Stare nella differenza senza eliminarla
L’autismo dentro l’armonia di un coro

Matteo, 29 anni di Bergamo, ha costruito un percorso di autonomia con la famiglia e stando in mezzo alla gente.

«Il segreto del canto - scrive Kahlil Gibran - risiede tra la vibrazione della voce di chi canta e il battito del cuore di chi ascolta»: nasce una sintonia immediata che diventa ancora più intensa quando si esibisce un coro, in cui ritmi e tonalità diverse si fondono in un insieme armonico. Nel caso dell’ensemble dell’associazione «Voce e Persona» di Bergamo c’è un valore aggiunto: ogni esibizione è una sfida, che mostra come le diverse qualità (ci sono componenti normodotati e con disabilità) possano integrarsi perfettamente, valorizzando i talenti che ognuno ha da offrire, e assegnando un ruolo di primo piano anche a persone come Matteo, 29 anni, che con il suo sorriso riesce a mandare in frantumi tutti gli stereotipi sull’autismo.

La «normalità arricchita»

Presidente del coro è la mamma di Matteo, Nicoletta, che ha fondato l’associazione con il marito Antonio e con alcuni amici. L’impegno di creare una «normalità arricchita», in cui ognuno può trovare il proprio posto, per loro è da sempre una priorità. Sono riusciti a concretizzarlo con risultati eccellenti grazie al percorso di Matteo, che oggi - oltre a cantare nel coro - lavora part time in un panificio del centro città, gioca a pallavolo, segue corsi e gare di nuoto con Phb Polisportiva Bergamasca Onlus, affianca l’allenatore dei pulcini della squadra di calcio del Seminarino in Città Alta, viaggia attraverso la città da solo, usando i mezzi pubblici, e gestisce perfino uno stand di giocattoli nei mercatini di antiquariato, una grande passione del papà.

Il sostegno del Conventino

«Al momento della nascita di Matteo - racconta Antonio - nessuno ha notato anomalie: era un bimbo bello e sanissimo. Quando ha iniziato la scuola materna, però, ci siamo accorti che faticava a entrare in relazione con gli altri bambini, tendeva a isolarsi e non parlava. Anche suo fratello Stefano ha imparato a parlare tardi, pur non avendo particolari problemi. Ora ha 33 anni e lavora in un grande albergo della catena Hilton a Mogliano Veneto. Inizialmente non ci eravamo particolarmente allarmati, a un certo punto però ci siamo resi conto che c’era qualcosa di strano, ma non capivamo di cosa potesse trattarsi. Allora non si parlava molto di autismo, eravamo nel ’94. Non abbiamo trovato subito un medico che fosse in grado di offrirci una diagnosi, c’è voluto qualche anno. Nel frattempo la situazione non migliorava, nostro figlio non pronunciava alcuna parola e noi eravamo sempre più preoccupati. In quei momenti ci è capitato di pensare che ci volesse un miracolo per restituirgli una vita normale. La fede ci ha sempre dato molto sostegno». Grazie all’intuizione di una nipote, Simona, molto legata a Matteo e più grande di lui, che durante gli studi universitari si era trovata a seguire un ragazzo con autismo, la famiglia è entrata in contatto con Alberto Cavazza, psicoterapeuta che esercitava al Conventino: «Lì abbiamo trovato un ambiente accogliente e professionisti molto preparati. Senza di loro Matteo non sarebbe riuscito a compiere così tanti progressi e a sviluppare nel tempo le sue capacità».

Percorso lungo e impegnativo

Dopo una valutazione accurata, il dottor Cavazza aveva spiegato ai genitori la situazione: «Così per la prima volta ci è stato detto che aveva un disturbo dello spettro autistico: Matteo aveva 5 anni, e ci hanno detto che non avrebbe mai potuto essere completamente autonomo. Per noi, che sognavamo il meglio per i nostri figli, è stato un colpo durissimo. Con un’enorme sofferenza abbiamo dovuto accettare che l’autismo non è una malattia e non si può guarire: l’obiettivo delle terapie è raggiungere il massimo grado di autosufficienza».

Antonio e Nicoletta si sono rivolti alla Neuropsichiatria infantile dell’ospedale di Bergamo, ma nel frattempo hanno proseguito anche laboratori, attività, terapie e incontri organizzati al Conventino, sia per i genitori sia per i ragazzi: «È iniziato così un percorso molto lungo e impegnativo, che è ricaduto in gran parte sulle nostre spalle. L’impegno delle famiglie è prezioso, essenziale per i ragazzi come Matteo». Ogni conquista è stata il risultato di un lungo addestramento, costellato di cadute, fallimenti e nuovi tentativi, senza mai arrendersi. «Matteo - ricorda Antonio - quando era piccolo faticava a controllare i movimenti, le emozioni, gli scatti di rabbia. Col tempo, però, le terapie gli hanno permesso di apprendere strategie efficaci di contenimento. È riuscito così a instaurare rapporti positivi e affettuosi con le persone, anche al di fuori della sua famiglia».

