«4 novembre torni festa». Cosa ne pensi?
Gli alpini scrivono al Presidente Mattarella

Il 15 ottobre scorso Sebastiano Favero, presidente dell’Associazione nazionale alpini, ha scritto una lettera a Sergio Mattarella per chiedere il ripristino della festività del 4 novembre, che, negli anni ’70, «un improvvido provvedimento legislativo relegò a celebrazione di second’ordine, aggregandolo alla prima domenica di novembre». Cosa ne pensi?

«Illustrissimo sig. Presidente, il 4 novembre 1918, con la firma dell’armistizio a Villa Giusti, si è concluso uno degli eventi più tragici della storia d’Italia, che da un lato ha portato alla completa riunificazione del territorio italiano, dall’altro è costato la vita a centinaia di migliaia di giovani immolatisi sui fronti della Grande guerra».

Il 15 ottobre scorso Sebastiano Favero, presidente dell’Associazione nazionale alpini, ha scritto una lettera a Sergio Mattarella per chiedere il ripristino della festività del 4 novembre, che, negli anni ’70, «un improvvido provvedimento legislativo relegò a celebrazione di second’ordine, aggregandolo alla prima domenica di novembre».

Presidente Favero, perché questa lettera?

«Perché riteniamo che, in occasione del centenario della fine della Prima guerra mondiale sia doveroso ricordare, soprattutto alle giovani generazioni, ciò che stato. Per questo è quanto mai opportuno che il 4 novembre torni a essere festa nazionale. Non è semplicemente per ricordare una vittoria: è ricordare con forza il ruolo che le Forze Armate hanno avuto e continuano ad avere all’interno del Paese. D’altro lato, anche che quella vittoria fu l’ultimo atto del processo di unificazione della Patria. Due punti fondamentali, specie per una realtà come la nostra, nella quale la perdita di identità, in particolare presso i giovani, sembra sempre più prendere piede».

Perché, secondo lei?

«Le famiglie non portano più testimonianze e tradizioni, che in passato erano ben presenti, anche in termini di vita vissuta, perché tanti reduci erano ancora vivi. La scuola, poi, con poche eccezioni, se ne sta dimenticando».

Pensa a una perdita di memoria storica o a una perdita di senso di identità nazionale, di spirito di Patria?

«Tutt’e due le cose. Voglio ricordare che l’ultimo che ha richiamato con forza il senso di unità e identità nazionale è stato il presidente Ciampi».

Le ha risposto Mattarella? Ha avuto qualche contatto con lui? Ha certezza di una sua reazione?

«Cosa pensi il Presidente non lo so, in questo momento».

Il tema dell’identità nazionale è molto sotto pressione, schiacciato fra entità sovranazionali e immigrazione.

«Dico da anni che, per poterci rapportare con gli altri, anche in Europa, bisogna sapere chi siamo. Se si ha un’identità forte si è in grado di dialogare e confrontarsi con gli altri. Se non si ha identità non ci si confronta con nessuno, si rimane chiusi in se stessi».

A parte la memoria del completamento dell’unità nazionale, che forza simbolica può avere il 4 novembre?

«Mi ricordo la forza che aveva per me quando ero ragazzino, ed erano ancora vivi quelli che quella guerra avevano combattuto, richiamando potentemente questo elemento di unità. Oggi si va a cercarlo in altre simbologie, che non sono quelle vere. Abbiamo il 2 giugno, Festa della Repubblica: ma fu una trasformazione, non una cifra identitaria. Abbiamo il 25 aprile, Festa della Liberazione: con il massimo rispetto per la ricorrenza, non parliamo di identità, parliamo di un momento di divisione. Bisogna avere il coraggio di definirla per quello che è stata: risultato di una guerra civile, non certo segno di unità nazionale».

Bergamo è legatissima al «mito» degli alpini: il loro ruolo, in questo sforzo di ricompattazione dell’identità nazionale?

«È una battaglia che stiamo combattendo anche con il nostro assiduo richiamo a un servizio, militare o civile, obbligatorio per tutti. Tutti si devono sentire impegnati a dare qualcosa, a impegnare parte del proprio tempo per gli altri».

Con che spirito il 5 marzo 1977 la festa dell’Unità d’Italia e delle Forze armate è stata degradata e traslata/accorpata alla prima domenica di novembre? Clima «produttivista», austerity, antimilitarismo strisciante?

«Si è fatto di ogni erba un fascio, eliminando, insieme, festività diversissime. Un tentativo maldestro. Non è riducendo i giorni di riposo che si aumenta la produttività. Ne abbiamo avuta la dimostrazione nel corso degli anni».

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