La grande famiglia di Happy Chemio:
«Combattiamo il cancro con l’allegria»

Fiorenza Salvetti, colpita dal tumore, ha creato un gruppo per dare conforto a malati e parenti: cene e passeggiate.

Ogni vita segue un ritmo originale, come una musica silenziosa che ne modella l’orizzonte: se volessimo paragonare la famiglia Salvetti di Ossanesga di Valbrembo a uno strumento musicale, per esempio, sceglieremmo una fisarmonica, capace di accogliere e riprodurre tanti suoni diversi fondendoli in un’incantevole, trascinante armonia.

Fiorenza e suo marito Claudio, dal 2003 ad oggi hanno cresciuto una ventina di ragazzi. Ci sono le tre figlie naturali Daniela di 23 anni, Benedetta di 20 e Caterina di 19, la figlia adottiva Maria, 7 anni, e accanto a loro tanti altri minori in affido.

Un vecchio proverbio del Burkina Faso dice che «Se le formiche si mettono d’accordo possono spostare un elefante», ed è con questo spirito che la famiglia sta affrontando anche la malattia della «super-mamma» Fiorenza, come una squadra cementata dall’amore e dalla solidarietà.

Il tempo e il destino

Le pareti del soggiorno sono tappezzate di fotografie: una galleria di momenti felici che testimonia una straordinaria capacità di resistere alle avversità, messa alla prova in molti modi dal tempo e dal destino. Nel gennaio 2018 Fiorenza si stava curando per un malanno che sembrava «una banale influenza», ma tardava a guarire. «Non sto mai ferma, non fa parte del mio carattere, ma a un certo punto mi sono preoccupata e ho deciso di approfondire. Inizialmente mi avevano diagnosticato una polmonite». La situazione, però, non migliorava, Fiorenza si sentiva affaticata, respirava con difficoltà, così si è rivolta a uno pneumologo per approfondire. Un’ecografia ha rivelato che i polmoni erano pieni di liquido: «Lo hanno estratto, ce n’erano addirittura tre litri. Hanno eseguito un esame citologico che purtroppo ha rivelato un carcinoma pleurico con cellule di tipo mammario».

Il tumore era occulto, era sfuggito agli esami di routine. Dopo diverse mammografie, ecografie e biopsie i medici hanno individuato alcune cellule riconducibili a un carcinoma maligno infiltrante della mammella, che però non aveva formato noduli e si era invece diffuso a livello venoso e capillare fino a colpire non solo i polmoni ma anche le ossa. «Avevo già alcune metastasi alla colonna vertebrale - dice Fiorenza -, al bacino, alle tibie, alle coste. Avvertivo qualche dolore, ma soffro di artrosi perciò non ci facevo caso. Data la situazione non si poteva intervenire chirurgicamente. L’unica possibilità era cercare di bloccare l’avanzata della malattia. Mi hanno sottoposto a una cura sperimentale: chemioterapia abbinata a terapia ormonale con estrogeni».

All’inizio sembrava che il fisico reagisse bene, ma dopo un paio di settimane si è presentata una gravissima complicazione, un’intossicazione del fegato per la quale Fiorenza è stata ricoverata d’urgenza in ospedale: «Ci sono rimasta per quindici giorni, sono riuscita a riprendermi, purtroppo però hanno dovuto sospendere quei farmaci e ricominciare con la chemioterapia classica, ne ho fatte 24, una alla settimana, con pochissime pause. Ormai so che tutta la mia vita procederà a braccetto con la chemio».

Come se non bastasse, nel dicembre scorso è scivolata in casa e si è procurata una frattura tripla della tibia e del malleolo: «Hanno dovuto operarmi, ma ovviamente nella mia condizione era complicato, perciò la guarigione è stata più lunga. Prima il gesso, poi lo stivaletto, finché mi sono gradualmente rimessa in piedi, prima con il carrellino, poi con due stampelle e infine con una sola. Nel frattempo ho avuto anche il fuoco di Sant’Antonio, che mi mangiava dappertutto, superato in tre settimane, e una trombosi». Lo racconta sorridendo, come se niente fosse, perché è riuscita a superare questi ostacoli, uno alla volta, con tenacia e coraggio, mantenendo il suo sorriso e la sua famiglia unita.

Una grande risorsa

«Quando mi sono ammalata - racconta Fiorenza - i servizi sociali mi hanno chiesto se i ragazzi dovevano essere allontanati, ma abbiamo deciso che avremmo continuato a tenerli con noi. Hanno già tanti problemi, hanno storie complicate, spesso segnate da maltrattamenti, incuria o abbandono, non potevamo aggiungere un altro trauma. Siamo riusciti a gestire tutto, come qualunque altra famiglia “normale”. I nostri figli si sono dimostrati una grande risorsa. Mi hanno impedito di pensare troppo ai miei malanni. Ho continuato a prendermi cura di loro anche se sono stata costretta a ridimensionare i miei compiti e a fare i conti con la mancanza di energie fisiche, con gli effetti di terapie invasive. Mi sono detta, fin dall’inizio: ne ho passate tante, affronterò anche questa. Non mi piace drammatizzare, e credo davvero che la malattia sia un’esperienza da cui si può ottenere stimoli positivi».

