Intervista a al presidente Fontana
«Insieme ce la faremo. E ora ripartiamo»

Il presidente della Regione Attilio Fontana a Bergamo. Sul tavolo 310 milioni di euro per investimenti e opere sul territorio.

Pazienza e ripartenza. «Ci sarà da soffrire ma ne usciremo». Tappa bergamasca per il Piano Marshall della Regione Lombardia: il governatore Attilio Fontana ha presentato a sindaci e categorie economiche un disegno che per il nostro territorio «vale 310 milioni di euro».

Non sono rischiosi i finanziamenti a pioggia?

«Questi sono di due tipi: una progettualità più ampia su infrastrutture, banda larga, agricoltura, innovazione e ricerca. Poi anche finanziamenti a pioggia, certo: la risposta a tante richieste che magari in questi anni non si sono potute soddisfare e che rimette in moto tante piccole o piccolissime imprese».

Nel caso di altri soldi, quelli del recovery fund, non teme un assalto alla diligenza?

«Il rischio c’è, ma dobbiamo avere la capacità di immaginare il Paese da qui ai prossimi 40 anni e fare progetti in funzione di questa visione. Per questo è necessario un coinvolgimento delle Regioni: se useremo questi fondi come una serie di mance rischiamo il disastro».

La tragedia del Covid ha evidenziato le lacune della medicina di base. Non siete in ritardo nell’operazione di messa a punto?

«Il termine della sperimentazione scade il 31 dicembre, fare più rapidamente sarebbe stato un pastrocchio. Abbiamo diversi esperti a lavoro, a breve contiamo di fare le rivalutazioni del caso. Ci sono state carenze nel sistema, anche se un po’ enfatizzate. Di fatto la sanità del territorio non ha quasi potuto essere messa alla prova, stante l’esplosione di casi: i medici di famiglia avrebbero potuto fare poco».

Ma sono comunque il primo terminale sul territorio.

«Stiamo facendo le valutazioni del caso ma non possiamo intervenire sui medici di base, non dipendono da noi: sono professionisti con dei contratti col ministero della Sanità.Premesso questo, chiaro che devono diventare il primo punto di riferimento sul territorio per arrivare a una minore ospedalizzazione».

È preoccupato dei dati attuali?

«Preoccupato è una parola troppo grossa: sono molto attento all’evoluzione della situazione perché non dobbiamo fare errori. Certo, qualcosa di più poteva essere fatto: a maggio ho chiesto al governo una differenziazione degli orari delle attività lavorative e scolastiche così da evitare l’affollamento sui trasporti. Non ho mai ricevuto una risposta e ora il problema si ripropone: secondo me le lezioni a distanza per l’ultimo triennio delle superiori erano una soluzione».

Dove si immagina il giorno di Natale? A casa in lockdown?

«Credo di no. O meglio,lo spero: non possiamo permettercelo. Penso semmai che potrebbero esserci delle chiusure limitate, per territorio o attività».

Sull’ospedale di Alzano c’è un’inchiesta aperta, lei rifarebbe tutto?

«Io su Alzano non ho fatto niente e non avrei nulla da contestare a chi ha operato in quella situazione. Certo, non sono un tecnico e posso sbagliarmi, ma mi risulta sia stato riaperto in condizioni di sicurezza. La verità è che quanto successo in Lombardia non si differenza da New York o Madrid: la concentrazione di persone, la mobilità esasperata e le attività frenetica sono un comune denominatore».

Quindi il suo collega Zaia non è stato più bravo di lei ma ha semplicemente avuto meno persone da gestire?

«Sono sicuramente tutti più bravi di me, ma bisognerebbe confrontarsi su situazioni omogenee».

Mai pensato di dimettersi?

«Mai. Vede, uno può farlo per una decisione personale, non per una violenza esterna o attacchi strumentali e infondati».

Indossa una camicia Paul&Shark, vedo, il marchio di suo cognato e della vicenda camici. Considera anche alcune inchieste una violenza o un attacco strumentale?

«È giusto che vengano fatte, ci mancherebbe. Magari contesto il fatto che escano certe notizie, ma è un discorso più ampio».

Questi fondi per il territorio sono un invito a ripartire verso quella nuova normalità che lei ha spesso citato. Ma da dove cominciamo?

«Dalla convivenza col virus, pensare di vivere come prima è sbagliato. Alcuni comportamenti inappropriati hanno purtroppo favorito la sua recrudescenza e chiedo particolare attenzione soprattutto ai giovani. E poi tanta determinazione, quella che sto vedendo nelle categorie produttive e nel territori e che mi fa ben sperare».

C’è ancora un sentimento antilombardo secondo lei?

«Purtroppo sì, magari in modo più subdolo, e mi dispiace che spesso arrivi da politici lombardi per qualche consenso in più. Mi sento offeso da chi dice che qui le cose fanno schifo o non funzionano per svilire il nostro lavoro, ma così paradossalmente aumenta un senso di comunità già forte in realtà come Bergamo o Brescia»

La questione vaccini?

«Una polemica creata ad arte. Abbiamo comprato il doppio dei vaccini dell’anno scorso, quando non li avevamo nemmeno consumati tutti. Copriamo tutte le categorie che dobbiamo coprire e le altre Regioni in proporzione ne hanno comprati quanto noi».

Scusi, nella sua ricostruzione complessiva sembra che in Lombardia sia andato tutto bene. E invece non è proprio così...

«Non dico questo, assolutamente no. Ma in quel momento non potevamo fare altro: abbiamo fatto errori? Certo, come molti virologi o chi mi insultava perché volevo s’indossassero le mascherine. La verità è che nessuno conosceva cosa fosse questo virus, tranne i cinesi che però non ci hanno detto niente. Forse abbiamo sbagliato un po’ tutti, e in fin dei conti di questo virus sappiamo poco pure ora. Ecco, in una situazione così è difficile pensare di non fare errori, sarebbe servita una sfortuna sfacciata».

Senta, ma il robottino al Papa Giovanni XXIII...

«Arriva, promesso».

Presidente, ne usciamo da questo incubo?

«Sì, insieme ce la faremo: la Lombardia non è solo una regione, ma una comunità di valori. Ma ci sarà da soffrire ancora un po’».

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