Il voto in Emilia-Romagna
e le sue ricadute nazionali

Un governo che sia dotato di un’ampia maggioranza, che manifesti - un giorno sì e l’altro pure - il suo orgoglio per l’attività svolta, che si senta sicuro di avere le forze, le idee e il tempo necessari per completare il piano di riforme promesse, non dovrebbe farsi prendere dall’ansia di fronte a due elezioni regionali. Invece, in poche altre occasioni un esecutivo ha tradito, come nel presente appuntamento elettorale dell’Emilia Romagna e della Calabria, un nervosismo tanto esasperato. Il presidente Conte decide addirittura di disertare l’appuntamento, già ufficializzato, del Forum economico internazionale di Davos, adducendo la giustificazione di «impegni urgenti».

Un modo diplomatico per dire che non si sente di lasciare Roma alla vigilia di un voto tanto incerto. Parimenti, la decisione, presa da Di Maio di dimissionarsi da capo del Movimento a tre giorni dall’apertura delle urne, non si spiega se non con il timore di doversi intestare l’ennesimo tonfo elettorale. Sono solo due segni, tra i tanti, del clima di allarme che si respira nei piani alti del governo.

Si tratta forse solo di un’amplificazione dei rischi che il voto regionale rappresenta per il Conte bis, frutto dello stress provocato da sei mesi di governo vissuti pericolosamente. Una sorta, insomma, di «wishfull thinking» alla rovescia: paura cioè che alla fine si avveri proprio l’esito temuto. Non si vuol dire con ciò che rischi per la maggioranza giallo-rossa non siano presenti, e pesanti. Solo il fatto che la storica roccaforte della sinistra, espugnata o meno sia, venga esposta per la prima volta nella sua storia al concreto pericolo di cadere nelle mani del nemico, rende l’idea della crisi in cui si dibatte il Pd.

Un segnale di allarme ancor più drammatico per il partito se si considera che l’Emilia Romagna vanta una tradizione di buon governo, un welfare che ha fatto scuola anche fuori d’Italia, un’economia in buona salute pur in tempi piuttosto magri. Se nonostante tutti questi vanti nella regione rossa per eccellenza il Pd è contendibile, figuriamoci in tutto il resto del Paese.

Se Atene piange, nemmeno Sparta può ridere (troppo). Non sarà senza pesanti ricadute, infatti, nemmeno per Salvini un’eventuale mancata elezione a governatrice della Borgonzoni. Perdere quella che è stata presentata come la madre di tutte le battaglie lederebbe non poco il prestigio anche di un Capitano che può vantare il merito di aver condotto i suoi a un rilancio elettorale strabiliante: da un misero 4% a più del 30%, e in meno di un lustro. Soprattutto, rimetterebbe in discussione la sua intera strategia politica, tutta affidata a un piano d’attacco delle linee nemiche in vista di una resa che, tuttavia, non avviene mai.

Da ultimo, è in gioco in questo voto, più di tutto, il destino dei Cinque Stelle: una nave in gran tempesta, senza capitano, senza una rotta, con gli ufficiali divisi sul da farsi e l’equipaggio smarrito, se non sgomento di fronte al rovinoso progredire degli eventi.

A urne aperte, in ogni caso il governo difficilmente cadrà. Nessuno dei partner della coalizione e, bisogna riconoscere, anche qualcuno dell’opposizione (alludiamo a Forza Italia) ha infatti intenzione, e neppure l’interesse di far precipitare la legislatura verso nuove elezioni. Ciò nonostante, si può star certi che molto è destinato a cambiare dopo questo voto.

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