Il «Papa Giovanni» azienda ospedaliera: decida il territorio

La «richiesta» a Regione Lombardia di trasformare l’Azienda socio sanitaria territoriale Papa Giovanni XXIII in Azienda ospedaliera la presenta formalmente oggi, L’Eco di Bergamo, con preghiera al presidente Attilio Fontana di girarla ai funzionari dell’Ufficio Protocollo.

Non è la soluzione a tutti i mali, ma a volte un po’ di sano pragmatismo è utile a smuovere situazioni destinate a incancrenirsi senza che il problema attorno al quale si discute trovi una soluzione. Così, cercando di superare l’impasse che dall’inizio del mese è al centro di animate discussioni tra gli addetti ai lavori della sanità bergamasca, alcuni amministratori e altrettanti consiglieri regionali di governo e di opposizione, la «richiesta» a Regione Lombardia di trasformare l’Azienda socio sanitaria territoriale Papa Giovanni XXIII in Azienda ospedaliera la presenta formalmente oggi, da queste colonne, L’Eco di Bergamo, con preghiera al presidente Attilio Fontana di girarla ai funzionari dell’Ufficio Protocollo. Richiesta insolita, non c’è dubbio, ma almeno (si spera) si entrerà nel merito della questione, che non è quella di chi presenta cosa (anche perché, sul fronte, la legge regionale non dice assolutamente nulla), ma se le esigenze territoriali bergamasche meritino la trasformazione del nostro ospedale da Asst in Ao, con tutte le conseguenze del caso.

Secondo L’Eco di Bergamo (e, molto probabilmente, anche secondo alcune centinaia di migliaia di bergamaschi che ogni giorno si ritrovano nel «loro» giornale) la risposta è «sì», perché avendo al centro dell’assistenza sanitaria provinciale un ospedale che si occupa «solo» di malati, sviluppando ricerca ai massimi livelli e lasciando ad altri la gestione del territorio, gli effetti positivi che ne derivano si irradiano celermente a tutto il sistema delle cure, a vantaggio di ogni malato. Peraltro sono decenni che l’ospedale di Bergamo - il «Maggiore» prima, i «Riuniti» poi e il «Papa Giovanni» dal dicembre 2012 - rappresenta un’assoluta eccellenza non solo in Italia ma, per molti aspetti, anche in Europa, e dunque la trasformazione in azienda ospedaliera non è altro che il riconoscimento di un percorso che dura da tempo, senza contare quanto fatto e quanto sta facendo nella battaglia contro il Covid. Chi ci segue quotidianamente ricorderà che, in un primo tempo, la possibilità di trasformare il «Papa Giovanni» in Ao non era sostanzialmente contemplata dalla riforma presentata in Aula dall’assessorato al Welfare, ma che, al momento di votarla, grazie anche alla ferma presa di posizione de «L’Eco» e a due emendamenti presentati dal consigliere leghista Giovanni Malanchini, la possibilità era stata inserita, diventando legge entrata in vigore il 1° gennaio scorso.

Perché tutta questa fretta a sole tre settimane dalla sua introduzione? I motivi sono diversi, ma in questa sede è utile sottolineare l’importanza del percorso di condivisione che la scelta di trasformare il «Papa Giovanni» in azienda ospedaliera deve necessariamente compiere. Dopo aver contemplato l’istituzione di nuove «Ao» nel territorio della città metropolitana di Milano, il comma 18 bis della legge prevede che sia «la Regione a valutare l’istituzione di nuove aziende ospedaliere sul resto del territorio lombardo, sulla base delle esigenze territoriali, fermi restando i requisiti previsti dalla normativa vigente». Stando così le cose, sembrerebbe essere la Regione il «motore immobile» da cui dovrebbe partire l’analisi delle esigenze territoriali, dando per scontato che «la voglia» di trasformazione del «Papa Giovanni» in azienda ospedaliera è stata più volte pubblicamente espressa anche all’assessore al Welfare, Letizia Moratti. Regione Lombardia, dunque non può dire di non essere al corrente di questo interesse.

C’è comunque bisogno che qualcuno chieda al «Pirellone» di analizzare le esigenze territoriali e valutare l’eventualità di trasformare la «ragione sociale» del «Papa Giovanni»? «L’Eco» c’è, e queste righe sono la richiesta formale di cui tutti parlano. Ma carta e penna potrebbero prenderla - ad esempio - anche il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, il presidente della Provincia Pasquale Gandolfi, la presidente della Conferenza dei Sindaci, Marcella Messina, o il direttore generale dell’Ats Massimo Giupponi, tutti con la piena titolarità per rappresentare il nostro territorio e le loro esigenze. Non si capisce dunque perché debba essere solo ed esclusivamente il direttore generale del «Papa Giovanni» - parte in causa non proprio super partes - ad avanzare la richiesta di cui stiamo parlando. Anche su invito dei suoi primari, comunque, Maria Beatrice Stasi metterà in discussione il tema nel prossimo Collegio dei sanitari, sottolineando due aspetti: il primo è che l’ospedale ha ampiamente tutti i requisiti previsti dalla legge per diventare azienda ospedaliera, il secondo è la massima disponibilità a fornire tutti i dati possibili e immaginabili per valutare al meglio la possibile trasformazione. Che dipende solamente dalla valutazione di Regione Lombardia.

