«Era un vulcano, una perdita enorme»
Bolivia, il ricordo del vescovo Scarpellini

È il primo vescovo italiano morto di Covid: aveva 66 anni. Una voce autorevole e coraggiosa nei rapporti tra Chiesa e Stato boliviano.

Era un prete «Fidei donum», cioè a servizio di una Chiesa sorella, che per lui è stata la Bolivia. Poi è diventato vescovo di una diocesi vasta e giovane, servendola come un vero pastore del suo popolo, non esitando ad alzare la voce in difesa della popolazione, vessata da povertà e leggi autoritarie e da lui difesa anche nei gravi disordini seguiti alle elezioni, segnate da brogli, che avevano portato alla terza riconferma del presidente Evo Morales, poi riparato all’estero.

Questo era monsignor Eugenio Scarpellini, vescovo di El Alto, in Bolivia. La sua voce tace per sempre da ieri mattina (mercoledì 15 luglio) quando, causa di un attacco cardiaco, è spirato nell’ospedale della città, dove era andato per un controllo. Aveva 66 anni ed era positivo al Covid. La notizia ha lasciato costernata la Bolivia e la nostra diocesi. È il primo vescovo italiano vittima della pandemia.

Il vescovo Scarpellini era nato a Verdellino l’8 gennaio 1954. Dopo l’ordinazione sacerdotale (17 giugno 1978) era stato vicario parrocchiale di Boltiere (1978-82) e di Nembro (1982-87). Quindi era partito per la Bolivia, nell’arcidiocesi di La Paz, dove fu parroco di Villa Copacabana, economo del Seminario Maggiore, economo generale dell’arcidiocesi, direttore di un collegio, presidente di una Fondazione per bambini neurolesi, direttore nazionale e dell’America Latina delle Pontificie Opere missionarie e segretario generale aggiunto della Conferenza episcopale boliviana.

Il 15 luglio 2010 la nomina a vescovo ausiliare di El Alto, diocesi di un milione di abitanti, fondata nel 1994, posta sull’altopiano andino adiacente alla capitale La Paz. Per popolazione, a causa della immigrazione dalle campagne, è la seconda città più popolosa della Bolivia, afflitta da diffusa povertà, dove una larga fascia della popolazione non ha ancora accesso all’acqua potabile. Come motto episcopale aveva scelto «In ministerio obediens» (Obbediente al servizio). Nel suo stemma fece inserire quattro simboli: un olmo, che richiama l’omonimo santuario di Verdellino; un lago e le montagne, che rimandano alla Bolivia; la Bibbia e la stola, segno dell’essere sacerdote; il globo, simbolo di missionarietà.

Consacrato vescovo nella Cattedrale di El Alto, aveva detto: «Sogno una Chiesa missionaria, attenta ai più lontani, capace di generare vocazioni missionarie e inviare missionari ad altre Chiese del mondo intero». Il vescovo Francesco Beschi gli aveva donato la croce pettorale di San Procolo, come da tradizione quando un bergamasco viene elevato all’episcopato. Il 27 luglio 2013 monsignor Scarpellini era diventato vescovo di El Alto, avviando un’attività pastorale e sociale molto dinamica e a largo raggio. Inoltre, era uno dei membri della commissione nazionale che cerca il dialogo fra le opposte fazioni politiche dopo la partenza del presidente Morales, mentre nella nazione divampavano violenze, vendette e tumulti.

Lo scorso dicembre aveva affermato: «Lancio ancora una volta l’appello al dialogo, alla pace e all’unità tra i boliviani, condannando qualsiasi tipo di violenza, provocazioni di gruppi che cercano lo scontro, incitano alla lotta e vogliono riattualizzare antiche discriminazioni tra città e campagna. Chiediamo di ascoltare il grido del popolo e di rispettare la volontà popolare. Chiediamo la partecipazione sincera di tutti gli attori internazionali, nazionali, politici, partiti e società civile».

Costernato e addolorato dall’improvvisa scomparsa anche monsignor Eugenio Coter, vescovo prelato di Pando, nativo di Semonte di Vertova. «Per la Chiesa e la nazione della Bolivia la sua morte rappresenta una gravissima perdita. La sua attività episcopale era un vulcano per intraprendenza, iniziative e proposte. Era di carattere forte, ma anche molto paziente e capace di dialogo. Anche grazie a lui la Chiesa boliviana è molto ascoltata».

Costernati e addolorati anche vari sacerdoti bergamaschi che l’hanno conosciuto. «Era un missionario molto attivo, concreto, lungimirante, attento al sociale e al politico», racconta don Massimo Rizzi, direttore del Centro missionario diocesano. «Come grande uomo di azione, ha guidato una diocesi giovane e molto difficile — ricorda don Davide Rota, superiore del Patronato San Vincenzo, già missionario in Bolivia —. È toccata a lui l’opera di formazione ed espansione della diocesi per iniziative pastorali e costruzione di strutture. Laggiù gli volevano bene tutti». Don Mario Marossi, parroco di San Francesco, ha condiviso quattro anni con monsignor Scarpellini. «Come segno di solidarietà, da vescovo viveva in semplicità in un centro per disabili da me avviato. Insieme a lui, come missionari, abbiamo costruito due centri sociali. Girava in moto, era abilissimo al computer ed era instancabile e pieno di idee». «Siamo stati compagni di ordinazione —aggiunge don Santino Nicoli, parroco di Calusco —. Ho lavorato con lui per vari anni in Bolivia. Era un organizzatore nato, intelligente, lavoratore instancabile. Lascia un vuoto immenso non soltanto nella Chiesa, ma anche nella società boliviana». «Siamo stati compagni in Seminario e lui allora era un asso in vari sport — sottolinea don Mario Carminati, arciprete di Seriate —. Era venuto in Celadina nel 2012 per le Cresime e prima aveva inviato una bellissima lettera ai cresimandi. Era molto preparato e competente in ambito pastorale ed economico».

La data dei funerali non è stata ancora stata decisa e neppure se si terranno in forma pubblica, essendo vietata in Bolivia a causa della pandemia in corso.

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