Pierino, il Covid e due ischemie
«Ma ora rivedo i miei monti»

La vita di Pierino , il cacciatore, sconvolta una giornata di marzo. Odissea tra gli ospedali ma, pur con una sola gamba, ora torna a sorridere alla vita.

È una storia di forza e di rinascita, di vita tutta da reimpostare, quella del signor Pietro Tomasoni, che tutti però dalle sue parti - a Dorga, ai piedi della Presolana - conoscono come Pierino. È il cacciatore per antonomasia: uno di quelli che se ne esce prima dell’ alba e fa ritorno a casa solo quando è ancora buio, con i suoi cani. Ed è stato così fino a novembre scorso, quando con la prima neve è giunto lo stop forzato per la caccia alla lepre. 65 le licenze sempre rinnovate da Pierino, perché lui - 82 anni alla metà di maggio - nei boschi con i segugi ci va da quando era poco più di un bambino.

All’ inizio di marzo però quella che era la normalità di vita, scandita fra qualche faccenda con la moglie Carolina, i giochi con i nipoti e i lavori in cascina, è stata stravolta. Il Covid ha fatto irruzione nella famiglia Tomasoni. Il primo ad ammalarsi è stato il cognato di Pierino, monsignor Tarcisio Ferrari, il parroco storico di Pignolo. Originario di Dorga, saliva almeno tre volte la settimana in casa di Pietro e Carolina, per un pranzo in famiglia. Il boomerang del contagio è arrivato svelto, proprio nei giorni del funerale a don Tarcisio, che anteponeva la semplicità ai titoli. Primi acciacchi a Pietro, ricovero d’ una notte al pronto soccorso di Lovere, da qui all’ ospedale di Alzano Lombardo.

Tutto secondo copione: supporto con l’ ossigeno e terapia specifica per polmonite da Covid.

E se questa malattia ci ha insegnato che nulla è come sembra, perché tutto può mutare con il battere d’ ali d’ una farfalla, ecco che proprio quando il Covid sembra andare in remissione arriva un’ ischemia alla gamba sinistra. Intanto anche Carolina sta poco bene e Mariagrazia - la più giovane dei quattro figli Tomasoni - si trasferisce nella casa di famiglia, per essere di supporto alla mamma e non rappresentare una minaccia per il marito e la figlia.

La storia di poi è fatta di un nuovo trasferimento ospedaliero per Pietro, alla Poliambulanza di Brescia, perché sono giorni in cui il reparto di chirurgia vascolare è stato individuato quale riferimento per le emergenze.

Subito operato, il coagulo che ostruiva l’ arteria viene rimosso e il peggio appare alle spalle. Ma non è così. Nuova ischemia. Trasferimento intra-ospedaliero in un altro reparto della Poliambulanza. A dirigerlo un primario che vive a Bergamo ed è incuriosito da quel cognome che sa delle sue parti. Nel letto Pietro guarda i sanitari, li interroga con gli occhi. Non sente dolore, perché le cure agiscono su questo. Ha persino la forza di raccontare delle sue montagne, delle tante salite, compresa quella ad un settemila equadoregno, in gioventù. Parla, Pierino - forse chiamato così per la sua corporatura esile - e ha pensieri per la famiglia, per i suoi cani. Nel giro di poche ore la situazione precipita e si inizia a ventilare l’ amputazione del piede. «Fate, se serve a ritornare a casa» dice il signor Tomasoni prima di entrare in sala operatoria, stupendo l’ intera equipe ospedaliera, perché tanta forza e determinazione non te l’ aspetti da un uomo che ha compiuto gli ottanta. Perché lui la sua famiglia la ama e vuole tornare da Carolina, che nel frattempo è migliorata. L’ operazione richiede l’ amputazione della gamba sinistra, su, fin sopra il ginocchio.

Fra il primario bergamasco - il dottor Stefano Boffelli - e il paziente di Castione è sintonia.

Chissà, forse anche per quell’ amico comune, il Monsignore, al secolo don Leone Lussana.

Pietro stoicamente affronta la nuova realtà e lentamente migliora. Il «dottore» tiene personalmente i contatti con la famiglia e quando c’ è da procedere per il trasferimento in struttura per la convalescenza, non si esita a fare il possibile presso l’ ufficio regionale. Perché Tomasoni, insomma, possa almeno avvicinarsi a casa, alle sue montagne.

E così oggi Pierino è rientrato nella sua valle, la Valle Seriana, nella struttura di Vertova, alla riabilitazione della fondazione cardinal Gusmini, diretta dalla dottoressa Melania Cappuccio.

La ferita migliora e già si pensa ad impostare la riabilitazione con la protesi. In gergo si dice «Il paziente è motivato». Ma più semplicemente: ha perso 20 chili, ha visto la morte in faccia, e si ritrova con una gamba sola, ma il signor Tomasoni di Dorga non ne vuole sapere di arrendersi. Vuole tornare alla sua vita, ai suoi affetti, alle sue montagne.

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