Orio si rianima, anche per la sicurezza
E sono già ricomparsi i passaporti falsi

Dopo il lockdown, i numeri di arresti e denunce si stanno riallineando a quelli dell’anno scorso. Tra luglio e agosto già 18 in manette (la media era 20 al mese). Utili gli «eGate» accanto all’esperienza degli operatori.

Che l’aeroporto di Orio si stia rianimando dopo il periodo del lockdown lo dicono il numero di passeggeri in costante aumento e il numero dei voli in partenza o in arrivo, anch’essi in continua crescita. Ma anche, sul versante della sicurezza, la ripresa delle denunce e degli arresti di passeggeri che si presentano ai varchi d’arrivo con un documento d’identità falso. E che non sfuggono all’esperienza dei poliziotti della cosiddetta «Polaria», la polizia di frontiera, in particolare quella degli ispettori che da anni studiano – e ne sono diventati esperti a livello internazionale – il cosiddetto falso documentale, riuscendo a intercettare passaporti tarocchi anche da particolari grafici o testuali del tutto insignificanti a un occhio inesperto.

In loro aiuto ora ci sono anche gli «eGate», i varchi elettronici per il controllo dei passaporti (ce ne sono 6 all’area degli arrivi e altrettanti alle partenze) e che possono già segnalare eventuali palesi anomalie. Ma nulla in confronto ad anni di esperienza sul campo. Anche il periodo post lockdown sta dando, sotto questo profilo della sicurezza di Orio, i suoi frutti: l’aeroporto ha riaperto – com’è noto – ai voli commerciali l’ultima settimana di giugno. E subito a luglio, con circa il 40% dei voli rispetto alla media precovid, c’è stato chi ha tentato – invano – di accedere al territorio nazionale presentando un passaporto falso. E i numeri sono inevitabilmente in aumento, parallelamente con la crescita dei voli in partenza e in arrivo.

Tra luglio e agosto sono state già 18 le persone tratte in arresto con l’accusa di falso documentale e immigrazione clandestina: la media degli ultimi anni era stata di circa 20 arresti al mese per questo motivo. A riprova della ripresa di questo genere di reato il fatto che nel mese di luglio gli arrestati erano stati 11, mentre gli altri 8 passeggeri sono finiti in manette nella prima settimana di agosto. Sempre a luglio si erano registrate 11 denunce a piede libero e altrettanti «respingimenti» alla frontiera per lo stesso motivo. E le persone fotosegnalate, ovvero fermate e identificate, sono state ben 50.

Ma l’area degli sbarchi è soltanto una delle tante zone che la polizia di frontiera – 130 uomini e donne in tutto – deve monitorare per garantire la sicurezza di passeggeri e personale aeroportuale. In una giornata tipo l’aeroporto sarebbe frequentato da qualcosa come 45 mila persone – di fatto una città – ma i numeri post lockdown sono ancora inferiori: si stimano comunque circa 15 mila persone. Durante l’apice dell’emergenza sanitaria lo scalo cittadino era stato chiuso al traffico commerciale, restando aperto soltanto per accogliere eventuali voli sanitari o cargo con strumentazioni sempre legate al periodo dell’emergenza.

Durante la chiusura la polizia di frontiera – che ha comunque registrato tra il proprio personale dei casi di coronavirus, anche se nessuno fortunatamente grave – ha comunque garantito la sicurezza della struttura aeroportuale, con controlli costanti. E, come anche parte del personal dell’esercito di stanza a Orio, ha supportato le forze dell’ordine territoriali nei controlli stradali organizzati per la verifica del rispetto delle norme contro la diffusione del contagio, in particolare durante il periodo in cui era completamente vietato uscire di casa.

Con la ripresa dei voli si è aggiunto un nuovo incarico per la polizia di frontiera: la verifica degli aspetti sanitari. In particolare per chi arriva dai Paesi extra Schengen e che deve rispettare 14 giorni di isolamento: i poliziotti devono registrare i nominativi e acquisire la relativa autocertificazione. Il provvedimento riguarda i passeggeri che arrivano, per esempio, da Marocco ed Egitto, ma anche da Romania, Bulgaria, Moldavia, Albania e Turchia. In caso dovessero venire fermati sul territorio nazionale e dunque pizzicati in violazione della quarantena, scatterebbe nei loro confronti una sanzione amministrativa (che diventa penale in caso di positività conclamata al virus). L’altro fronte riguarda la misurazione della temperatura, che viene effettuata dal personale Sacbo all’ingresso dello scalo (dove è possibile accedere soltanto se muniti di biglietto aereo) e nei vari varchi (check-in e sicurezza) in automatico. I casi di febbre oltre i 37,5 vengono presi in esame dalla polizia di frontiera, in accordo con il personale sanitario dello scalo. In realtà finora i casi sono stati soltanto tre e nessuno di loro per motivi collegati al coronavirus.

© RIPRODUZIONE RISERVATA