Le mani dell’ostetrica fermate dal dolore
generano vita nelle opere d’arte in argilla

Una complicazione per un intervento chirurgico e l’impossibilità di continuare il mestiere che dona la vita. Il dolore e il nuovo percorso dalla vena artistica.

La nascita di un bambino è un momento sacro, indimenticabile, in cui si sommano dolore, fatica, coraggio e gioia. Franca Zucchinali di Torre Boldone, ostetrica da quasi quarant’anni, l’ha sperimentato in mille modi diversi nella sua professione: «È un momento intensissimo, fatto di ascolto, sguardi, gesti silenziosi, in cui entrano in gioco energie straordinarie». Dieci anni fa una complicazione seguita a un intervento di colecistectomia l’ha portata a un passo dalla morte: costretta a un lungo periodo d’immobilità, privata delle forze, da allora ha deciso di non assistere più ai parti, e le sue mani hanno incominciato a trasferire nell’argilla, elemento della terra, le emozioni della nascita in sculture che sono un omaggio alla maternità e «un modo per onorare le donne».

Così l’arte l’ha aiutata a far emergere una passione che non aveva ancora trovato modo di esprimere. Le sue sculture sono in mostra al Castello di Luzzana fino al 19 maggio in un’esposizione dedicata al femminile in tutte le sue declinazioni.

La vita è cambiata

Quando è stata male, Franca si è trovata sull’orlo del precipizio: «Pochi giorni dopo le dimissioni dalla colecistectomia – racconta – sono tornata al Pronto soccorso con dolori lancinanti. Stavo malissimo, avevo la sensazione che presto avrei potuto anche non esserci più. Ho perfino fatto testamento». È stata sottoposta a una seconda operazione per riparare una lacerazione del coledoco, le hanno salvato la vita, ma è rimasta in ospedale per due mesi, e poi ferma a casa per altri sei mesi per la convalescenza. C’è voluto un anno prima che potesse tornare a lavorare. I suoi problemi di salute non si sono conclusi: la cicatrice di quella ferita provoca periodicamente nuove crisi e infiammazioni ricorrenti. La vita di Franca è completamente cambiata: «Mi sono sentita più fragile, la mia resistenza fisica e psichica è diminuita». Prima dell’operazione assisteva ai parti in casa, come libera professionista ma non ha più potuto farlo: ci vuole una grande energia, e lei sentiva di non averne più.

La passione per la pittura

Franca aveva sempre avuto passione per il disegno e la pittura: «Mi sarebbe piaciuto frequentare il liceo artistico, ma i miei genitori non avevano le risorse economiche, mio padre era operaio e mia madre casalinga, eravamo a metà degli Sessanta». Ha studiato come infermiera professionale e ha iniziato a lavorare giovanissima. Durante la convalescenza, però, questa passione per l’arte è riemersa in una forma nuova: «Costretta all’inattività forzata, ho incominciato a creare sculture. Ho sempre tenuto le mani nel corpo delle donne, modellare la materia è stato un passaggio naturale. Molti miei lavori, soprattutto all’inizio, rappresentavano la maternità, in tutte le sue sfaccettature. È stato davvero un dono, ho tirato fuori un talento che avevo già intuito di avere in passato ma non avevo mai sperimentato». Franca negli anni aveva comunque continuato a coltivare la sua vena artistica, ha frequentato per un anno l’Accademia Carrara e si è iscritta al liceo artistico da adulta, ma nel frattempo ha avuto un figlio ed è stata assorbita da altre questioni in quel momento più importanti per la sua vita, così ha smesso. Ha continuato comunque a prendere parte a corsi serali.

La carriera

La sua carriera era iniziata come infermiera professionale, ma pochi anni dopo aveva scelto di diventare ostetrica. È riuscita a conseguire il diploma lavorando e studiando, e ha esercitato questa professione prima in ospedale e poi come libera professionista in associazioni e consultori. Da quando nella sua vita è entrata la malattia continua a occuparsi di corsi di formazione e a svolgere attività di affiancamento alle donne in gravidanza, subito dopo la nascita del bambino «e in generale in ogni importante fase di passaggio, dal primo menarca delle figlie alla menopausa».

Nel saggio «Donne che corrono coi lupi», molto caro a Franca, la psicologa americana Clarissa Pinkola Estès scrive che «La creatività è la capacità di reagire a tutto quanto accade attorno a noi, di scegliere fra centinaia di possibilità di pensiero, sentimento, azione e reazione e riunirle in una risposta, un’espressione o un messaggio unici, ricchi di passione e significato».

