limite sta sempre davanti a ognuno, da prendere a spalle e da affrontare con coraggio e forza. Il mio limite sono le parole, difficili da dire. Pensarle mi risulta semplice, ma stento nel riuscire a farle sentire ad altre persone. È davvero sensazione difficile da capire. Accettare e capire sono cose assai diverse. Tanta rabbia sento a volte e non mi piace ma non resisto».

Il percorso scolastico

Ha frequentato il liceo delle scienze umane «Secco Suardo» a Bergamo, seguendo un percorso positivo e inclusivo, e l’esame finale è stato una tappa importante: «Diventare maturi - scrive nel testo presentato per quella occasione - è ammettere di avere un limite e lottare, e provare a guarire. Fai bene anche agli altri così. Cerco una buona riuscita per stare bene e godere di un felice ricordo. Devo dire grazie a molti per il loro aiuto. Aspetto di capire quali compagni mi saranno vicini dopo. Ho voglia di amici. Grazie per chi capisce bene se faccio cose che non voglio».

Accogliere uno studente con una disabilità grave mette alla prova insegnanti e compagni di classe: «È una presenza provocante - sottolinea mamma Paola -, rappresenta una sfida dal punto di vista didattico e umano, ma può diventare anche una grande possibilità e spero che sia stato così anche per mia figlia. Ci sono stati compagni che le si sono avvicinati e che continuano a frequentarla. Maria non ha la gratificazione di poter ottenere un successo personale. Spesso però dico ai miei figli che accade lo stesso anche a me come casalinga: non ho uno stipendio, non sono produttiva, ma nella vita ho trovato altro. La vita è fatta di relazioni e noi abbiamo sempre scelto di alimentare la fiducia fra di noi e nei confronti degli altri, del mondo». Anche nel tempo libero Maria e la sua famiglia hanno trovato punti di riferimento preziosi come l’Associazione «Costruire integrazione», che promuove laboratori e attività ricreative, e l’oratorio del Sacro Cuore in città.

Le relazioni da costruire

«È difficile creare relazioni per nostra figlia, la sua vita sociale è legata a chi sceglie di accoglierla e di farsene carico. Dopo la fine della scuola le possibilità sono poche: può frequentare un Cse (Centro socio educativo) o un Cdi (Centro diurno integrato) ma negli ultimi due anni la pandemia ha reso tutto più difficile». Lo sguardo di Paola sul futuro è comunque intriso di fiducia e speranza: «Mi è capitato di sentirmi inadeguata per la difficoltà di decodificare i sentimenti e le reazioni di Maria, ma non mi sono persa d’animo. Abbiamo sempre inseguito il bene possibile, cercando di trasmettere bellezza e di non perdere la consapevolezza che la vita non è solo ciò che possiamo controllare, ma anche una connessione con il cielo, con l’infinito».

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