«Il mio equilibrio grazie al kickboxing
così prendo il Parkinson a calci e pugni»

«Dentro un ring o fuori – diceva il grande pugile statunitense Muhammad Ali – non c’è niente di male a cadere. È sbagliato rimanere a terra». Un consiglio che Graziano Rocchetti ha deciso di seguire alla lettera: vive a Valbrembo, ha 51 anni e da sei ha scoperto di avere la malattia di Parkinson. La diagnosi all’inizio lo ha sprofondato nella disperazione e costretto a cambiare vita, ma con il sostegno della sua famiglia si è risollevato e da sei mesi combatte anche attraverso lo sport: si allena con Elio Pinto, campione internazionale di kickboxing, una disciplina che, come spiega lui stesso, «aiuta i riflessi, l’equilibrio e la coordinazione», fino a permettergli di recuperare alcune facoltà che la patologia gli aveva sottratto.

Così Graziano ha condiviso i suoi risultati con l’Associazione Parkinsoniani di Bergamo, e da questo primo esperimento è nata una nuova iniziativa aperta a un pubblico più ampio: un corso di kickboxing per parkinsoniani, proposto dall’Asd Supreme Fighting Team, che si svolgerà ogni mercoledì a partire dal 4 settembre dalle 17 alle 18 nella palestra del Patronato San Vincenzo (info [email protected]).

Julia Child, celebre autrice statunitense di libri di cucina, diceva che «dopo una giornata in cui niente è sicuro, uno torna a casa e sa con certezza che aggiungendo al cioccolato rossi d’uovo, zucchero e latte, l’impasto si addensa: è un tale conforto!». La certezza degli ingredienti e il calore dei fornelli sono da sempre la vita e il lavoro di Graziano: «Come cuoco ero impegnato anche per 10-12 ore al giorno, finché ho incominciato a capire che non ero più così brillante nelle mie operazioni quotidiane. Non riuscivo più a tagliare e a impastare, e non capivo perché. All’inizio credevo fosse solo stanchezza».

Quel malore «sentinella»

Un paio d’anni prima Graziano aveva avuto un malore: «Mi si era intorpidito tutto il lato destro del corpo, avevo perso il controllo dell’occhio e del labbro. Sono stato ricoverato in neurologia per un sospetto Tia, cioè un attacco ischemico temporaneo. Sono rimasto in ospedale per quasi venti giorni, sono guarito in un paio di mesi. Quando poi si sono aggiunti questi altri sintomi ho pensato che potesse esserci un collegamento. Mi sentivo lento, impacciato, la mia grafia era inspiegabilmente peggiorata. Il mio medico dopo avermi visitato aveva qualche sospetto, così mi ha spinto ad approfondire». Graziano si è rivolto alla stessa neurologa che ha in cura sua madre, 76 anni, perché anche lei da una decina d’anni combatte con il Parkinson, e ha proseguito con apprensione tutta la trafila degli accertamenti. L’appuntamento per l’ultimo esame, quello decisivo, era fissato per il giorno di San Valentino all’ospedale di Bergamo: «Avrebbero dovuto comunicarmi l’esito una settimana dopo, invece mi hanno richiamato subito, non ero neanche arrivato all’uscita. Mi hanno confermato la diagnosi di Parkinson. Quella sera avrei dovuto andare a lavorare, invece sono tornato a casa, perché ero disperato e non avevo la forza di stare lì a guardare tutti festeggiare felici». Poi però ha ripreso la sua vita di sempre: «Non ho mai fatto mistero di ciò che stava accadendo, perché ho sempre pensato che non ci fosse nulla di cui vergognarsi».

Il sostegno della famiglia

Una malattia cronica degenerativa non ha un impatto forte soltanto su chi ne è colpito, ma anche su tutti i suoi affetti: «Mia moglie Norma mi è sempre stata accanto, non so che cosa avrei fatto senza di lei. Per i miei figli, Manuel e Luca Stefano, che all’epoca della diagnosi avevano 15 e 11 anni, all’inizio è stato difficile accettare la situazione. Un padre è come un’ancora, è come se all’improvviso avessero sentito tremare la terra sotto ai loro piedi».

La consapevolezza della malattia si è manifestata pian piano, come se all’inizio Graziano camminasse avvolto da una spessa foschia, che poi si è diradata. «Mi sono reso davvero conto di ciò che mi stava accadendo – racconta – quando sono andato con mia madre in un centro specializzato di Milano per sottopormi alle analisi genetiche: il Parkinson non è una malattia ereditaria, salvo in pochissimi casi. Ero preoccupato per i miei figli, perciò ho deciso di togliermi il dubbio. In quel centro ho potuto riflettere su alcuni aspetti fondamentali sui quali prima non mi ero soffermato: i farmaci attenuano i sintomi, migliorano la qualità della vita ma non curano, non guariscono. La patologia può progredire velocemente o con lentezza, ma non si ferma e non è prevedibile. Mi hanno spiegato che mediamente le terapie funzionano dai venti ai venticinque anni. Mi sono guardato intorno, ho visto persone di sessanta-sessantacinque anni che si muovevano a fatica, accompagnate dai figli, e mi sono spaventato, ho capito che forse quello poteva essere anche il mio destino».

