Giorgia: «L’anoressia come una nebbia, ora ho riconquistato i colori»

Giorgia BalconiLa ventiquattrenne racconta la sua storia in un libro: «Voglio trasmettere speranza»

Ci sono momenti in cui la vita scorre come un fiume in piena e non è possibile tenere tutto sotto controllo. Momenti in cui l’ombra è così buia da riuscire a spegnere anche chi «ha il sole dentro» come Giorgia Balconi, 24 anni, di Bergamo.

Il suo mostro è l’anoressia, che lei descrive come «una voce nella testa» capace di toglierle la volontà di vivere e di piegarla a una logica «malata», costringendola a rifiutare il cibo e derubandola di energia e bellezza. Lo ha combattuto con coraggio, scegliendo in modo autonomo di essere ricoverata al Centro per la diagnosi e la cura dei disturbi del comportamento alimentare della Casa di cura «Beato Palazzolo», in città, e ha raccontato questa storia in un libro, «Agisci contro» (Albatros): «Ho provato sulla mia pelle - racconta - che davvero nessuno si salva da solo».

Dopo la laurea triennale in Scienze Motorie, ora sta preparando la tesi magistrale in Scienze dell’attività fisica per il benessere; intanto lavora in un centro di riabilitazione a Presezzo e come preparatrice atletica per la squadra di tuffi della Asd Bergamo Nuoto.

«Mi piace molto il mio lavoro, mi dà soddisfazione: il mio obiettivo è aiutare le persone a stare bene. Da ragazzina avevo un rapporto altalenante con lo sport, di odio-amore. Non avrei mai immaginato che sarebbe diventato il mio lavoro, non amavo particolarmente la fatica. Ero una nuotatrice e una pallavolista, mi allenavo per tre volte alla settimana. Poi mio padre ha avuto un infarto mentre andava in bicicletta, ha dovuto impegnarsi seriamente nella riabilitazione, e il mio punto di vista è cambiato. Ho incominciato a sviluppare una forte curiosità nei confronti del corpo e delle trasformazioni che lo sport può innescare. Frequentavo il liceo scientifico e ho scelto la facoltà di Scienze Motorie due settimane prima degli esami di maturità, proprio con l’idea di usare le discipline sportive per il benessere degli altri. È stata una scoperta che ho fatto prima di tutto su di me e ora cerco di applicare concretamente nel mio lavoro».

Un momento di fatica

Proprio per questo suo interesse e per i suoi studi Giorgia non credeva che avrebbe mai sofferto di un disturbo alimentare: «Mi è sempre piaciuto mangiare, non sono mai stata particolarmente incline alle rinunce». A un certo punto però ha dovuto affrontare una pesante crisi personale e familiare; si sentiva smarrita e il suo desiderio naturale di mantenere tutto sotto controllo ha esasperato le sua ansie: «Sentivo la vita sfuggirmi di mano - spiega - e volevo poter disporre secondo la mia volontà almeno del cibo. Non ho smesso di alimentarmi normalmente per sentirmi forte, era piuttosto un modo per trovare un rifugio in un momento in cui mi sembrava di sbagliare tutto, mi sentivo inadeguata».

La voce dell’anoressia, nella sua testa, la convinceva che smettendo di mangiare sarebbe cambiata in meglio: «Era come se facessi un dispetto a me stessa, ma non ero davvero io, era la malattia ad agire, ordinandomi certi comportamenti. In quel periodo ho vissuto una specie di sdoppiamento, come se ci fossero due persone nel mio corpo. Ero convinta che la magrezza mi aiutasse ad essere apprezzata, a diventare più bella, ma ad un certo punto mi sono resa conto di non avere più scelta: dovevo per forza obbedire a ciò che l’anoressia mi imponeva di fare. Il controllo che mi sembrava di avere su me stessa, in realtà, si era dissolto. Se cercavo di mangiare qualcosa scattava un senso di repulsione istintivo, immediato».

In quel periodo Giorgia frequentava l’università, e la malattia sembrava alimentare fino all’eccesso il suo desiderio di conquistare i risultati migliori: «Non potevo smettere di studiare e di prepararmi per ottenere il massimo dei voti, come ho sempre fatto, neppure nel momento difficile e disperato che stavo attraversando, perché non avrei potuto accettarlo, sono sempre stata molto severa con me stessa». Giorgia ha sempre avuto «la mania del perfezionista», la lotta contro l’anoressia l’ha costretta a cambiare, ad essere un po’ più indulgente, ma alla fine si è accorta che non è stato un male. Come scrive Boris Pasternak, infatti, «non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita».


Quel battito così debole

Prima di risollevarsi ha dovuto seguire fino in fondo il suo personale calvario: «L’anoressia si era insediata dentro di me senza che me ne rendessi conto, e a un certo punto non mi sentivo più me stessa, non mi sentivo più nemmeno una persona. Facevo fatica a respirare, ero magrissima, e mi sono resa conto da sola, anche in forza dei miei studi, che la mia situazione era preoccupante. Una mattina sono andata all’università e abbiamo incominciato a misurarci la pressione arteriosa a vicenda, un’esercitazione che ripetevamo ogni tanto. Il mio battito cardiaco era talmente debole che il compagno che stava svolgendo il suo compito con me non riusciva neppure a sentirlo in cuffia. È intervenuto un professore, scoprendo che avevo valori così bassi che sembrava impossibile per me reggermi in piedi. Mi ha chiesto se ci fosse qualcosa che non andava, gli ho risposto con un po’ d’imbarazzo che era soltanto una giornata no». Giorgia non riusciva a confidarsi, ma temeva che i suoi docenti avessero capito la situazione. Si assentava più spesso, aveva un aspetto malaticcio, con la pelle bianchissima, le clavicole molto sporgenti: «Ero uno scheletro di carne».

