Infezioni in ospedale: 8.000 casi all’anno
«Serve igiene e uso corretto di antibiotici»

La cronaca delle ultime settimane, con i quattro neonati morti agli Spedali Civili di Brescia, accende i riflettori sul tema delle cosiddette «Infezioni correlate all’assistenza».

Ogni anno in Italia 600 mila pazienti contraggono un’infezione in ospedale o in un’altra struttura sanitaria. Di questi, la maggior parte guarisce, ma 7 mila persone perdono la vita. La cronaca delle ultime settimane, con i quattro neonati morti agli Spedali Civili di Brescia, accende i riflettori sul tema delle cosiddette «Infezioni correlate all’assistenza (Ica)» e sulle azioni delle strutture per prevenire la diffusione dei batteri. Anche perché, sempre secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, il 30% delle infezioni sarebbero prevenibili seguendo le corrette procedure assistenziali.

Il Papa Giovanni XXIII

«Le infezioni ospedaliere – commenta Marco Rizzi, presidente del Comitato infezioni correlate all’assistenza e uso appropriato di farmaci antimicrobici del Papa Giovanni XXIII – non sono eventi da associare necessariamente alla malasanità, ma rientrano nei rischi delle pratiche ospedaliere ogni volta che assumiamo una decisione clinica, diagnostica o terapeutica».

Le infezioni arrivano a interessare in media l’8% dei pazienti di un ospedale: «Questo dato non rappresenta il rischio per tutti i pazienti, perché dipende dal tipo di trattamento, il range può andare da meno 1% a un massimo dell’80%. Quell’8% è un dato che può aumentare, perché la medicina attuale è sempre più aggressiva, per poter curare le patologie più gravi spesso si va a incidere sulle difese immunitarie». Trend di miglioramento si possono registrare sui singoli trattamenti, «ma – dice Rizzi – l’essere virtuosi non significa arrivare allo 0%, perché non è realistico, bensì rispettare i limiti imposti dalla letteratura scientifica».

Le infezioni ospedaliere più frequenti «sono associate al catetere vescicale, oppure ai cateteri venosi centrali. Seguono le ferite chirurgiche e l’uso dei ventilatori in terapia intensiva». Nella Bergamasca ogni anno si stimano circa 8 mila infezioni.

Risulta importante dunque la prevenzione, che copre un ampio ventaglio di attività, parte dal lavaggio delle mani, veicolo principale di diffusione dei batteri, fino ad arrivare alle specifiche tecniche di sterilizzazione della strumentazione e alla messa in pratica delle corrette procedure, oltre che l’uso appropriato degli antibiotici. Si aggiungono le procedure diagnostiche più adeguate per riconoscere le infezioni: «Ogni ospedale ha al suo interno un comitato per l’applicazione dei protocolli, a norma di legge. Peculiarità del Papa Giovanni sono programmi specifici sull’uso appropriato degli antibiotici», conclude Rizzi.

L’Asst Bergamo Est

Le infezioni sono un costo per il sistema sanitario, ma soprattutto un pericolo serio: «Gli studi più recenti dimostrano che sono stati circa 99 mila i decessi negli Stati Uniti nel 2018 con un costo attorno ai 10 miliardi di dollari. In Italia ogni anno sono circa 7 mila i morti in riferimento all’intero sistema dell’assistenza», evidenza Francesco Lubrano, direttore del Presidio ospedaliero Bolognini e dell’Unità operativa Igiene ospedaliera dell’Asst Bergamo Est. «Ci deve essere impegno da parti di tutte le organizzazioni per contrastare un fenomeno, non completamente eliminabile, perché gli opportunisti patogeni che attaccano il nostro organismo ci sono. Al Bolognini organizziamo periodicamente incontri specifici sui singoli temi, oltre ai controlli interni, ad esempio rispetto al lavaggio delle mani da parte dello staff».

L’Asst Bergamo Ovest

Le procedure delle Asst sono rivolte alla prevenzione e contrasto della diffusione delle malattie infettive sia di origine umana, sia ambientale: come gli altri ospedali, anche «l’Asst Bergamo Ovest ha attivato da anni un programma annuale di controllo dell’impianto idrico delle sue strutture per prevenire le infezioni da legionella», spiega Angelo Pesenti, presidente del Comitato infezioni ospedaliere dell’ospedale di Treviglio.

Tra gli obiettivi aziendali ci sono le «indagini di prevalenza e di incidenza di alcuni patogeni, condotte in coordinamento con l’Ats. Inoltre viene monitorata l’attività di trasmissione delle denunce di malattie infettive alla Ats, alla Regione e al ministero». I laboratori analisi lavorano in rete con gli altri individuati da Regione Lombardia, «inviando loro i ceppi batterici isolati per la tipizzazione, al fine di condurre indagini epidemiologiche – conclude Pesenti –. Tutti gli operatori sanitari sono, poi, a conoscenza delle procedure d’isolamento in caso di identificazione di pazienti portatori di batteri altamente diffusibili e pericolosi».

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