Il cambio di lavoro

Nonostante questo non si è perso d’animo, sorretto dall’amore della moglie e dei figli: «Ho messo alla prova la loro pazienza e comprensione. Quando si sta male è naturale sfogarsi con le persone più vicine, anche se in questo modo si rende la loro vita difficile. All’inizio per ritrovare un equilibrio mi sono rivolto a uno psicologo, che mi ha aiutato molto».

Graziano si è reso conto che le sue condizioni fisiche non gli permettevano di continuare la sua attività in cucina, non riusciva a reggere i ritmi e la fatica. Così sua moglie lo ha spinto a cercare un’alternativa. «Un centro di formazione professionale a Torre Boldone cercava un docente di laboratorio. Non credevo di essere all’altezza, ma Norma ha insistito e ho deciso di provare. Ho iniziato questa nuova esperienza in modo graduale, prima solo per due giorni alla settimana, poi è diventata la mia attività principale. Da allora insegno al Cfp di Torre Boldone, e dalla brutta premessa della malattia è venuta fuori una bella occasione. Mi trovo molto bene in mezzo ai ragazzi, mi piace insegnare, l’ambiente è accogliente, mi sento benvoluto e per di più ho più tempo per me e per la mia famiglia». Ne ha approfittato per cercare qualche attività che lo aiutasse a reagire alla malattia e magari a migliorare le sue condizioni: «Ho pensato di dedicarmi a uno sport, e sono andato nelle normali palestre, dove però mi guardavano con ironia oppure con una punta di compassione: entrambe mi ferivano, mettendomi a disagio. Sono anche diabetico e in attesa di trovare l’attività giusta facevo lunghe camminate. Un giorno mi è capitato di leggere casualmente un articolo su una rivista che parlava di un centro a Erba dove applicavano una tecnica sperimentale arrivata dall’America che univa il pugilato a una terapia anti-Parkinson. Ho lasciato perdere, perché era troppo lontano. Poco dopo, però, mio figlio Manuel ha incominciato a praticare il kickboxing con Elio Pinto alla palestra del Patronato San Vincenzo. Mi ha suggerito di contattarlo e così è iniziata la nostra collaborazione e amicizia. Abbiamo incominciato a ritrovarci, a lavorare insieme, a mettere a punto alcune tecniche, sperimentando ogni volta quelle che per me si rivelavano migliori. Dopo qualche mese ho visto che ottenevo molti benefici, così ne ho parlato poi con il presidente dell’Aip di Bergamo Marco Guido Salvi e con Alma Piku, giovane parkinsoniana come me, ed è nata l’idea del corso di kickboxing».

Sintonizzare gambe e braccia

Graziano si mette i guantoni, colpisce il sacco, si allena come gli altri atleti: «Certamente sono più lento, sferro meno colpi, ho tempi di reazione diversi, ma ciò che conta è esercitarsi sul coordinamento, sui riflessi. Per un malato di Parkinson anche esercizi banali, come sintonizzare il movimento di gambe e braccia, possono diventare complessi, ma pian piano mi sono accorto che l’attività fisica mi porta molti vantaggi. Ho perso cinque chili di peso e ho recuperato abilità che la malattia mi aveva tolto, per esempio faticavo moltissimo a scendere le scale, adesso invece ci riesco di nuovo. Ho ripreso anche a sbucciare la frutta da solo». Nell’ambiente del kickboxing, sport di combattimento e di contatto che molti ritengono aggressivo e competitivo ha trovato accoglienza, umanità, solidarietà, rispetto delle differenze e delle disabilità.

«Elio Pinto è molto premuroso e si preoccupa del mio benessere anche al di là delle nostre sedute. È un campione anche fuori dal ring, ha la sensibilità giusta per un’attività come questa. Spero che con l’avvio del corso anche altre persone malate di Parkinson possano trovare i miei stessi benefici. Ci sono ancora giorni in cui sto bene e altri in cui mi sento distrutto, ma l’allenamento ha aumentato, per esempio, la mia resistenza e le ore della giornata in cui mi sento bene».

Ora è in Consiglio comunale

L’arma segreta di Graziano resta sempre la sua famiglia, solida e piena d’energia: «Mia moglie e io ci siamo sposati presto, io avevo 23 anni e lei 21, siamo diventati genitori a trenta. Ora Manuel, Luca Stefano e io condividiamo la passione per il kickboxing». Ma Graziano gli ha trasmesso anche quella per la cucina ed entrambi hanno scelto la sua stessa strada: il primo come cuoco, il secondo come panettiere e pasticciere, così tutti insieme danno una mano quando si tratta di preparare cene per gli amici e perfino il cenone dell’ultimo dell’anno in parrocchia. Lui coltiva gli hobby di sempre: il tiro a segno e il restauro di mobili, ma tutte le mattine alle sei in punto va ad aiutare la madre a coltivare l’orto: «Da lei ho imparato la tenacia e il coraggio». Da poco ha iniziato anche un’avventura politica: «Sono entrato nel Consiglio comunale del mio paese, ho la delega al commercio e alle attività produttive, un’attività che mi tiene molto occupato. Ho imparato che la cosa più importante è stare bene con se stessi, perché questo porta ad affrontare la malattia con uno sguardo diverso».

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