Gaia: «Non sono una combattente,
ho fatto entrare la malattia per farla cadere»

Gaia Pizzighella, colpita da un cancro al seno, reagisce con il sorriso e un coraggio prudente

«Sono una portatrice sana di allegria» dice Gaia Pizzighella. Capelli biondi, sguardo luminoso, tiene sempre accesa la scintilla di un sorriso, un bagliore sbarazzino. Non gliel’ha tolto nemmeno il tumore al seno, quella «brutta bestia» che le ha già portato via la madre e una zia. «Sono stata da sempre molto attenta alla mia salute – spiega –. Seguo i consigli dei medici, i programmi di prevenzione. Faccio analisi di tutti i tipi da quando avevo vent’anni. Mia madre si è ammalata di tumore al seno e dopo dieci anni è morta, mia zia lo stesso. Ora è arrivata la stessa diagnosi per un’altra zia, che dovrà subire un intervento. La familiarità di questa patologia mi ha spinto a sottopormi a controlli regolari».

Nonostante questo, Gaia non è stata fortunata: il suo nodulo non è stato riconosciuto subito come maligno. «All’inizio mi avevano detto che non era nulla di preoccupante. Ho capito poi che l’ecografia o la mammografia non sono sufficienti, nell’esito ci può essere sempre un dubbio, ed è sempre meglio rivolgersi a un senologo per chiarirlo. Purtroppo io con tutta la mia cultura in materia avevo sottovalutato quest’aspetto. Solo un anno dopo è risultato che avevo un tumore. Mi sono rivolta al dottor Ivan Del Prato, lo specialista che da allora mi segue; abbiamo avviato gli opportuni approfondimenti, e poi l’iter delle terapie, che ho seguito in diverse strutture: Zingonia, Bergamo e Milano».

Colpite anche madre e zia

Gaia sapeva già che cosa la aspettava: «A quel punto c’ero già passata due volte, con mia madre e con mia zia. Questo mi ha aiutato a orientarmi tra le diverse possibilità di cura. Ho scelto la mastectomia, un intervento più invasivo dell’asportazione del quadrante che mi consigliavano inizialmente i medici, per allontanare il rischio di una recidiva. Ho preferito una chemioterapia più aggressiva ma senza le sostanze che potevano condurre alla neuropatia, un effetto collaterale che ha provocato a mia madre una paralisi progressiva, con effetti devastanti. Ho due bambini piccoli, Viola frequenta la seconda media e Luca la quarta elementare. Fin da quando ho scoperto la malattia, il mio primo pensiero sono stati loro, mi atterriva l’idea di lasciarli da soli. Ho preferito che non sapessero nulla. Nei giorni dell’intervento, che mi ha causato una profonda ferita emotiva oltre che fisica, ho giustificato l’assenza con un viaggio di lavoro. Mi è costato fatica e ho versato molte lacrime, ma in quel periodo temevo che condividere il dolore lo trasformasse in un boomerang».

È stata dura trovare la forza di reagire: «Sono da sempre una portatrice sana di allegria. Dover portare notizie negative mi ha moralmente distrutto. Ero piena di sensi di colpa. Tornando poi col pensiero a quel periodo, ricordo che prima della diagnosi ero un po’ affaticata, sempre di corsa, stressata, incastrata nei ritmi quotidiani».


Multitasking e la gratitudine

La perfetta mamma multitasking, cercava di tenere tutto sotto controllo. «Mi sforzavo di arrivare sempre dappertutto – ricorda – e l’agenda degli appuntamenti era fin troppo affollata: l’entrata e l’uscita da scuola, le attività pomeridiane, le feste di compleanno, mentre in sottofondo, nascosto, vibrava uno strano senso d’insoddisfazione». La malattia le ha fatto riscoprire la gratitudine, anche per le piccole cose: «Mia madre se n’è andata a 60 anni, dopo dieci di malattia, e mi ha sempre detto che se le avessero proposto di rivivere da capo la sua vita, terminandola allo stesso modo, avrebbe firmato subito, e lo stesso vale anche per me. Non ho rimpianti, e so ringraziare: sono contenta di come ho vissuto fino a oggi».

«Progettavo il mio funerale»

Nei primi tempi dopo la scoperta del tumore le è capitato spesso di pensare alla morte: «Progettavo il mio funerale, fantasticavo sulle lettere da lasciare alle persone care, al discorso per la cerimonia. Nella mia testa galleggiavano tutti i pensieri negativi dell’universo. Poi man mano che arrivavano i risultati delle analisi, sono riuscita a cambiare direzione. All’inizio quei numeri tutti sballati, quegli asterischi mi terrorizzavano. Poi ho iniziato i cicli di chemio e ho visto che il mio sistema immunitario reagiva bene, così pian piano ho recuperato slancio».

