«Rischioso riaprire le scuole»
Battiston: effetti da monitorare

L’intervista al fisico, cauto sulla decisione del governo: «Si è scelto di utilizzare così il piccolo “margine di manovra” che si accumulerà dopo Pasqua. Ma si dovrà essere pronti ad intervenire subito se i contagi torneranno a crescere».

La riapertura delle scuole? Una «scelta rischiosa, che andrebbe riconsiderata immediatamente, se i numeri del contagio tornassero a salire». Roberto Battiston, fisico delle particelle e docente all’Università di Trento, è cauto sulla decisione del governo di riaprire le classi di materne, elementari e prima media subito dopo Pasqua. «Nei prossimi 10 giorni l’Rt potrebbe scendere sotto 1 – dice –. Il sistema a quel punto potrebbe anche reggere, ma la situazione andrà monitorata e, se necessario, bisognerà intervenire subito, anche a livello locale».

Professor Battiston, il governo ha preso un rischio troppo grosso?
«Credo che sia stata fatta una valutazione di rischi-benefici che ha poi portato alla decisione di investire nella riapertura delle scuole quel margine di manovra che avremo accumulato dopo Pasqua (e che oggi ancora non abbiamo). Si deve essere pronti, però, a ripensarla qualora ci fosse l’indicazione che il sistema non riesce a controllare la crescita dell’infezione».

È possibile aspettarsi un rialzo dei contagi?
«La crescita degli infetti attivi si è stabilizzata attorno a un massimo di 567 mila. È ancora un numero elevato, ma forse nei giorni prossimi assisteremo a una decrescita, grazie anche alla stretta di Pasqua. Da qui alla riapertura delle scuole abbiamo 10 giorni, che potrebbero assicurarci un margine di sicurezza. Solo allora potremo ragionare su quali potranno essere gli effetti di una nuova crescita legata alla ripresa delle lezioni in presenza».

Come sarà possibile farlo?
«È un meccanismo complesso da analizzare, perché con la riapertura delle scuole entrano in gioco tanti fattori: più le persone coinvolte sono giovani, più è difficile tracciare le infezioni in modo efficace, perché non è facile trovare i sintomi nei bambini. D’altra parte, sappiamo che la variante inglese ha un’incidenza maggiore proprio sui più piccoli. Con le scuole i bambini entrano in contatto tra loro, poi tornano a casa e si mescolano con gli adulti. E le opportunità di contagio aumentano».

Quindi?
«Quando si riaprono le scuole, si fa un esperimento. Bisognerà vedere cosa succederà. È possibile anche che diverse regioni abbiano una diversa capacità di controllare il rientro in classe, perché ciò dipende dalla qualità dei trasporti e dal controllo dell’infezione, che spero sia fatta con una sistematicità più alta che nel passato. Ricordiamoci però che dopo la ripresa del 7 gennaio, la situazione è rimasta sotto controllo con l’Rt tra 0,9 e 0,95 per un mese e mezzo. Ciò vuol dire che nonostante l’apertura delle fasce scolastiche primarie, il sistema ha retto».

Poi qualcosa è cambiato. Perché?
«In pochi giorni la variante inglese è passata da una presenza intorno al 20-30%, al 60-80%. Per riportare l’epidemia sotto controllo, è stato attivato un sistema che vede molte regioni in zona rossa: dopo 10 giorni l’Rt ha iniziato a decrescere. Vedremo se davvero fra 10-15 giorni saremo tornati a 0,9».

Riaprire con un Rt di poco sotto a 1 e con mezzo milione di positivi non è rischioso?
«Certo. Per battere la pandemia servono i vaccini. Già ora i vaccinati e coloro che hanno contratto la malattia stanno contribuendo all’abbassamento dell’Rt, ed è un contributo importante al contenimento dell’epidemia. Se queste persone, forse il 20% popolazione, non ci fossero, saremmo in una condizione peggiore. A un ritmo di 400 mila vaccinazioni al giorno, in poche settimane potremmo ridurre l’Rt del 20%. Farlo solo con le chiusure non ci porta lontano».

Si doveva chiudere di più prima?
«Agli inizi di dicembre sarebbe servito continuare altri 2 mesi e a questo punto avremmo numeri molto più bassi. Ora, se non riaprissimo le scuole primarie staremmo forse un po’ meglio, ma non siamo più nella condizione di guadagnare così tanto sulla riduzione dell’Rt, proprio perché abbiamo un serbatoio d’infetti molto alto e il virus è più aggressivo».

Il governo ha cancellato le zone gialle fino a maggio. Scelta obbligata?
«La riapertura di Natale ha mandato all’aria ciò che di buono era stato fatto nei mesi precedenti. Il problema che si pone ora è lo stesso: dopo Pasqua avremo un piccolo margine di manovra e il governo ha fatto la scelta di utilizzarlo per le scuole. Intanto si dovrà vaccinare con la massima velocità, ma allo stesso tempo essere pronti ad intervenire nel momento in cui le cose dovessero peggiorare. Non un mese dopo però, ma la settimana stessa, nelle province o nelle città che mostrano criticità. E dovremo anche essere fortunati che non arrivino varianti più aggressive».

Quando potremmo aspettarci una discesa di ricoveri e decessi?
«Da qualche giorno siamo al plateau degli infetti attivi. Ma 20-25 mila nuovi contagi al giorno sono ancora troppi. È questo numero che alimenta il flusso dei morti, che sono ancora tantissimi. Dobbiamo iniziare la discesa del numero di infetti attivi, e nei prossimi giorni questo dovrebbe accadere. Ma per farlo in maniera decisa, con così tanti infetti attivi in circolo, servirà almeno un mese e nel frattempo il sistema ospedaliero continuerà ad alimentarsi. Finché non si ridurrà in maniera drastica il numero di nuovi infetti al giorno, i morti non potranno che continuare. Purtroppo gli ingressi in terapia intensiva, in proporzione ai contagi, stanno ancora aumentando, e ciò vuol dire che avremo un alto numero di morti anche nelle prossime settimane».

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