Sono migliaia i lavoratori in malattia
in attesa del tampone per rientrare

Nel manifatturiero assenze raddoppiate: sono il 6%. Con sintomi o contatti va accertata la negatività. Marinoni: numeri che salgono ogni settimana. Piccinali: problema rilevante, ma avanti con massima prudenza.

La norma è chiara, messa nero su bianco in una circolare di Regione Lombardia, direzione generale Welfare, diffusa lo scorso 15 aprile: i lavoratori a casa in malattia con sintomatologia simil-Covid, ma non sottoposti a tampone per accertare la positività, così come i lavoratori che hanno avuto contatti con casi accertati o sospetti e messi quindi in isolamento fiduciario devono essere sottoposti a un tampone per accertare la negatività al coronavirus prima di poter rientrare al lavoro.

«Conclusa la sorveglianza con sintomatologia assente continuativamente da almeno 14 giorni – specifica infatti il documento della Regione -, il medico di medicina generale richiede all’Ats l’esecuzione di un tampone nasofaringeo per la ricerca di Sars-CoV-2; con risultato negativo si conclude l’isolamento fiduciario con ripresa dell’attività lavorativa». La questione, però, è scontata: quando arriva il tampone per questi lavoratori?

«C’è un numero importante di lavoratori che aspetta il tampone, una platea che cresce di settimana in settimana – rileva Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo -. Purtroppo, però, il numero dei tamponi eseguito è quello noto, al netto dell’incremento che è atteso per le prossime settimane (con il nuovo macchinario donato all’Asst Bergamo Est, ndr). I medici di base hanno inserito questi lavoratori in un apposito form, per poter essere sottoposti al tampone. Molti sono stati segnalati ormai da tempo, ma la situazione sembra vivere una sorta di stallo. E non è un tema secondario, perché nei luoghi di lavoro deve essere garantita la piena sicurezza».

Che non sia una situazione numericamente da poco, lo indicano alcune stime. Nel manifatturiero, spina dorsale della produttività bergamasca, le assenze per malattia riguardano oggi almeno il 6% della forza lavoro, con una possibilità che si giunga anche all’8%, il doppio della media tradizionale del comparto; tradotto, si tratta di alcune migliaia di lavoratori per un settore che in terra orobica conta circa 140 mila addetti. Sul tema si interrogano anche le aziende: «Mettendo insieme i dati delle singole aziende, la questione diventa rilevante, anche numericamente rispetto ai dati sulle assenze – premette Agostino Piccinali, vicepresidente di Confindustria Bergamo con delega a Lavoro e Relazioni industriali, nonché chief financial officer e consigliere di Scame Parre -. Il problema è la non chiarezza: mancano disposizioni univoche sul rientro al lavoro, in molti casi manca proprio la possibilità di fare il test. Il dialogo con le autorità sanitarie, a partire da Ats, è costante».

Nell’incertezza, vince ovviamente la prudenza: «Il protocollo provinciale, spesso poi arricchito nelle singole aziende, è improntato per la prudenza e le massime precauzioni. In caso di sintomi, anche minimi, il lavoratore resta a casa – sottolinea Piccinali -. Si parla moltissimo, anche tra gli imprenditori, di test sierologici e tamponi. Va fatta però una puntualizzazione: non vorremmo che l’esito negativo di un tampone o l’indicazione dello sviluppo di anticorpi individuati dal test sierologico inducano le persone ad abbassare la guardia, a ritenersi immuni. Come associazione ci stiamo muovendo in maniera molto forte, con la raccomandazione costante delle buone pratiche sul posto di lavoro: mantenimento delle distanze, utilizzo dei dispositivi di precauzione. Responsabilità individuale e buon senso non possono essere ridotti, neanche di fronte a tamponi e test sierologici».

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