I virologi: «Sbagliato dire che il virus
non c’è più, ci sono pochi casi»

Pregliasco: «All’estero le cose vanno peggio, ma anche qui c’è un trend recente all’incremento». Gismondo: mascherine da mantenere nei luoghi chiusi.

Tre percentuali, una dietro l’altra: 24%, 41,8%, 21%. Sono i dati sui positivi ai test sierologici – rispettivamente – su tutta la provincia, in Val Seriana e nella città di Bergamo, nelle campagne condotte da Istat e ministero della Salute (per la provincia, all’interno dello screening nazionale), Ats e Regione (in Val Seriana), Comune di Bergamo (nel capoluogo). Di rimando, c’è la quota di chi s’è poi scoperto ancora positivo al virus: una fetta minima della platea, incomparabile ai mesi del dramma. Ma il virus non è scomparso, avvertono gli specialisti. Circola ancora, anche a Bergamo e in Lombardia.

«Dire che il virus non c’è più è un’affermazione sbagliata. Ci sono pochi casi, è vero, e proprio perché sono quantitativamente minori si vedono i casi banali – specifica il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Ircss Galeazzi di Milano e docente all’Università degli Studi di Milano -. C’è un trend recente all’incremento, certo non sui valori di Paesi come Germania, Francia e Spagna: siamo comunque ancora in una situazione endemica, con focolai che ci saranno ancora; con la riapertura ce lo si aspettava, anche se noi siamo usciti meglio di altre nazioni perché abbiamo avuto un lockdown più prolungato. Oggi abbiamo una migliore capacità di individuazione di questi focolai, e sarà importante mantenerla in vista di eventuali seconde ondate: sul tema resto ancora ottimista, anche se la ripartenza delle scuole sarà uno stress test importante». Ma come vanno interpretati gli esiti dei test di sieroprevalenza in terra orobica, tra città e provincia? «La variazione al rialzo rispetto ai dati medi italiani è assolutamente notevole, la chiara evidenza di come qui ci sia stata l’insorgenza di un focolaio importante, in maniera simile a Cremona – rimarca Pregliasco -. La cifra complessiva, però, anche da queste parti non è certo sufficiente per parlare di immunità di gregge: ci vorrebbe circa il 70% delle persone immuni. Peraltro, non sappiamo quanto duri l’immunità: la positività al sierologico è il segno dell’avvenuta infezione; alcuni studi, anzi, iniziano a evidenziare una negativizzazione già dopo alcuni mesi. Per la Sars, il virus più simile, la protezione degli anticorpi durava almeno 3-4 anni». Dunque, non si può abbassare la guardia: «Dobbiamo fare la nostra parte. Restando sereni, ma senza esagerare nelle leggerezze», conclude il virologo.

«Il virus sta ancora circolando – concorda Maria Rita Gismondo, direttrice del Dipartimento di Microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze all’ospedale Sacco di Milano e docente alla Statale - anche se a livello clinico la situazione non è paragonabile a prima. In Italia, rispetto ad altri Paesi si vive un momento relativamente positivo. I dati però vanno analizzati bene: si trovano più positivi nel momento in cui si fanno più tamponi; a volte invece si hanno dati su numeri bassissimi di positivi e zero morti semplicemente perché la domenica i laboratori sono chiusi o ci sono ritardi nella rilevazione dei decessi. In questo momento, comunque, la circolazione virale ancora c’è. La prudenza è assolutamente da conservare, le precauzioni sull’utilizzo della mascherina nei luoghi chiusi e affollati e sull’igiene delle mani vanno mantenute. Con i dovuti accorgimenti, però, si deve riprendere a vivere, perché ne abbiamo bisogno psicologicamente».

Sui test sierologici c’è invece un’avvertenza: «È un tema su cui è stata fatta molta confusione – puntualizza Gismondo -. I risultati vanno interpretati con prudenza: non intercettano spesso tutte le persone che realmente sono entrate in contatto col virus, soprattutto possono dare rappresentazioni distorte perché non identificano le Igm precoci, cioè quegli anticorpi che vengono prodotti quando l’infezione è in corso, e dunque risultano negative le persone che in quel momento sono malate o in cui il virus è appena scomparso. In altri casi ancora, persone che hanno contratto il virus mesi fa sono già risultate negative agli anticorpi. Si creano spesso dei falsi negativi». Punto cruciale resta appunto la durata dell’immunità: «È la questione alla base di tutto: le informazioni su questo aspetto non sono ancora consolidate in letteratura», conclude Gismondo.

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