Poteri bilanciati
È la democrazia

«Infame schiavitù», così il presidente della Repubblica ha definito la prostituzione, richiamando il grande impegno civile che contrassegnò l’azione della senatrice Lina Merlin, fautrice della legge del 20 febbraio 1958 in virtù della quale furono chiuse le case di tolleranza. Si trattò di un passo di civiltà importante, sebbene lo sfruttamento sessuale della donne (che Mattarella bolla come «pratica criminale») sia continuato ad essere una piaga dolorosa nel mondo intero.

Il Capo dello Stato, proprio nel giorno dedicato alle donne e alla loro lotta per la parità di diritti, esprime indirettamente il suo profondo dissenso rispetto a opinioni aberranti, come quella del leader della Lega e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, a giudizio del quale sarebbe meglio riaprire le case di tolleranza. Quello di Mattarella è, ancora una volta, un monito nei confronti di chi si lascia andare a esternazioni pericolose, dettate unicamente dall’intento di creare facile consenso in settori determinati dell’opinione pubblica. Le dichiarazioni, spesso improvvide, fatte da esponenti delle forze politiche di governo rendono indispensabile il paziente lavoro di «ricucitura» istituzionale del presidente della Repubblica, il quale - peraltro - si mantiene rigorosamente nell’ambito delle sue prerogative istituzionali.

Lo sbilanciamento effettivo è dato dalla mortificazione del Parlamento, praticamente esautorato dalle sue funzioni costituzionali e ridotto a luogo di pura ratifica dei decreti e dei disegni di legge del governo.

L’esecutivo – divenuto protagonista assoluto dell’azione legislativa – si regge, peraltro, su un criterio del tutto inedito nelle democrazie: il «contratto di governo», un patto «privato» stipulato la scorsa primavera per condurre in porto le trattative per la nascita del governo. Questa pesante anomalia mostra ogni giorno di più i suoi effetti nefasti, ponendosi come al disopra delle regole istituzionali e, soprattutto, degli interessi generali. Come in ogni contratto i due contraenti (M5s e Lega) badano soltanto a salvaguardare i rispettivi interessi. Elettorali e di ricerca del consenso. Va detto che governi lacerati e rissosi politicamente non sono una novità nel nostro Paese. Basta riandare ai tempi nei quali, per placare le acque, venivano formati governi «balneari» (dei quali si distinse Giovanni Leone) che avevano lo scopo di superare lo stallo tra i partiti. Analogamente, il periodo craxiano fu caratterizzato da un equilibrio fortemente instabile. In entrambi i casi, la direzione di marcia veniva garantita dalla presenza di un solido e accreditato presidente del Consiglio. Circostanza che non sembra vedersi attualmente. L’azione di governo si è praticamente ridotta a un costante, e logorante, gioco di scambio tra i due partner governativi. Gioco che tende sempre al ribasso, dovendo entrambi i «contraenti» cedere su qualche aspetto. E, quindi, reddito di cittadinanza in cambio della quota 100, e via pedalando. Non a caso, il corto circuito più grave si sta verificando sulla questione della Tav, poiché su di essa non c’è possibilità di scambio. O vince la Lega o prevalgono i 5 Stelle. Nel frattempo – poiché nessuno dei due vuole alzare bandiera bianca, né ha la forza per imporre la soluzione preferita – il presidente del Consiglio non può far altro che gettare il pallone in tribuna d’onore (cioè quell’Unione europea, tanto vituperata).

La situazione politico-sociale diventa sempre più preoccupante. Ma «coraggio il meglio è passato», avrebbe detto con amara ironia Ennio Flaiano. In questo quadro non troppo piacevole. Il presidente Mattarella si muove con molta fermezza e, insieme, con sapiente misura, per evitare ulteriori smottamenti istituzionali. Occorre però che si levino altre voci, dentro e fuori i «palazzi», per ricordare che le democrazie si reggono sul bilanciamento dei poteri e non sugli uomini «soli al comando».

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