Il faldone di esami

Fiorenza ha contagiato con il suo ottimismo e la sua allegria anche altri pazienti del reparto di oncologia all’ospedale Papa Giovanni XXIII: «Sono sempre andata ai miei appuntamenti accompagnata dalla mia amica Teresina, infermiera anche lei, ora in pensione. Ci guardavamo intorno con tristezza, vedendo gli altri seduti nelle poltrone accanto, ognuno con il suo faldone di esami», ognuno oppresso da un silenzio ingombrante e ostinato, «la scelta era rompere il ghiaccio oppure tornare a casa spezzati». Fiorenza e Teresina hanno incominciato ad attaccare discorso: un sorriso, un po’ di chiacchiere, e pian piano sono nate nuove amicizie. «Così abbiamo creato un gruppo che si chiama Happy Chemio. Inizialmente abbiamo coinvolto tutti quelli che seguono la terapia di venerdì, poi però siamo riusciti a coinvolgere anche i pazienti delle altre giornate». L’obiettivo era creare occasioni d’incontro informali - gite, cene, passeggiate - che favorissero la condivisione, la spensieratezza, una reazione positiva alla malattia. Un’iniziativa che ha raccolto molti consensi: «Alla prima pizzata eravamo in venti, alla seconda cena in quaranta, al pranzo sociale siamo arrivati addirittura a 180 partecipanti, coinvolgendo parenti, medici, amici. Invece di rimanere lì a guardarci e tenere il muso lungo ci siamo trovati qualche nuova distrazione. Siamo stati in gita a Mantova, a settembre andremo in montagna. Ci siamo suddivisi i compiti per organizzare, trovando in modo informale un presidente, un vicepresidente, un segretario e tutto, come se fosse una vera associazione, anche se ancora non lo è. Il gruppo funziona come un grande aggregatore, a forza di insistere anche i più restii sono riusciti ad aprirsi, anche loro hanno scoperto che si sentono sollevati chiacchierando con gli altri».

Ora Fiorenza sta proseguendo la terapia con un’infusione di farmaci ogni tre settimane e ogni tre mesi ripete gli esami di controllo per assicurarsi che non ci siano recidive. La sua famiglia all’inizio ha accusato il colpo ma poi, come sempre, si è sintonizzata sulle sue frequenze: «Hanno visto che ho reagito bene, non ho subito effetti collaterali pesanti. Li ho coinvolti più attivamente nelle faccende domestiche, e col tempo si sono tranquillizzati, a volte si dimenticano perfino che io sia malata».

Le traiettorie di casa Salvetti, perfino le ferie a Marina di Pietrasanta, hanno seguito il ritmo delle terapie: «L’anno scorso siamo tornati indietro ogni sabato per la chemioterapia, tutta la famiglia, sempre insieme. Un po’ di preoccupazione c’è, ho capito subito che cosa significasse “terapia di salvataggio” nella mia diagnosi. Ho fatto l’infermiera per tanti anni, sono del mestiere, e questo ha vantaggi e svantaggi. Ogni volta che devo sottopormi ai controlli sono in agitazione per qualche giorno, è normale, ma bisogna farsi coraggio e andare avanti, puntando sulla speranza per combattere la paura. Gli effetti collaterali sono tanti ma possiamo andare avanti lo stesso. La vita dei malati oncologici è dura. I ricoveri ospedalieri sono spesso veloci, ma le convalescenze sono impegnative». Il sostegno dei familiari e degli amici è fondamentale: «A un certo punto bisogna accettare i propri limiti e sapere che a volte è necessario dipendere dagli altri, forse è questo lo scoglio più duro di questa malattia, soprattutto per una persona come me, abituata a prendersi cura degli altri. Non si deve mai essere prepotenti con se stessi, e io mi sto adattando pian piano. Se prima al rientro dalle vacanze al mare facevo dieci lavatrici, adesso me la prendo con più calma».

Gesti esemplari

La famiglia Salvetti ha potuto contare sugli amici, i parenti, i vicini di casa, le mamme dei compagni di scuola dei ragazzi: «Moltissimi ci sono stati vicini, quando abbiamo avuto bisogno sono accorsi per darci una mano. Qualcuno arrivava con piatti di cibo pronto, qualcun altro ci portava via i panni per stirarli. Sono gesti esemplari, ci hanno fatto assaporare l’amicizia e la generosità delle persone. Abbiamo imparato che a volte è importante mettere da parte l’orgoglio e lasciarsi aiutare. Condividere la malattia e le difficoltà offre strumenti in più per affrontarle e cambia lo sguardo sul mondo».

Accogliere e condividere sono le parole d’ordine di questa tribù composita che dal 2012 comprende una bambina speciale, Maria, nata con la sindrome Cri du chat (grido del gatto), con delezione di parte del cromosoma 5, una patologia rara che provoca ritardo dello sviluppo motorio e ritardo mentale, accompagnata in questo caso da cardiopatia e neuropatia. «Quando ce l’hanno affidata aveva poco più di un mese, era ricoverata in patologia neonatale e i pediatri non scommettevano sulla sua sopravvivenza. Poi pian piano è migliorata ed è rimasta con noi, perché abbiamo deciso di adottarla. L’anno prossimo comincerà la prima elementare, e ha fatto moltissimi progressi, anche se purtroppo non riesce a parlare, perché la sindrome colpisce i centri del linguaggio. Noi la capiamo benissimo comunque». A casa di Fiorenza Salvetti si scopre infine in modo semplice, concreto e quotidiano che, come scriveva il poeta messicano Amado Nervo «il vero amore fa miracoli, perché esso stesso è il più grande miracolo»

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