Perché tanta fretta dicevamo? Sostanzialmente per due ragioni. La prima è legata al fatto che la nuova legge prevede che le Asst debbano prendere una serie di decisioni operative sostanziali nei prossimi quattro mesi, in particolare individuare i nuovi Distretti per il Polo ospedaliero e per il Polo Territoriale (entro 90 giorni), prendersi carico del Dipartimento di Cure primarie e del Dipartimento funzionale di prevenzione (oggi gestito dall’Ats, entro 90 giorni) e approvare il Piano di organizzazione aziendale strategico (entro 120 giorni), dentro il quale si snoda l’intera pianificazione dell’Asst con tutte le scelte fondamentali per il territorio (Case di comunità, Ospedali di comunità, eccetera, eccetera, eccetera). Va da sé che se la decisione di trasformare il «Papa Giovanni XXIII» in azienda ospedaliera verrà presa in tempi brevi (cosa però assai improbabile), sarebbe forse meglio che tutta la programmazione legata al territorio venisse dirottata altrove. Siccome passerà comunque un certo lasso di tempo prima che Regione Lombardia decida, va messo in conto la successiva presa in carico del territorio da parte di altri soggetti, a progetti già avviati.

La seconda ragione ne sottende due. La prima sta nel fatto che entro il 28 febbraio la Regione dovrà dare nuove indicazioni sul «funzionamento» delle Conferenze dei Sindaci e le due nuove «diramazioni» previste dalla legge: il Collegio e il Consiglio di rappresentanza dei Sindaci, per la cui costituzione il percorso è ancora tutto da costruire ( se ne dovrebbe riparlare non prima dell’estate). Ecco perché, con un forte percorso di condivisione, sarebbe meglio che fosse l’attuale Conferenza dei Sindaci ad analizzare la pratica della trasformazione in azienda ospedaliera, sottolineando, da una parte, la necessità che il territorio si doti di un ospedale ad alta specializzazione e, dall’altra, l’urgenza di garantire comunque al territorio tutti i servizi di cui ha bisogno e che il «Papa Giovanni» lascerebbe ad altri.

Ma a chi? La risposta potrebbe essere più semplice di quanto si creda. Oggi, oltre all’Asst Papa Giovanni XXIII (che per il territorio segue circa un quarto della popolazione bergamasca), ci sono anche l’Asst Bergamo Est - Seriate (che si occupa di un altro quarto dei bergamaschi) e l’Asst Bergamo Ovest – Treviglio (che si occupa della metà rimanente). Trasferendo la porzione di territorio che segue il «Papa Giovanni» all’Asst Bergamo Est (pur con qualche aggiustamento) si bilancerebbe il sistema. Inoltre l’Asst Bergamo Est, che già si è occupata della riconversione dell’ospedale (di montagna) di Piario, potrebbe occuparsi anche del presidio ospedaliero di San Giovanni Bianco, garantendo molti di quei servizi che i sindaci della Valle Brembana chiedono da tempo al «Papa Giovanni». Per carità, più facile a dirsi che a farsi, ma una strada è già tracciata, anche se ancora tutta da costruire. L’indiscutibile premessa, comunque, è che, in questa operazione, il territorio non perda nulla, anzi ne esca ulteriormente rafforzato.

Non è possibile - si chiederà qualcuno - che Asst Papa Giovanni XXIII e AO Papa Giovanni XXIII possano serenamente convivere sotto lo stesso tetto? A Verona e a Padova sono in corso due sperimentazioni in tal senso (con due Usl che si occupano del territorio), ma la sanità lombarda non è quella del Veneto (con tutto il rispetto per i veneti). Servirebbe un forte coordinamento, ma siccome le idee camminano con le gambe degli uomini, alla fine la concordia e l’unità di intenti restano (quasi) sempre solo dei sogni. Meglio sarebbe, dunque, tenere separati i due filoni.

Considerando superato (e anche un po’ pretestuoso) il tema in origine, la parola passa alla politica. Da parte sua Malanchini ribadisce che «per quel che ci riguarda, i rappresentanti regionali della Lega continueranno a perseguire l’obiettivo che si sono posti (trasformazione del “Papa Giovanni XXIII” da Asst in Ao - ndr) con competenza e massima puntualità. Il fatto che oggi qualcuno, anche all’interno alle istituzioni, incalzi la struttura saltando la Conferenza dei sindaci è gravissimo. Territori come la Val Brembana, ad esempio, verrebbero chiamati in causa solo a giochi fatti». Insomma, la «domanda» è posta (e postata). Attendiamo una cortese risposta.

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