Inchiesta su Alzano: «Il pronto soccorso
riaperto su ordine della Regione»

Ecco cosa accadde domenica 23 febbraio all’ospedale di Alzano. Evacuato 4 ore. Un primario: lo volevamo chiuso, ma telefonarono da Milano.

Cos’è accaduto quel 23 febbraio all’ospedale di Alzano non è semplice da decifrare, fra turbinii di telefonate, riunioni, mail, pressioni, pazienti che si scoprivano contagiati dal Covid-19, pronto soccorso chiuso e poi riaperto. Il caos scoppia all’ora di pranzo, quando arrivano gli esiti del tampone cui sono stati sottoposti due degenti con una brutta polmonite. Sono positivi, vengono messi in isolamento in camere singole e in serata trasferiti nel reparto Malattie infettive del Papa Giovanni. Uno dei due è Ernesto Ravelli, 83 anni, di Villa di Serio, che morirà nella notte, prima vittima accertata del coronavirus in Bergamasca.

Intorno alle 14 la direzione dell’ospedale sceglie di chiudere il pronto soccorso, da cui erano transitati i due contagiati. Per evitare la diffusione del virus viene anche deciso che il personale al lavoro non smonti dal turno. Che cosa succede nel frattempo? Che la dirigenza si riunisce per decidere il da farsi, interfacciandosi con la Regione. Nella relazione che l’Asst Bergamo Est, cui fa capo il Pesenti Fenaroli, ha inviato all’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera si ribadisce che si sono seguite le «indicazioni regionali». Quali? Quelle contenute in alcune circolari ministeriali con le linee guida. Si scopre che già il 22 gennaio, a un mese dal primo contagio ufficiale, sono state approntate quelle per affrontare il coronavirus. Sono prescrizioni ribadite in due nuove circolari: quella del 27 gennaio e quella del 22 febbraio. Nella sostanza i documenti per gli ospedali raccomandano, tra le altre cose, l’utilizzo dei dispositivi di sicurezza per i dipendenti e la creazione di percorsi dedicati ai sospetti casi Covid in arrivo al pronto soccorso, di modo che non infettino chi è lì per altre patologie. Inoltre, le circolari dispongono che i pazienti contagiati siano sistemati in camere singole. Viene fatto, da come è scritto nella documentazione dell’Asst, che fa parte del materiale acquisito nell’ambito dell’indagine della Procura.

Nel frattempo il pronto soccorso viene evacuato e si procede alla «disinfezione», e cioè vengono disinfettati con il cloro le superfici, le apparecchiature e gli strumenti medici. Poi, poco dopo le 18, riapre. Perché? Forse perché dall’alto giungono pressioni. Lo ha raccontato giovedì 9 aprile al Tg1, in forma anonima, uno dei primari di Alzano. Il quale ha spiegato della riunione di emergenza tra una ventina di persone tra medici e capi dipartimento. «Noi abbiamo detto “chiudiamo l’ospedale”, perché c’era appena stato il caso Codogno. A un certo punto è arrivata la telefonata del dg del Welfare (l’assessorato regionale, ndr) Cajazzo che dice che non si può fare, perché c’era almeno un malato di Covid in ogni provincia e dunque non si poteva chiudere Alzano, poi dopo mezz’ora Cremona e via dicendo. “Quindi riaprite tutto”. Noi in quel momento non sapevamo che saremmo diventati l’epicentro italiano, ma sapevamo che avremmo dovuto seguire la strada di Codogno (ospedale chiuso, ndr). Noi medici abbiamo pensato: “Se noi tecnici dipendiamo da loro, siamo morti”. Abbiamo chiesto poi dei dispositivi di protezione ma ci hanno detto che non li avevano”». Il lavoro è così ripreso, molti fra medici e infermieri col tempo sono risultati contagiati, così come alcuni dei 20 presenti a quella riunione. La replica della Regione, tramite l’assessore al Bilancio Davide Caparini, non si è fatta attendere: «Medici, scienziati e dirigenti che da settimane lottano per strappare pazienti da una morte tremenda trattati come delinquenti da quello che fu un tg autorevole».

Il vero problema del Pesenti Fenaroli è stato quello di aver covato inconsapevolmente il focolaio, ricoverando casi di Covid quando il Covid in Italia non era ancora ufficialmente emerso. «Nel periodo fra il 13 e il 22 febbraio – scrive nella relazione l’Asst – sono giunti pazienti successivamente ricoverati in Medicina generale con la diagnosi di accettazione polmonite/insufficienza respiratoria acuta», perché nessuno di loro «presentava le condizioni previste dal ministero della Salute per la definizione di caso sospetto». Tra questi Ernesto Ravelli, i cui parenti- intervistati da Valseriana News – sostengono che l’anziano ha contratto il virus in ospedale dove è stato ricoverato in Medicina dal 5 al 19 febbraio per un’emorragia interna. «Da cui si stava riprendendo – osservano i familiari -. E’ stato dimesso con una brutta tosse, vomitava e non si reggeva in piedi, ma è stato mandato a casa, dove si è presto aggravato. Il 22 è stato riportato al pronto soccorso e ricoverato in Chirurgia» . E’ la prima vittima bergamasca. Ma in famiglia ci tengono a far sapere che non è stato lui a portare il virus al Pesenti Fenaroli, semmai il contrario.

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