La mortalità torna ai livelli del 2019
Ecco i dati Comune per Comune

Ad aprile in provincia di Bergamo il divario della mortalità tra il 2020 e la media degli ultimi anni si abbassa di 450 punti percentuali. Il bilancio dei contagi nel primo mese della fase 2: crescita contenuta al 16%.

Sale fino al picco del 19 marzo, poi scende rapida verso i livelli di un anno fa. Non è una banale curva quella disegnata dai dati pubblicati ieri da Istat. In un solo grafico - tratto rosso su sfondo grigio - ci sono le vite spezzate di migliaia di bergamaschi morti a causa del coronavirus.

Una linea segno della tragedia che si è consumata nelle comunità e ora chiaro segnale di conforto. Perché dopo il marzo terribile la curva si è abbassata fino alla quota del «normale» 2019 senza epidemie. Sembrava impossibile in quelle settimane di caos, con gli ospedali pieni e le bare stipate nella chiesa del cimitero monumentale. Per fortuna - anzi, oltre alla fortuna va dato merito ai cittadini che hanno seguito le regole durante la chiusura totale - il virus è stato contenuto. E gli effetti si misurano anche nei numeri diffusi ieri dall’istituto nazionale di statistica, che ancora una volta ha deciso di aggiornare i dati della mortalità nel segno della trasparenza, indispensabile per capire l’andamento della pandemia sul fronte più doloroso. 7.796 morti totali a marzo e aprile contro i 1.701 di un anno fa: un dato complessivo a confermare l’inchiesta realizzata da L’Eco di Bergamo sull’eccesso di mortalità e certificare il netto divario con le morti «ufficiali», 2.994 nei due mesi cruciali.

Bergamo è la provincia che ha registrato il calo più significativo. Da una sovramortalità «monstre» di 571% a marzo si è passati al +123% di aprile. Meno 450 punti percentuali in un solo mese, che scenderanno ancora con l’aggiornamento di maggio. Non lo stesso si può dire di altre province lombarde, dove la diminuzione è più contenuta. L’eccesso di mortalità si mantiene ancora alto ad aprile e sui livelli di marzo nella province di Pavia (135% di decessi in più rispetto alla media 2015-2019), di Monza e Brianza (101%) e di Milano (98%). A Sondrio, invece, aumenta: 93% di decessi in più ad aprile contro il 78% di marzo, sempre sulla media degli ultimi anni.

Grazie ai dati Istat è possibile analizzare a fondo cosa è successo sul territorio. I picchi, ad esempio: in tutta la provincia il giorno nero è stato il 19 marzo, quando sono morte 336 persone contro le 39 di un anno fa. La curva avanza in modo positivo anche nei Comuni. A Nembro, uno dei paesi più colpiti, già dai primi di aprile il conto quotidiano dei decessi non fa più paura. Lo stesso vale ad Alzano lombardo, che ha visto calare la linea da metà aprile. Anche i numeri dei decessi confermano che il virus ha colpito con più forza in aree come le valli, l’area della città e dell’hinterland, il Sebino. Molto meno nella Bassa e nell’Isola.

In questa infografica è possibile consultare la mortalità di tutti i Comuni italiani

Un andamento che rispecchia, pur con tutti i limiti del caso, il monitoraggio dei contagi nei Comuni della provincia. Il bilancio a un mese dall’inizio della fase 2 scattata il 4 maggio dice che in Bergamasca si è passati da 11.538 contagiati ai 13.466 comunicati ieri, con una crescita del 16,7%. Quindi contenuta rispetto al boom di marzo e aprile. Numeri però «viziati» da molte variabili, tra cui la capacità di fare tamponi, che non ha ancora avuto un aumento decisivo (ieri 3.410 tamponi in tutta la Regione), e le campagne di monitoraggio attraverso i test sierologici che hanno contribuito a scovare positivi. Da non sottovalutare anche la comunicazione in ritardo di alcuni risultati riferiti a settimane precedenti.

Nonostante tutto, i dati dicono che nell’intero mese della fase 2 nella città di Bergamo i contagiati sono aumentati di 202 sui 1.659 totali. Seguono poi Albino con 97, Treviglio 55, Scanzorosciate con 48. Per tutti, negli ultimi giorni, il calo è stato vistoso. E quindi anche per i contagi si può guardare con fiducia all’estate, mantenendo comunque la prudenza necessaria ad evitare quella «seconda ondata» oggi più uno spettro che un pericolo ritenuto imminente come nelle prime fasi della riapertura.

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