L’ultimo saluto della partigiana Piera
Addio alla «biondina» della Val Taleggio

San Giovanni Bianco: è morta a 96 anni la staffetta dell’86ª brigata Garibaldi. Torturata dai tedeschi, non cedette: «Aveva sempre energia da vendere». Martedì 18 febbraio i funerali.

Aveva capito che era arrivato il momento. Forte e lucida come sempre, aveva affrontato la situazione serenamente, salutando le persone care dal suo letto a Casa Santa Maria, a Laxolo di Val Brembilla. Aveva voluto i figli vicino a sé negli ultimi giorni, ma aveva anche salutato le amiche, ripetendo a tutti che stava per andarsene. E si è addormentata in un sonno che è diventato un per sempre nella notte tra sabato 15 e domenica 16 febbraio.

Piera Vitali, la «biondina della Val Taleggio», se n’è andata all’età di 96 anni. Donna dal carattere forte, dotata di grande determinazione e incredibile forza, un connubio di qualità che le permise di superare le vicissitudini della vita. Soprattutto durante il periodo della guerra quando lei, allora appena ventenne, divenne una partigiana. Nonostante le torture indicibili che dovette sopportare non rivelò mai nomi e piani dell’86ª brigata Garibaldi per la quale fungeva da «staffetta», a cavallo tra la Val Taleggio e la Valsassina. In questi ultimi anni Piera fortunatamente ha condiviso la sua preziosa testimonianza raccontando con una lucidità straordinaria quei momenti e una vita divenuta quasi leggendaria.

Era il 1944 quando partecipò alla cattura di un alto ufficiale della Gestapo, tale Dick. Pochi mesi dopo, l’episodio che le segnò la vita: Piera venne mandata a Primaluna, in Valsassina, dove era imminente un rastrellamento fascista. Avrebbe dovuto condurre in salvo la moglie di un comandante partigiano. Con sé aveva una lettera di presentazione per la persona che non la conosceva. Durante il cammino venne però fermata a un posto di blocco. Con sé non aveva però alcun documento perché il suo nome, ormai, era diventato noto ai fascisti. Portata in caserma, fece a pezzetti la lettera che aveva con sé e nascose i brandelli sotto una mattonella della cantina. Ma i militari la scoprirono e risalirono così alla sua identità. «Fu allora che iniziarono a torturarmi – ricordò una volta Piera –. Mi misero al muro e si divertivano a sparare il più vicino possibile al mio corpo. Ma io non parlavo, ero dura da vincere. Andarono avanti a schiaffi, insulti e minacce per minuti. Finché un militare, stanco, disse agli altri: “Lasciatela stare. Non vedete che è una belva? È inutile”». Poi venne caricata su un pullman diretto ai campi di concentramento tedeschi.

Ma Piera non si dette per vinta: ruppe un finestrino del bus, si gettò e riuscì a fuggire con altri partigiani. Camminò per giorni finché riuscì a tornare a casa salva: era il 30 dicembre del ’44, due mesi dopo la sua cattura. Finita la guerra, Piera venne riconosciuta dal governo come ex patriota combattente. «Lunedì 17 febbraio sarebbero stati tre anni che era ricoverata a Laxolo – spiega il figlio Gianni –. Le volevano tutti bene, a 96 anni aveva ancora energia da vendere, ma in questi giorni sentiva avvicinarsi sempre di più il suo momento, tanto che ha cominciato a salutare tutti quanti. Ha voluto vicino a sé i figli, mentre alle amiche ha detto che le salutava perché stava per andarsene. E poi ha dato disposizione di come salutarla». La salma è stata infatti composta nella chiesetta di San Rocco, vicino all’ospedale di San Giovanni Bianco, come da sua volontà. I funerali saranno celebrati martedì pomeriggio: alle 14,45 la partenza del corteo dalla chiesetta, quindi le esequie nella chiesa parrocchiale.

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