«Il virus c’è ancora, non scherziamo
Attenti ai trasporti. Più rischi che in aula»

L’intervista a Marco Rizzi, direttore Malattie infettive del Papa Giovanni: «L’autunno? Possibili cluster, ma qui tanti già entrati in contatto con il virus».

«Non riusciamo proprio a mettere la parola fine su questa pandemia, diciamolo chiaro». Esordisce così Marco Rizzi, il direttore di Malattie infettive dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, che dallo scoppio dello tsunami Covid è in prima linea contro il nuovo coronavirus.

Quindi siamo messi male?

«È diverso, rispetto a marzo e aprile è tutta un’altra storia: al 17 agosto, per esempio, in ospedale avevamo 14 degenti con infezione da Covid. Però, se guardiamo ai contagi, e parlo di tutta Italia, oscilliamo a seconda dei giorni. I nuovi casi di positività al Sars-Cov2 che vediamo noi sono tutti di persone che arrivano in ospedale per altre necessità. E che nella stragrande maggioranza non hanno sintomi. Certo, ci sono le eccezioni: le abbiamo viste nel lockdown, come alcuni giovani che si sono ammalati gravemente, e continuiamo a vederne anche ora. Ma sono numeri isolati. Gli ultimi pazienti gravi risalgono a fine luglio, uno a Romano di Lombardia trasferito a Brescia di origine nigeriana e un ucraino».

I numeri dei contagi però stanno salendo, è di pochi giorni fa l’allerta per un diciassettenne finito in Terapia intensiva.

«Lo ripeto: quasi tutti i nuovi contagi segnalati sono portatori di Covid ma non sono malati, non manifestano insufficienza respiratoria, danni polmonari gravi. Eccezioni a parte, la situazione dei contagiati è ben diversa da quella del lockdown, non sappiamo se per una carica virale più bassa o perché il virus è meno cattivo. È presto per dirlo.Quello che è certo è che il virus c’è ancora: non si faccia confusione, dobbiamo restare tutti armati di cautela».

A proposito di confusione: test a chi rientra da alcuni Paesi esteri e da altri no, discoteche aperte e poi richiuse, età dei contagi che si abbassa. Cosa si deve pensare?

«La regola aurea deve essere: il lockdown ci ha aiutato ma il virus non è andato via, proteggiamoci. Sui contagi la metterei così: troviamo quello che cerchiamo. È evidente che con la ripresa dei movimenti, dei ritrovi per i giovani, dei contatti tra persone che si trovavano in aree meno toccate dal virus faccia crescere i contagi. Peraltro con il lockdown i giovani sono stati i meno esposti al virus, ora con la movida, nei viaggi, nelle discoteche, possono diventare portatori, e veicolo di contagio. Mentre gli anziani sono più attenti, si proteggono di più. Si stanno innescando cluster in tutta Italia, e certe situazioni, con casi anche lievi, vanno indagate e studiate. Lo stesso va detto per i rientri dall’estero: i primi riscontri ci dicono che la percentuale di positivi va dal 3 all’1% delle persone testate. Gli scenari cambiano, attraverso i tracciamenti individuiamo i nuovi contagi, ma ripeto, troviamo quello che cerchiamo. Quindi la situazione va monitorata e i numeri si devono studiare. Gli effetti di queste maggiori libertà li vedremo più avanti: avremo nuovi cluster, ma siamo più attrezzati».

E a scuole riaperte?

«Dobbiamo mantenere con attenzione le precauzioni contro i contagi. Le conosciamo, le abbiamo imparate: mascherine, distanziamento, igiene. Sono le uniche armi che abbiamo. Il vaccino non arriverà prima dell’estate del 2021, temo. Ma credo che la riapertura delle scuole non sarà un grosso problema. Fa più pensare la situazione dei trasporti: poca distanza, molto affollamento, chi controlla? Questo può essere più rischioso di un’aula scolastica dove i ragazzi o i bambini stanno seduti e distanti».

Un passo indietro al dramma che ha travolto Bergamo. C’è qualcosa che correggerebbe, se potesse?

«Eravamo impreparati. Si sapeva del Sars-Cov2, ma cercavamo i contatti con la Cina, però, dopo i primi casi individuati, nelle fasi iniziali dell’epidemia, è mancata la tempestività nella diagnosi, nel tracciamento, il coordinamento del territorio, di un servizio epidemiologico e di sorveglianza. Il risultato è che si sono intasati gli ospedali, e non potevamo più accettare neppure gente con meno di 90 di saturazione. Tantissima gente è rimasta a casa, tanta è morta a casa. Ora abbiamo imparato, siamo più strutturati. Ma in quel momento è mancata anche una collaborazione tra Regioni e anche intraregionale: esisteva sulla carta, ma tutti si tenevano stretti i posti a loro disposizione, dal Papa Giovanni abbiamo trasferito 660 persone in altre strutture, ma quasi tutte in spazi a bassa intensità: quelle spostate in altre terapie intensive sono state meno di 50».

Come stanno andando i follow up dei vostri ex ricoverati? Cosa emerge della malattia?

«Su 2.172 ricoverati ne abbiamo visitati 765, e contiamo di chiudere il primo giro di visite entro metà settembre, negli ambulatori della Fiera: i maggiori disturbi sono problemi respiratori, quelli cardiaci e pneumologici sotto il 10%. Diversi i casi di depressione, ansia e shock post traumatico, tanti quelli di astenia, disturbi del sonno. Il decorso di questa malattia è complesso. Su oltre duemila ricoverati abbiamo avuto 440 morti, ma a questi ne vanno aggiunti altri 200, dimessi, poi deceduti per complicanze: lo abbiamo scoperto nelle chiamate per il follow up».

Che autunno ci aspetta?

«Non credo che nella Bergamasca avremo un’ondata come quella di marzo: una buona parte della popolazione ha avuto contatti con il virus. Il sistema sanitario si è attrezzato, sappiamo come combattere. Ma il virus c’è. Dobbiamo imparare a vivere con cautela, e proteggendo noi e gli altri. In attesa del vaccino».

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