«Il mio riscatto dalla schiavitù dell’eroina
Avevo perso tutto, ho di nuovo una vita»

La storia di Giuliana, otto anni sulla strada: «Pensavo solo a come farmi». Poi la comunità e la «riconquista» della famiglia.

Quando Orfeo, nel mito narrato da Ovidio nelle «Metamorfosi», si addentra negli inferi per ritrovare l’amatissima sposa Euridice, deve affrontare ogni tipo di pericoli. Alla fine, quando è a un passo dal realizzare il suo sogno, cede alla tentazione di voltarsi indietro e la perde per sempre. Non è stato così per Giuliana, che è finita all’inferno per amore, come Orfeo, ma poi è riuscita a uscirne e a lasciarselo alle spalle per sempre. L’inferno di Giuliana era la strada. «Vivevo ancora con i miei e lavoravo in fabbrica come operaia. Ho conosciuto un ragazzo e me ne sono innamorata. Sapevo che era un ex tossico, ma allora ero convinta che avesse smesso. Un giorno, invece, per caso, ho trovato le siringhe nella sua macchina e ho capito che mi aveva mentito».

I suoi genitori volevano che lo lasciasse, ma lei non li ha ascoltati: «Alla fine, però, invece di salvarlo ci sono caduta anch’io. La mia famiglia mi aveva dato un ultimatum, mi avevano detto che se fossi rimasta con lui mi avrebbero cacciato da casa e così è stato». Giuliana ha perso il lavoro e ha sperimentato fino in fondo la disperazione: «Avevo smarrito tutti i miei punti di riferimento. La vita di strada era dura, per sopportarla ho incominciato a bere e a fumare. Dovevo anche aiutare il mio ragazzo a procurarsi i soldi per la droga». Di fronte a una realtà così aspra, la tentazione di rifugiarsi in un altro mondo, morbido e senza spigoli, era fortissima: «Un giorno, per curiosità e anche perché ero abbattuta e disperata, ho chiesto al mio ragazzo di iniettarmi una dose di eroina. Pensavo che si rifiutasse, invece mi ha accontentato e così è iniziata anche la mia dipendenza. Mi faceva stare bene, quando entrava in circolo non pensavo più a niente, dimenticavo tutti i miei problemi, perciò ho continuato. Non avevo idea di quanto tempo, fatica e sofferenza mi sarebbe costato smettere».

La luna di miele di Giuliana con la droga è durata poco: «Mi sono resa conto dopo pochi giorni che ormai era diventata una schiavitù. Purtroppo la sostanza era più forte di tutto, pensavo solo a quella. Mentre mi stavo iniettando una dose stavo già immaginando come fare per procurarmi la successiva, quando scendeva la sera sapevo che dovevo organizzarmi per resistere tutta la notte. Mettevo da parte una dose per il mattino dopo ma poi finivo per usarla durante la notte. Il problema era riuscire a procurarmi i soldi necessari, era un incubo mendicarli per strada. Una mattina in cui non riuscivo a trovare nulla mi è capitato di provare anche la cocaina e mi sono accorta che era perfino peggio, perché l’effetto finiva più rapidamente. Da lì in avanti ho deciso di andare al Sert e di iniziare la cura con il metadone».

Giuliana è rimasta per strada per otto anni: «Di notte dormivo dove capitava, nelle case abbandonate o sulle panchine. Nel 2000 ho conosciuto suor Anna delle Suore delle Poverelle, nel periodo in cui frequentavo il dormitorio della Caritas di via Palazzolo. Ho parlato a lungo con lei, mi ascoltava senza giudicarmi, così mi ha spinto a ragionare su me stessa. Grazie al suo aiuto ho iniziato un percorso di disintossicazione in una comunità di recupero».

Un passo avanti e due indietro: non era il momento giusto, e Giuliana dopo poco tempo è tornata sulla strada. «Sono entrata e uscita dalle comunità più volte». Continuava a ritrovarsi chiusa nel suo labirinto, senza capire quale poteva essere per lei la strada giusta per uscirne definitivamente, finché nel 2006 ha conosciuto suor Daniela, anche lei della congregazione delle Suore delle Poverelle, responsabile della comunità «Il Mantello» di Torre Boldone.

«In quel periodo suor Daniela veniva in stazione e sapeva che noi - io e un’altra ragazza come me - dormivamo in una casa abbandonata. Ha cercato di instaurare un contatto e di portarci in comunità, ma all’inizio non volevamo seguirla, continuavamo a rimandare. Un giorno sono andata a mangiare alla mensa della Bonomelli e ho chiesto di poter fare una doccia, ma era domenica e lì quel giorno non si poteva, perciò la suora ha preso la palla al balzo per portarci con lei a Torre Boldone. Ci siamo lavate, abbiamo mangiato, parlato a lungo e ci ha convinte a restare. Ho cercato qualche scusa all’inizio, le ho detto che dovevo tornare alla casa abbandonata per occuparmi dei gatti, e lei era perfino disposta a lasciarmeli tenere in comunità. È stata straordinaria, accogliente e paziente».

Era quello di cui Giuliana aveva bisogno, e alla comunità «Il Mantello» ha trovato una vera casa. «Ero stanca della vita di strada, a quel punto volevo davvero cambiare e sentivo che suor Daniela credeva in me: questo mi ha convinto che quella fosse la volta buona».

