Terziario, crolla la fiducia
A rischio 49 mila lavoratori

Indagine Ascom, previsioni drammatiche: in fumo 2,2 miliardi di valore aggiunto. Si teme di perdere tra 8 e 15 mila attività. Un imprenditore su tre in situazione prefallimentare.

«Bergamo è stata l’epicentro della pandemia, ma rischia di essere anche quello della crisi economica». Il presidente Giovanni Zambonelli va dritto al punto nel presentare i risultati dell’indagine di Ascom Confcommercio-Format Research sull’impatto del coronavirus nella Bergamasca.

Sono drammatici i dati raccolti dall’Osservatorio congiunturale della provincia attraverso un campione rappresentativo di imprese del commercio, del turismo e dei servizi con 711 interviste andate a buon fine. Il terziario orobico rischia di perdere 2,2 miliardi di euro, cioè l’11% del valore aggiunto, che scenderebbe dai 19,6 miliardi di euro del 2019 a 17,4 miliardi. All’orizzonte c’è anche un crollo verticale dell’occupazione, con 49 mila posti di lavoro a rischio (-27%), e lo sfilacciamento del tessuto imprenditoriale, con un calo di nuove imprese iscritte e la prospettiva di perdere fra le 8 e le 15 mila aziende nel 2020.

Sopra la media nazionale

«Tutti dati nettamente superiori alla media nazionale - sottolinea Zambonelli -. I dati si riferiscono al 30 aprile scorso, ma anche il mese di maggio non si discosta dallo stesso andamento. E il turismo soffrirà ancora più a lungo: se gli alberghi di lago e montagna hanno qualche speranza in più, quelli di città e hinterland dovranno aspettare settembre per la ripartenza. L’imprenditoria bergamasca deve reagire, ma servono anche sostegno da parte delle istituzioni e velocità da parte delle banche».

Il lockdown

Dopo Brescia e Mantova, Bergamo è stata la terza provincia della Lombardia per numero di imprese del terziario costrette alla chiusura: sono rimaste ferme oltre 22 mila aziende, il 47%, con oltre 65 mila lavoratori inattivi. A inizio pandemia il 73% delle imprese ha fatto ricorso all’anticipo di ferie e permessi, il 30% ha usato i congedi parentali, ma con il perdurare dell’emergenza il 63% delle aziende ha chiesto o chiederà la cassa integrazione o altri ammortizzatori sociali e il 70% ha ridotto o ridurrà il personale. «Ma per un imprenditore ridurre la forza lavoro significa anche disperdere un patrimonio di esperienza», è la constatazione amara di Zambonelli.

Dalla ricerca emerge il crollo della fiducia degli imprenditori bergamaschi rispetto alla situazione economica italiana: l’indicatore è sceso di 35,5 punti percentuali rispetto a settembre 2019 («un dato mai registrato nella storia economica di questo Paese», rimarca il direttore di Ascom Bergamo, Oscar Fusini), ma le cose vanno anche peggio se si valuta la fiducia nell’andamento della propria impresa (-38,2%), una contrazione molto più elevata del dato nazionale (-19%). Il 31% delle aziende ritiene che i mesi di aprile, maggio e giugno siano quelli più colpiti dalle conseguenze economiche dell’emergenza sanitaria, mentre c’è un cauto ottimismo per l’ultimo trimestre del 2020.

A fronte della frenata dei consumi e delle vendite durante il lockdown, anche l’indice dei ricavi delle imprese bergamasche a marzo ha subito un tracollo: -40,9%. Leggermente migliore è l’indice per le imprese di commercio, turismo e servizi, alle prese con un calo più contenuto, -25,9%, e un recupero atteso per il prossimo trimestre: il terziario contiene infatti la buona performance dei negozi alimentari.

Il fronte liquidità

Le cose non vanno meglio sul versante della liquidità. L’indice del fabbisogno finanziario è sceso del 39,3%. «A soffrire di più sono le micro imprese e quelle fino a 5 addetti, mentre il settore più toccato è sempre il turismo - spiega Fusini -. Il peggioramento del quadro finanziario è certo per 9 aziende su 10, ma colpisce soprattutto il fatto che un imprenditore su 3 dichiari di non essere in grado di far fronte ai propri impegni, in pratica di essere in una situazione prefallimentare. C’è poi anche un gap fra il picco della crisi di produttività, visto nel primo trimestre, e quello dei problemi finanziari, che invece viene registrato in questo e nel prossimo trimestre». Non c’è da sorprendersi, quindi, se a fronte di un 49% di imprese bergamasche che prima dell’emergenza Covid si dichiaravano pronte a fare investimenti nei prossimi due anni, ora solo una su quattro è disposta a farlo. L’orizzonte è cupo, meglio tenere il fieno in cascina.

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