«Il coraggio – come scrive Mary Ann Radmacher – non sempre ruggisce. Spesso è la voce tranquilla che alla fine della giornata dice: proverò ancora domani». Così Gaia ha avuto bisogno di tempo e di pazienza per rimettere insieme i pezzi della sua vita che la malattia aveva sparso dappertutto, come un improvviso colpo di vento: «All’inizio mi sembrava che fosse colpa mia, mi ero ripetuta mille volte che avrei fatto di tutto per non subire le sofferenze e il destino di mia madre, invece mi ero ritrovata lungo lo stesso sentiero. A volte le cose accadono, perché devono. Sono una persona positiva, ottimista, ho sempre pensato che nella vita gli ostacoli capitino perché bisogna imparare qualcosa, ma da quest’avvenimento non sapevo davvero quale lezione apprendere. Col tempo l’ho capito, sono riuscita a trovare anche un lato positivo. Tutti pensano che le persone che affrontano questo percorso siano in una condizione di debolezza e tendano a piangersi addosso. Devo dire invece che lungo il cammino ho incontrato altri con questo stesso problema che mi hanno aiutato molto con il loro coraggio, la loro tenacia, regalandomi sostegno e amicizia. Ho perso i capelli, ho sofferto da morire, sei cicli di chemioterapia sono duri da attraversare. Andavo da sola all’ospedale per i trattamenti, non volevo che mio marito fosse costretto a trascurare il suo lavoro, e neppure sentirmi di peso a qualcuno. Toglievo la parrucca solo la sera nella mia camera, i miei figli non si sono mai accorti di niente».

Condizione di fragilità

Così è passato un anno, poi i capelli hanno ricominciato a crescere, le forze sono tornate: «Continuo a pensare di avere sulla testa una spada di Damocle. A differenza del passato, però, so che non è soltanto il tumore a rendermi fragile: è una condizione che appartiene per natura alla vita stessa. In fondo non c’è da aver paura, qualsiasi cosa accada si può affrontare, non bisogna perdere tempo in lacrime. Cerco di lasciare ovunque passo qualcosa di buono, lo sto facendo con i miei figli come mia madre ha fatto con me. Non mi definisco una combattente, perché secondo me non è la parola giusta, la malattia vince di sicuro, non si può contrastare, bisogna accoglierla per farla cadere. Mi ricordo una scena di un film in cui Indiana Jones è legato a un palo e viene attraversato dai fantasmi. Anch’io, allo stesso modo, mi sono lasciata attraversare dalla malattia, da questo dolore pazzesco, facendo quello che dovevo. È così che mi comporto sempre: è inutile irrigidirsi nei contrasti, a forza di combattere è facile ritrovarsi spaccati in mille pezzi».

L’arma migliore di Gaia è il suo sorriso: «C’è altro nella vita, perfino rispetto a un tumore, e l’ho scoperto proprio grazie a ciò che mi è successo. In questo periodo difficile ho avuto moltissime persone vicino, un marito che si è comportato in modo fantastico e non mi ha mai fatto sentire malata o menomata, ha tenuto per sé la sua tristezza. Mi hanno asportato un seno e c’è voluto tempo prima che lo ricostruissero, ma lui non mi ha mai guardato come se fossi meno donna, meno bella».

Le cure l’hanno messa alla prova in molti modi: «Il mio tumore è sensibile agli ormoni, ho dovuto curarmi per eliminarne l’effetto, e questo ha modificato il mio carattere, prima ero molto più allegra, chi mi conosce scherza, dice che ora sono più normale. Con un gesto di coraggio ho scelto di sottopormi anche all’asportazione di tube e ovaie, perché da lì partono gli ormoni che colpiscono il seno, e nel mio caso mantenerle al loro posto avrebbe potuto far crescere i rischi di recidiva. Un’altra decisione presa pensando ai miei figli».

L’importanza dei dettagli

Dopo aver affrontato un cancro non è facile pensare al futuro: «Non è detto che vada tutto bene, ne sono consapevole, ma questo non m’impedisce di essere felice e di sperare. Sono grata per ogni singolo giorno che posso trascorrere accanto ai miei figli. La gente spesso dimentica di ringraziare, dà tutto per scontato, perde tempo lamentandosi. La malattia mi ha insegnato a dare importanza anche ai dettagli, a guardarmi intorno con più attenzione. Quando ero ricoverata in ospedale, nel mio letto davanti alla finestra sono rimasta sorpresa e piena di meraviglia di fronte ai colori del cielo al tramonto. Mi sono resa conto che da tanto non mi soffermavo più a osservarli. Ho riscoperto quanta bellezza ci sia intorno a me. Sono diventata più dolce, più morbida con i miei figli, lascio l’ansia fuori dalla porta».

Il viaggio da sogno in America

Il tumore ha causato una pausa forzata: «Sono rimasta a casa per sei mesi dal lavoro. È stato un periodo difficilissimo, però non ero in ufficio, ero altrove e conducevo una vita diversa, che mi ha portato sofferenza ma anche molte scoperte. Mi sono dedicata di più a me stessa e alle persone che ho vicino. Ho trovato il tempo di pianificare un viaggio attraverso l’America, Coast to Coast, un sogno che forse sarebbe rimasto nel cassetto se non mi fossi ammalata, adesso invece sono certa di farlo, e sarà un bellissimo ricordo che mi resterà nonostante tutto. La malattia - lo so che può sembrare strano - mi ha portato anche gioia e consapevolezza. Certo preferirei che nulla di tutto questo fosse accaduto, ma mi sforzo di guardare oltre. Ho smesso di fare previsioni, di programmare tutto e ora vedo il mondo in modo diverso, più libero».

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