Sembrava che stesse andando tutto bene, e Giuliana ha imparato di nuovo ad apprezzare i ritmi e i vantaggi di una vita normale: «All’inizio - racconta - non è stato semplice rispettare gli orari per il pranzo e la cena, non dormire più sotto le stelle, abbiamo dovuto riabituarci a una vita “civilizzata”, da persone normali, che però era anche molto più comoda e tranquilla, perciò non ci abbiamo messo poi così tanto tempo. Nelle nostre giornate c’erano anche alcune ore di lavoro, e quando per la prima volta ho ricevuto trenta euro come compenso, ero davvero felice. Mi sembrava incredibile potermi di nuovo guadagnare dei soldi grazie al mio impegno». Giuliana ha seguito tutto il percorso previsto: era riuscita a conquistare una semi-autonomia, aveva lasciato la comunità per un appartamento in convivenza con un’altra ragazza e aveva ricominciato a lavorare, quando nel 2011 è arrivata «una bruttissima ricaduta».

È incominciato tutto da un periodo di particolare crisi e tristezza: «Non mi sentivo bene, ho perso il controllo di me stessa, non me ne sono resa conto subito e non ho chiesto aiuto in tempo, poi era già troppo tardi. Ho ricominciato a drogarmi. Sono stata accusata di rapina e arrestata. Non era vero ma all’inizio nessuno mi credeva: ero tossicodipendente, vivevo di nuovo sulla strada, perciò era ovvio che fossi colpevole. Sono rimasta per sei mesi in carcere, poi sono stata assolta. L’ho avvertita come una terribile ingiustizia, ma poi mi sono resa conto che è stata una fortuna. In un mese ero riuscita a distruggermi di nuovo, stavo peggio di prima. Il periodo trascorso in carcere è stato brutto e molto duro, ma ho cercato di affrontarlo con coraggio. Per fortuna lì ho incontrato di nuovo suor Anna, che mi è stata vicina e mi ha aiutato moltissimo».

A quel punto Giuliana sapeva a che cosa aveva rinunciato: «Mi sono aggrappata a questo, ero riuscita ad avere di nuovo una casa e un lavoro, a riavvicinarmi alla mia famiglia. Non volevo rinunciare, volevo combattere per avere di nuovo la possibilità di costruirmi un futuro sereno. Volevo recuperare tutto ciò che avevo perso». Questo desiderio si è rivelato un motore formidabile.

«Ho cominciato a lavorare in una cooperativa, dove vendiamo prodotti biologici a Torre Boldone. Prima con una borsa lavoro di sei mesi, poi per altri sei, e scaduti quelli per un anno, poi finalmente a tempo indeterminato. Vendiamo frutta e verdura dei nostri campi e detersivi. Ho turni diversi a seconda delle settimane, e adesso vivo da sola, in un appartamento in affitto». Nel tempo libero Giuliana svolge attività di volontariato alla Comunità il Mantello: «Voglio restituire il bene che ho ricevuto quando mi trovavo in difficoltà. Molte ragazze ospitate qui mi hanno conosciuto sulla strada. Vedere che sono riuscita a riconquistare la mia indipendenza e serenità è un grande stimolo per loro, si fidano di me, sanno che sto dalla loro parte».

Giuliana dopo tanti anni di «strappi«, solitudine e cadute ha dovuto impegnarsi in un lungo lavoro di tessitura e rammendo di relazioni e sentimenti, in un processo di riconciliazione con la sua famiglia: «Siamo in tanti, ho quattro sorelle e due fratelli. Dopo la ricaduta le mie sorelle non volevano saperne più di me. Solo Marco, il mio fratello maggiore, mi ha sempre seguito in ogni tappa di questo lungo viaggio all’inferno e ritorno. Non ha mai perso la fiducia che potessi tirarmene fuori e questo è stato un aiuto preziosissimo per me».

È come se lui tirasse il filo della speranza, facendolo brillare come una torcia davanti ai passi di Giuliana. «Poi c’era mia nonna, che mi chiamava sempre e non mi faceva mancare il suo sostegno e il suo affetto, anche quando ero in carcere. Purtroppo è morta poco prima che io uscissi».

Quando il padre di Giuliana si è ammalato lei ha avuto un’occasione per riavvicinarsi: «Erano anni che non ci incontravamo più, in quel momento le mie sorelle non mi hanno rivolto la parola. Non riuscivano a perdonarmi, le capivo ma ne soffrivo molto. Potevo andare a trovare mio padre una volta al mese e trascorrere un po’ di tempo con lui. Così pian piano anche le mie sorelle hanno capito che ero davvero cambiata e hanno deciso di offrirmi un’altra possibilità. Dopo la sua morte, nel 2013, ho continuato a tornare in famiglia una volta al mese, pian piano ci siamo riconciliati, abbiamo ricominciato a vederci e a sentirci, trascorriamo insieme i giorni di festa. È come se avessi due famiglie, quella d’origine e la comunità Il Mantello».

Oggi Giuliana è di nuovo serena: «Ho una vita normale, non mi manca niente. Ogni tanto penso con dolore a tutto ciò che la tossicodipendenza mi ha tolto, agli anni che ho trascorso lontano da mia madre, mio padre e mia nonna che purtroppo ormai non ci sono più. Penso a quanto dolore ho procurato loro, anche senza volerlo. Anche per questo mi impegno molto per trasmettere ciò che ho imparato alle ospiti della comunità, cerco di convincerle a non arrendersi mai, perché anche per loro c’è speranza» .

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