Il fratello, una guida

«La saggezza - scrive lo psicologo americano Gregory Bateson - è saper stare con la differenza senza volerla eliminare». Questo è stato uno dei principi più importanti che ha diretto l’azione della famiglia negli anni di formazione di Matteo: «Per noi era molto importante che imparasse a stare in mezzo alla gente, non solo con altri ragazzi con disabilità, ma con tutti». La scuola è stata un fondamentale punto di snodo: «Nostro figlio è sempre stato accolto con un atteggiamento di apertura e di disponibilità - sottolinea Antonio -. È stato fortunato, ha incontrato ragazzi e docenti molto in gamba. Uno di loro lo sta ancora seguendo per aiutarlo a mantenere allenate le competenze scolastiche, e in particolare lettura e scrittura. Capita che i ragazzi autistici vengano emarginati nelle classi, a Matteo questo non è successo: durante i lavori di gruppo e le uscite c’era sempre qualcuno che gli restava accanto per sostenerlo e accompagnarlo». Anche l’oratorio è stato un punto di riferimento essenziale: «Ha iniziato a frequentare l’oratorio dell’Immacolata intorno ai nove anni, in seguito quello delle Grazie e infine quello del Seminarino in Città Alta. Con lui c’era sempre il fratello Stefano, che per lui è stato una guida, un appoggio costante, lo ha sempre affiancato e aiutato. In questi ambienti ha avuto esperienze positive e ha stretto nuove amicizie». Nel frattempo Antonio e Nicoletta hanno lavorato duramente per potenziare la sua autonomia: «Ci siamo concentrati sugli elementi che potevano essergli davvero utili, come allacciarsi le scarpe, distinguere i colori del semaforo e acquisire regole precise di comportamento per attraversare la strada in modo sicuro. L’abbiamo incoraggiato ad andare a scuola da solo, anche se stavamo in ansia e lo seguivamo lungo tutto il percorso dalla finestra».

Quando è arrivato il momento di scegliere la scuola superiore hanno scelto il percorso in modo che fosse davvero adatto a lui e potesse essergli utile: «Come genitori - sottolinea Antonio - abbiamo cercato di compiere scelte adeguate alle attitudini di Matteo, iscrivendolo a un corso di formazione professionale in ambito alberghiero, con un’attenzione particolare a ragazzi con disabilità e oggi ne siamo contenti. Anche questo ha contribuito a renderlo più indipendente e sicuro di sé. Per noi la sua presenza è un dono prezioso. C’è in lui una speciale purezza: vede solo il bene nelle persone. È sempre sorridente e incapace di serbare rancore».

Secondo Marcel Proust «il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel possedere altri occhi, vedere l’universo attraverso gli occhi di un altro, di centinaia d’altri».

L’importanza dello sport

Attraverso gli occhi di Matteo anche Antonio ha scoperto una prospettiva diversa sulle realtà: «Qualche volta abbiamo sfidato insieme l’impossibile - spiega -, come quando Matteo ha iniziato a giocare a pallavolo e con l’allenamento ha imparato a schiacciare. Ci è voluto tanto tempo, ma ci è riuscito bene, e nessuno all’inizio ci avrebbe scommesso: raggiungere questo livello di coordinazione e di ritmo sembrava un obiettivo fuori dalla sua portata». Ha iniziato questo sport con il padre, ora continua da solo: i compagni di squadra passano a prenderlo a casa e dopo l’allenamento vanno insieme a mangiare la pizza, poi lo riaccompagnano: «Ormai è parte integrante del gruppo». Antonio e Nicoletta hanno fondato e portato avanti per molti anni anche l’associazione Agape (Associazione genitori autismo e psicosi effata), proprio per sostenere l’azione delle famiglie: «È molto importante creare rete e darsi una mano a vicenda. Noi abbiamo incontrato persone che ci sono state molto vicine e che continuiamo a frequentare anche oggi».

Il lavoro nel panificio

Matteo lavora in un panificio per tre mattine alla settimana: «Partecipa alla produzione di pane, dolci e focacce, e gli dà molta soddisfazione. Sta volentieri in mezzo alla gente, senza alcun problema». Da qualche anno ha iniziato anche l’attività di assistente allenatore con i pulcini del calcio all’oratorio del Seminarino: «È un impegno molto importante per lui, lo segue con costanza e grande senso di responsabilità». Anche quella dei mercatini d’antiquariato è una bella avventura: «Per me - dice Antonio - è una passione. All’inizio Matteo mi aiutava con il mio banchetto, specializzato in vecchi giocattoli, poi ho pensato di offrirgli la possibilità di averne uno tutto suo. Questa esperienza gli è piaciuta moltissimo: la gente ha imparato a conoscerlo, lo tratta con affetto». Un’amica di famiglia, Maria Zaccone, qualche anno fa ha scritto un libro sulla sua storia, «Matteo sa volare»: «Questo ci ha permesso di metterci alla prova in modo nuovo, anche portando una testimonianza in alcune scuole superiori; una sfida e allo stesso tempo una grande soddisfazione». Grazie all’attività del coro di «Voce e persona», Matteo ha acquisito un’ottima familiarità con ritmo e musica, e salire sul palco per lui e Nicoletta è anche un modo per lanciare un messaggio: «Sarebbe bello che le persone con disabilità godessero di maggiore considerazione, che questa condizione diventasse un amore condiviso, intorno al quale far nascere nuove forme di sostegno e di convivenza, per non lasciare che le famiglie si trovino sole quando è ora di pensare al futuro».

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