Il corpo come madre terra

È così per lei con le sue sculture in argilla: «L’arte è stata un nutrimento – osserva –. Mi ha aiutato a riempire le giornate vuote della malattia, quando rischiavo ormai di perdere la volontà di vivere. Sono sempre stata molto attiva, molto impegnata, mi pesava dover restare con le mani in mano. Quando sono riuscita a riemergere da questa esperienza ho creato dei cerchi di donne in cui si lavora sull’autovalore, e sul rapporto col femminile profondo, sulla consapevolezza e l’autorevolezza di essere donna». Si tratta di gruppi fatti per confrontarsi e sostenersi a vicenda. Sono tre, ognuno con una decina di donne, si ritrovano una volta al mese, e sono nati per passaparola, spesso dalla richiesta di donne che Franca ha assistito durante il parto. «Nel tempo quindi il mio ruolo è cambiato, quasi recuperando e modernizzando la figura antica della levatrice che, soprattutto nei piccoli paesi di provincia, era per le donne un punto di riferimento». Franca vive l’arte come una passione autentica, non un obbligo: «Resto a lungo senza modellare se non trovo la giusta ispirazione. Sono stata spesso accanto a donne che partorivano, all’inizio mi è sembrato naturale sceglierle come soggetto. In seguito mi è capitato di partire da racconti, libri, antichi miti. Ho letto le ricerche dell’archeologa lituana Marja Gimbutas: ha dedicato la vita a scavare trovando immagini e statuette, che rappresentavano il mondo delle nostre antiche antenate nel paleolitico e nel neolitico. Il corpo delle donne in quelle culture era rispettato e onorato perché paragonato alla Madre Terra». Le forme sono tutte rotonde, perché rappresentano l’abbondanza di qualità e talenti femminili da tutti i punti di vista.

«Ho fatto tante cose nella mia vita, ho perfino scalato cime di tremila metri – racconta Franca –, ma essere a mia volta madre è stata la sfida più impegnativa. Ho un solo figlio, Nicola, che adesso è un uomo». La sua ricerca sulla maternità l’ha portata in giro per il mondo in Ecuador, Nicaragua, Perù, Madagascar, Bolivia, Cuba, a conoscere culture e tradizioni diverse e lontane, «dove le donne mantengono uno spazio di creatività pur in condizioni tremende, hanno quattro o cinque bambini intorno e restano accoglienti, piene di cure e attenzioni, pur nella difficoltà».

La mostra a Luzzana

Un giorno, poi, ha trovato il libro di Pinkola Estès, che è diventato il motore di una nuova ricerca artistica: «Era un periodo di crisi per me e mi ha fatto capire che avevo delle risorse, mi ha dato nuova forza. È una raccolta di racconti rielaborati da fiabe classiche, e per ognuno ho realizzato una scultura».

Nell’esposizione ha costruito un percorso, partendo da alcuni antichi miti, raccontando la maternità e il parto, per arrivare poi a un tema molto delicato e attuale, quello della violenza sulle donne. Ha modellato due scarpe, una diversa dall’altra, entrambe rosse, ispirandosi al lavoro dell’artista messicana Elina Chauvet. Una delle due, una ballerina, rappresenta l’aspetto più infantile, gentile e ingenuo del femminile, l’altra, una scarpa col tacco, il lato più maturo. Particolarmente suggestiva un’altra scultura ispirata a «Scarpette rosse» (una delle narrazioni del libro di Pinkola Estès) in cui c’è una donna in gabbia, una denuncia di tutte le prigioni, reali e metaforiche, in cui ci si può rinchiudere nella vita. Un’altra ancora rappresenta la sua personale via d’uscita dalle situazioni di aggressività, per lanciare un messaggio positivo: «Si può costruire un dialogo armonioso e paritario tra l’elemento maschile e femminile, uniti in una relazione positiva, costruttiva, fondamento di una società di pace in cui non regnano la sopraffazione e la violenza. Considero i racconti, i miti e le storie come guide, impariamo tutti da esse fin da bambini». Nella mostra al Castello di Luzzana accanto a queste opere ci saranno anche alcune foto legate al lavoro realizzato su «Donne che corrono coi lupi».

Il modo per riemergere

Nella sua vita quotidiana Franca sperimenta profondamente la fragilità, le sue condizioni di salute non sono stabili: periodicamente - senza che sia possibile prevedere esattamente i tempi - si manifestano sintomi debilitanti, che annunciano il ritorno di infiammazioni acute e la costringono a nuove corse in ospedale, ricoveri, procedure fastidiose e invasive, senza poter individuare una soluzione definitiva per lei accettabile e sostenibile. Nonostante la sua vita sia accompagnata da un costante senso di precarietà, Franca ha trovato nell’arte speranza e rinascita. La malattia è stata un «intervallo» che ha spezzato i suoi ritmi di lavoro quotidiani, le ha offerto l’occasione di far affiorare la ricchezza e la profondità della ricerca personale che porta avanti da tutta la vita: «Nei mesi che ho trascorso in ospedale e poi durante la convalescenza ho messo in atto tutte le mie esperienze e conoscenze. Pian piano riprendevo contatto con me stessa. Certo, ho vissuto momenti di grande tristezza e prostrazione, ma non mi sono mai lasciata andare. Ero sul filo del rasoio, potevo cadere nella disperazione, e in quel momento ho capito che c’è sempre la possibilità di scegliere. Ho scavato a fondo in me stessa e ho trovato un modo per riemergere».

© RIPRODUZIONE RISERVATA