Ha toccato il fondo vivendo per strada
ma con il pane la sua vita è lievitata

Rimasto senza niente, la rinascita di un cinquantenne grazie all’opportunità della «Fabbrica del gusto».

Acqua, farina, lievito e sale: gli ingredienti del pane sono i più semplici. Eppure basta un attimo per mandare tutto a monte, è sufficiente che si guasti l’equilibrio tra le parti, che nell’impasto si formino dei grumi, che il forno sia troppo caldo e la crosta bruci.

Pietro lo sa, perché da più di vent’anni fa il panettiere, e nella sua vita è successo proprio questo: qualche scelta sbagliata, un ostacolo imprevisto, e tutto è andato a rotoli. Si è ritrovato da solo e senza un soldo, a vivere per strada, senza neanche capire fino in fondo come fosse successo. «Ho attraversato l’inferno» racconta, con un’ombra nello sguardo, ma poi ha trovato qualcuno disposto a credere di nuovo in lui, a offrirgli una seconda opportunità. Qualcuno che gli ha dato un lavoro e una casa, realizzando davvero quel motto che ci è capitato di leggere sulle pareti di un forno, «Pane è la più gentile, la più accogliente delle parole. Scrivetela sempre con la maiuscola, come il vostro nome».

«Mi sono diplomato come perito elettronico – racconta Pietro – e il mio primo lavoro è stato il pellettiere, l’ho fatto per quasi quindici anni. Ho iniziato perché era il mestiere di mio padre, quando ha visto che non trovavo un’occupazione nell’ambito dei miei studi mi ha aiutato lui a iniziare. Per un anno sono rimasto nella sua stessa ditta, poi ho cambiato. Sono diventato modellista, me la cavavo bene, ho lavorato anche per le grandi firme della moda. Il mio lavoro consisteva nel realizzare un oggetto a partire da un disegno: portafogli, borse, cinture, qualunque cosa». Poi un amico gli ha chiesto di dargli una mano nella sua panetteria: «Suo padre si era ammalato e non poteva lavorare, così aveva bisogno di qualcuno che coprisse i turni di notte. Di giorno continuavo a modellare la pelle, e intanto imparavo i segreti del pane. Avevo trentun anni e in quel momento ho capito che era quello il mestiere che volevo fare, davvero mi piaceva tanto, era una passione autentica, così non ho più smesso: amo la manualità di questo lavoro, mi piace impastare, dare forma al pane, farlo lievitare, cuocerlo, assaporarne il profumo. Poi ho imparato a fare il pizzaiolo e a preparare dolci. Ho seguito le lezioni di Piergiorgio Giorilli, maestro della panificazione a Brescia, e poi di Stefano Favaron a Verona». La sua carriera ha fatto passi straordinari, ha trovato un posto in una grande catena di panifici, dove gli è capitato di preparare nuove ricette in collaborazione con lo chef Andrea Mainardi: «In quel periodo abbiamo inventato diciotto tipi di pane, lui proponeva degli abbinamenti di ingredienti, io gli davo le mie opinioni, poi preparavamo insieme l’impasto. Qualche ricetta in seguito l’ho rielaborata a modo mio e l’ho inserita nel mio repertorio». Come il pane speziato alla curcuma e olive, che spicca con i suoi colori accesi sulle tavole della cucina della Fabbrica del Gusto, dove Pietro lavora da settembre.

Pietro è figlio unico e la sua famiglia era benestante, non avrebbe mai pensato di avere problemi economici: «I miei genitori mi hanno sempre dato tutto, a diciotto anni mi avevano già intestato due appartamenti. Poi invece ho perso tutto. Ho frequentato le persone sbagliate, ho dato retta ai loro consigli e mi sono messo nei guai. Non è tutta colpa degli altri o di un destino infelice, anch’io ho tante responsabilità in ciò che mi è successo. A un certo punto ho perso il lavoro per la mia testardaggine. Ho discusso con il titolare e me ne sono andato sbattendo la porta, convinto che con la mia abilità e la mia esperienza avrei trovato subito un altro posto, invece non è stato così. Mandavo in giro il mio curriculum ma a cinquant’anni tutti ti dicono che sei troppo vecchio».

Anche la moglie l’ha lasciato: «Credevo che in un momento così difficile mi sarebbe stata vicina, che avrebbe provato ad aiutarmi, invece si è presa gli ultimi soldi che c’erano sul nostro conto cointestato, senza dirmi niente, se n’è andata e io mi sono ritrovato da un momento all’altro da solo e privato di tutto. Siamo stati insieme per diciassette anni, non abbiamo avuto figli. Pensavo che in un rapporto d’amore ci si potesse dare una mano a vicenda, invece lei non ci ha nemmeno pensato. E pensare che non ha mai dovuto lavorare, ho sempre pensato io a lei. A un certo punto ha espresso il desiderio di aprire un bar e io gliel’ho comprato. C’è voluta una somma consistente. Il risultato, però, non è stato quello sperato. Mia moglie incassava la metà del proprietario precedente, gli affari andavano sempre peggio, accumulava debiti con i fornitori, finché a un certo punto abbiamo dovuto rivendere il locale, a un terzo del prezzo di acquisto. Quest’operazione ha dato un colpo durissimo alle mie finanze».

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