Un nuovo percorso

Non è stato facile per Giorgia parlare del suo problema ai genitori e alla sorella minore, si è convinta solo quando ha capito di avere davvero bisogno di aiuto: «Mi sono rivolta alla Casa di cura Palazzolo, e ho iniziato le terapie restando comunque a casa. Ogni volta che qualcuno mi metteva un piatto di pasta sotto il naso mi veniva un attacco di panico, obbligarmi a mangiare in quelle condizioni era davvero complicato. Così mi sono resa conto che l’unica soluzione era un ricovero. I miei non sono stati subito d’accordo, ma col tempo hanno capito».

A quel punto Giorgia ha dovuto superare le sue resistenze e parlare del suo problema anche con le compagne di università: «Spesso mi isolavo, perché non stavo bene con gli altri. Avevano notato qualcosa, perché ai pasti non mangiavo e bevevo solo coca cola. Ho voluto spiegare i motivi del mio ricovero, perché non potevo sparire e basta. Quando gliel’ho detto una mia compagna è scoppiata in lacrime e non me l’aspettavo, perché il mio racconto era sereno e positivo. Da quel momento però è diventato più semplice condividere i miei pensieri e i progressi che riuscivo a fare, mi sono sentita più leggera e le amiche mi hanno sostenuto». I primi tempi alla casa di cura sono stati molto difficili, anche se Giorgia finalmente sentiva di essere in buone mani e non aveva più paura: «Sapevo che c’era qualcuno che si occupava di me, mi fidavo. Avevo un programma dietetico giornaliero e dovevo seguirlo. Era una sfida con me stessa: vediamo in tre mesi che cosa succede. Mi capitava durante i pasti di essere curiosa, mi aspettavo qualcosa di diverso dal solito, nulla che mangiavo a casa. Col tempo ho incominciato a sentirmi di nuovo bene. Continuavano a controllarmi il peso e questo mi creava un po’ d’ansia, col tempo l’ho superata e adesso cerco di non farci più troppo caso: l’importante non è la lancetta della bilancia, ma uscire, stare bene, divertirmi».

Ha ripreso ad allenarsi con gioia: va a correre due volte la settimana, senza forzare mai. Poco più di un mese fa è riuscita a completare la mezza maratona a Sanremo, una bellissima conquista per lei: «Ho sputato l’anima, ma ne valeva la pena. Ho ritrovato il sorriso, la voglia di vivere. Alcuni miei colleghi dicono che un pomeriggio con me li scombussola, perché sono un terremoto. Mi piace essere così. Non ho più la fissazione di dimagrire, mi sento diversa. Non so neanche come sia successo». C’è sempre il rischio che qualcosa vada storto, ma Giorgia ha imparato ad affrontarlo, «come se mi trovassi nel bel mezzo di un labirinto e dovessi trovare la strada per uscirne».

La scrittura

Durante il ricovero nella casa di cura scriveva un diario, perché l’aiutava a capirsi meglio: da una parte i pensieri che la malattia le suggeriva, dall’altra quelli che la spingevano a rompere gli schemi e a combattere. Col tempo la scrittura è diventato il suo personale percorso di ribellione. «Sapevo che era la strada giusta per guarire, ma con moltissima fatica. Se qualcuno azzardava un apprezzamento fisico mi offendevo, perché non stavo bene. Poi ho incominciato a decidere io a quale distanza tenere le persone, sempre con educazione e gentilezza». Col tempo il suo modo di ragionare è cambiato molto, e Giorgia ha scelto di mettere in ordine le fasi della trasformazione e raccoglierle nel suo libro per aiutare altri nella sua stessa condizione: «Di solito scrivo poesie, è un modo per esprimere emozioni. Ma ho pensato che il materiale che avevo prodotto potesse dare una mano a chi soffre di un disturbo alimentare per uscire dalla zona di confort, avviare un cambiamento e lottare. L’anoressia era come una nebbia, ogni piccola azione di contrasto un modo per riconquistare i colori. Ecco perché in copertina ho messo una rosa blu, qualcosa di speciale, che non esiste in natura. Sono affascinata dalla bellezza, ora che sto bene vorrei imparare a spargerla nel mondo. Grazie alla terapia ho imparato a riflettere un po’ di più, a essere meno impulsiva. Ho pubblicato il libro col mio nome, ma l’ho iniziato dicendo “Mi chiamo sole”, perché è questo che voglio essere. Voglio trasmettere speranza, ed è questo che sento quando i genitori di altre ragazze anoressiche vengono ad abbracciarmi alla fine delle presentazioni». Anche dopo la notte più buia, ormai Giorgia l’ha imparato bene, torna sempre la luce, più forte e splendente di prima.

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