Preoccupa l’abbandono scolastico
In Bergamasca molla uno su quattro

Secondo il dossier di Tuttoscuola la dispersione nella nostra provincia si attesta al 26,87%, dato più alto delle medie nazionale e regionale. Graziani: «Il tema c’è, ma i dati non tengono conto dei percorsi professionali».

Più di uno studente su quattro, anche a Bergamo, non completa il proprio percorso di studi. Secondo i numeri della rivista specializzata Tuttoscuola, che per l’inizio dell’anno scolastico ha lavorato a un dossier specifico, è sempre la dispersione scolastica uno dei problemi maggiori della scuola italiana. A Bergamo la percentuale relativa alla dispersione nel quinquennio che va dal 2013/14 al 2017/18 si attesta al 26.87%, un dato più alto sia della media regionale (pari a 25.83%) e a quella nazionale (24.74%). Un problema su cui è massima l’attenzione anche dell’Ufficio scolastico territoriale di Bergamo.

«È molto difficile – spiega la dirigente dell’Ufficio, Patrizia Graziani – avere uno sguardo oggettivo rispetto a questo tema, perché non esistono dati che analizzano la questione in tutti i suoi aspetti. Oltre ai numeri relativi alle scuole statali devono necessariamente essere presi in considerazione anche quelli delle paritarie e soprattutto quelli delle istituzioni formative». Nel monitoraggio del Miur (quello su cui ha lavorato la rivista per il suo studio) mancherebbero infatti i dati relativi agli istituti di formazione professionale, che non sono di competenza statale. «E che in provincia di Bergamo – continua Graziani –, esattamente come in quella di Brescia, costituiscono una fetta importante dell’offerta formativa. Tanto che il dato di dispersione scolastica negli istituti statali bergamaschi dovrebbe essere più basso, e arrivare circa al 16%. Un altro aspetto da considerare è che il tessuto produttivo della nostra provincia richiama più facilmente (rispetto ad altre realtà territoriali) i giovani al lavoro e la possibilità di occupazione può essere un’attrattiva verso questo mondo». Il fenomeno della dispersione scolastica riguarda i ragazzi di una fascia d’età compresa tra i 16 e i 18 anni. «Fino ai 16 infatti – aggiunge Graziani – siamo nell’ambito dell’obbligo scolastico, monitorato dalle scuole; da quell’età fino ai 18 invece si apre la fascia del cosiddetto obbligo formativo». Il fenomeno ha un’origine precisa: la non adeguata scelta del percorso di studi al termine della scuola secondaria di primo grado.

«Il motivo della dispersione – spiega – è spesso legato a insuccessi scolastici, che a volte nascono da una scelta non adeguata del percorso di studi da intraprendere. L’orientamento dovrebbe essere davvero formativo e non dovrebbe solo presentare scuola e possibilità di formazione, ma anche i dati relativi all’occupabilità». Un altro problema è quello dell’eccessiva rigidità del sistema scolastico. «Perché una volta che ci si rende conto di non aver intrapreso il percorso migliore per le proprie caratteristiche – dice – non si può far nulla, a parte cambiare percorso ma ripetendo l’anno. La scuola italiana infatti oggi vieta le “passerelle”, la possibilità di passare da un percorso di istruzione a un altro. Per questo, oggi, l’orientamento è così importante, e per questo investiamo molto su questo tema. Nell’ultimo piano sull’orientamento abbiamo previsto azioni mirate per gli studenti. Credo fermamente che questo processo debba essere fatto anche sulla base di esperienze concrete come la conoscenza diretta di piccole e medie imprese, per esempio. È importante che si possa riflettere con il tessuto sociale e produttivo, anche per loro questo è un tema di grande importanza». Il successo nel percorso, qualsiasi esso sia, dipende esclusivamente dalla convinzione con cui questo viene affrontato. Non è corretto dire, quindi, che alcuni percorsi, come quello professionale, siano maggiormente a rischio dispersione di altri. «Sono convinta che l’istruzione professionale – conclude Graziani – possa dare una mano concreta e importante allo sviluppo del paese. Può essere vero che, spesso, nel corso delle procedure di orientamento i ragazzi più fragili o demotivati finiscano in questa tipologia di scuola, ma si tratta di una procedura che deve essere assolutamente scardinata e rivisitata. L’istruzione professionale è importante e si tratta di un percorso che dà una formazione solida in grado di fornire competenze che permettono il diretto ingresso nel mondo del lavoro. Sta a noi cercare di valorizzare questo percorso».

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